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I livelli di colesterolo modificano il microbiota intestinale

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I livelli di colesterolo e il suo metabolismo possono modificare la biodiversità del microbiota intestinale. Lo dimostra uno studio condotto da Tao Bo dell’Università di Shandong (Cina) e recentemente pubblicato dalla rivista MicrobiologyOpen.

L’indagine è stata realizzata su ratti wild type (WT), non geneticamente modificati, e ApoE-/-, animali nei quali è stato soppresso il gene che codifica per l’Apolipoproteina E, una componente fisiologica delle lipoproteine, tra cui il colesterolo, implicata nella loro stabilità, distribuzione e metabolismo.

Ratti con deficit di ApoE presentavano quindi ipercolesterolemia e aterosclerosi a prescindere dal regime alimentare a cui erano sottoposti.

Gli animali sono stati quindi suddivisi in quattro gruppi: WT, rispettivamente con dieta a normale contenuto di colesterolo (WT.NC, gruppo 1) e con dieta ad alto contenuto di colesterolo (WT.HC, gruppo 2) e ApoE-/- anch’essi alimentati rispettivamente con dieta a normale contenuto di colesterolo (ApoE.NC, gruppo 3) e ad alto contenuto di colesterolo (ApoE.HC, gruppo 4).

Tao Bo e i suoi colleghi, associando una dieta ad elevato indice di colesterolo con alterazioni genetiche nella sua via metabolica, hanno potuto approfondire il rapporto di causalità e correlazione tra i disordini dell’apporto e della trasformazione del colesterolo sia esogeno, cioè proveniente dalla dieta, sia endogeno, prodotto soprattutto a livello epatico, e lo status del microbiota intestinale.

Ad oggi, molte sono le evidenze che confermano gli effetti del microbiota nel metabolismo del colesterolo mentre molto più scarso è il numero delle ricerche che indagano il rapporto inverso, cioè di come il colesterolo impatti nella composizione del microbiota.

Così dieta e DNA modificano colesterolo e microbiota intestinale

Nonostante entrambi i fattori, dieta e soppressione genica, determinino cambiamenti dei livelli plasmatici di colesterolo tra WT.NC e gli altri tre gruppi in maniera statisticamente significativa, la modificazione della composizione del microbiota intestinale in termini di biodiversità sembra esser attribuibile in particolar modo alla dieta.

Una dieta ad alto tasso di colesterolo sembrerebbe infatti ridurre il numero delle specie batteriche che fisiologicamente compongono il microbiota.

Per arrivare a questa conclusione, i ricercatori hanno condotto test di analisi e comparazione genica tra cui OTUs (operational taxonomic units), PCA (principal component analysis) e PCoA (principal coordinates analysis).

Dai risultati di questi test è stato visto come la composizione del microbiota sia, come ci si aspettava, diversa nei quattro gruppi.

Le maggiori discrepanze sono state riscontrate nei modelli WT.HC mentre è risultata simile in WT.NC e ApoE.NC, suggerendo come l’alterazione genetica sia poco implicata nella variazione delle specie.

Sono stati dunque studiate nel dettaglio alcune delle specie batteriche più caratteristiche confrontandole poi nei diversi modelli di ratto.

Per esempio, i generi Ruminococcus e Oscillospira sono risultati ridotti nei gruppi HC mentre più abbondanti si sono dimostrati i Dorea spp. e i generi Eubacterium, Pseudomonas e Bacteroides, quest’ultimo soprattutto nei ratti ApoE.HC, regolarmente implicati nel metabolismo di colesterolo e acidi biliari.

Fanno eccezione i Kaistobacter, i Bradyrhizobium e i Rhoplanes risultando molto presenti in entrambi i gruppi ApoE, probabilmente perché poco influenzati dal tipo di alimentazione.

In conclusione, stando ai risultati di questo studio, si può dunque affermare che la dieta gioca un ruolo più importante nel determinare un cambiamento del microbiota intestinale se comparata ai disordini metabolici derivanti da manipolazioni genetiche.

L’influenza di questi ultimi sul profilo microbiologico non dev’essere tuttavia sottovalutata.

Ulteriori studi sono comunque necessari per approfondire e delineare al meglio il ruolo che le abitudini alimentari hanno nel determinare la biodiversità del microbiota intestinale soprattutto in funzione del loro apporto lipidico.

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