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Chemioterapia: tossicità intestinale dipende da apoptosi e microbiota

Uno studio recentemente pubblicato su Nature ha evidenziato come la chemioterapia e altre malattie intestinali possano alterare il processo di apoptosi determinando l'insorgere di possibili infezioni al tratto gastrointestinale.
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Chemioterapia: tossicità intestinale dipende da apoptosi e microbiota

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Stato dell’arte
Diversi agenti patogeni di origine alimentare possono indurre la morte cellulare programmata (apoptosi) nelle cellule delle pareti intestinali. Non è chiaro se le molecole di segnalazione rilasciate in questo processo siano nutrimento per i batteri.

Cosa aggiunge questa ricerca
Specifiche molecole rilasciate dalle cellule epiteliali intestinali in apoptosi possono essere rilevate e utilizzate come nutrimento da batteri intestinali come Salmonella ed Escherichia coli. Ridurre il rilascio di tali molecole senza bloccare il processo protegge gli animali dalle infezioni.

Conclusioni
Il supplemento proteico ha indotto la perdita di grasso viscerale e, di contro, l’attivazione del metabolismo degli Si aprono nuovi scenari terapeutici per contrastare le infezioni intestinali e alleviare i sintomi dell’infiammazione e della tossicità indotta da chemioterapia.

Diversi studi negli ultimi anni hanno dimostrato che la chemioterapia, le malattie intestinali e altre condizioni possono alterare il processo della morte cellulare programmata (apoptosi), di norma finemente regolato. 

In questo studio un gruppo di ricercatori ha scoperto che alcuni batteri intestinali patogeni possono utilizzare le sostanze rilasciate dalle cellule in apoptosi come nutrimento per crescere e infettare le cellule del tratto gastrointestinale.

I risultati, pubblicati su Nature, forniscono informazioni utili per alleviare i sintomi dell’infiammazione intestinale e della tossicità gastrointestinale indotta dalla chemioterapia.

Apoptosi causata da Salmonella & Co

Molti agenti patogeni di origine alimentare, inclusi alcuni ceppi di Salmonella, possono indurre la morte cellulare programmata. 

Peraltro, alcuni studi hanno già evidenziato che nell’intestino di pazienti con malattie infiammatorie intestinali si verifica un aumento dell’apoptosi

Rimane però ancora da chiarire la relazione tra la morte cellulare programmata e le infezioni batteriche. Ed è importanti valutare se le molecole di segnalazione rilasciate dalle cellule in apoptosi possano fornire nutrimento per la crescita dei batteri.

«Sappiamo da alcuni decenni che il processo di morte cellulare può influenzare indirettamente le infezioni batteriche modificando la risposta immunitaria dell’organismo. Allo stesso tempo, abbiamo studiato come le cellule  in apoptosi possono comunicare con quelle adiacenti», afferma l’autore senior dello studio Kodi Ravichandran, della Ghent University, in Belgio. 

«Se le cellule in apoptosi secernono molecole che possono essere riconosciute e percepite dalle cellule vicine sane, cosa impedisce ad altri organismi come i batteri intestinali di riconoscere queste stesse sostanze?»

Per rispondere a questa domanda, Kodi Ravichandran e i suoi colleghi hanno deciso di esaminare campioni di cellule e tessuti prelevati dall’intestino del topo.

Molecole che nutrono i patogeni: DNNR

In primo luogo, i ricercatori hanno coltivato cellule intestinali dei topi e hanno indotto la morte cellulare mediante la somministrazione di un farmaco. Le cellule in coltura hanno così rilasciato molecole che hanno aumentato la crescita della Salmonella.

Anche l’induzione con radiazioni UV o trattamento farmacologico della morte cellulare programmata in linee cellulari epiteliali intestinali ha portato alla produzione di molecole che hanno aumentato la crescita di Salmonella e di altri batteri, tra cui il patogeno Klebsiella pneumoniae e i batteri E. coli ottenuti da persone con malattia di Crohn, cancro del colon-retto e infezioni del tratto urinario. Al contrario, la morte non apoptotica non ha aumentato la crescita batterica. 

I ricercatori hanno poi scoperto che le cellule apoptotiche rilasciano piccoli metaboliti che agiscono come nutrienti in grado di favorire la crescita dei batteri Enterobacteriaceae. I ricercatori hanno chiamato questo processo “rilascio di nutrienti indotto dalla morte cellulare” o DINNR (death-induced nutrient release).

Terapie avanzate regolando l’apoptosi

Il team di ricercatori ha successivamente scoperto che il rilascio di nutrienti indotto dall’apoptosi è in grado di incrementare la crescita batterica inducendo l’espressione di specifici geni microbici che promuovono la colonizzazione. 

Ulteriori esperimenti hanno dimostrato che l’apoptosi delle cellule epiteliali intestinali aumenta la crescita della Salmonella anche in vivo. Ma è sufficiente ridurre il rilascio di alcune specifiche molecole dalle cellule in apoptosi per protegge gli animali, in questo caso i modelli murini, dalle infezioni senza dover bloccare il processo di morte cellulare programmata.

Questa scoperta è particolarmente interessante dal punto di vista clinico, perché apre possibili scenari terapeutici in particolare in ambito oncologico

«A differenza delle infezioni di origine alimentare o delle riacutizzazioni delle malattie infiammatorie intestinali o del morbo di Crohn, in cui il paziente non sa quando sarà “sotto attacco”, i medici sanno esattamente quando stanno somministrando farmaci chemioterapici ai pazienti oncologici», afferma il coordinatore dello studio, Christopher Anderson

«Ciò significa che abbiamo una finestra terapeutica in cui possiamo provare a sviluppare una sorta di terapia combinata per limitare in parte il rilascio di nutrienti per i batteri».

I risultati potrebbero anche aiutare a sviluppare nuovi approcci terapeutici per determinate condizioni intestinali. 

«È stato particolarmente interessante notare che non è necessario “ingannare” la morte stessa per vedere ancora un po’ di protezione. Non abbiamo bisogno di andare alla ricerca del Santo Graal. Modificando o limitando il rilascio di alcuni di questi nutrienti durante il processo di apoptosi, possiamo cercare di migliorare la cura del paziente», conclude Anderson.

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