Trapianto di staminali: disbiosi intestinale correlata a malattia acuta da rigetto

La malattia acuta da rigetto dopo trapianto di staminali è collegata alla disbiosi del microbioma intestinale. A dirlo è uno studio italiano.
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Trapianto di staminali: disbiosi intestinale correlata a malattia acuta da rigetto

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Stato dell’arte
La malattia acuta da rigetto è correlata con la composizione del microbiota intestinale. I dati sperimentali che lo sostengono sono però limitati e ottenuti soprattutto su adulti.

Cosa aggiunge questa ricerca
Lo scopo dello studio è stato monitorare la composizione del microbiota intestinale prima e dopo il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche in relazione allo sviluppo di malattia acuta da rigetto di 36 pazienti pediatrici.

Conclusioni
La presenza di un certo tipo di disbiosi prima del trapianto è indice predittivo di sviluppo di malattia acuta da rigetto. Monitorare la componente intestinale di questi pazienti può essere un valido aiuto nel pianificare le terapie.


Il rischio di incorrere in una malattia acuta da rigetto dopo trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche è in diretta relazione con una particolare composizione del microbioma intestinale prima di questo intervento.

Lo dimostra lo studio italiano condotto su 36 pazienti pediatrici da Elena Biagi e colleghi dell’Università di Bologna, di recente pubblicazione su BMC Medical Genomics.

Per molti soggetti ad alto rischio di patologie ematopoietiche ed ematologiche il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche (HSCT) è l’opzione terapeutica migliore. Il suo successo dipende però dal sistema immunitario. Il rigetto è infatti una eventualità da considerare. Viste le numerose evidenze che supportano un suo ruolo nella risposta immunitaria, il microbioma intestinale potrebbe essere coinvolto.

Gli studi focalizzati su malattie acute da rigetto (Graft-versus-Host disease o aGvHD) sono però limitati, oltre che condotti prevalentemente su un ristretto numero di soggetti, per lo più adulti.

I ricercatori hanno perciò voluto approfondire questo aspetto su pazienti pediatrici (20 maschi, 16 femmine) sottoposti a HSCT attraverso la raccolta di 131 campioni fecali rispettivamente prima dell’intervento, al momento del trapianto e dal 12° giorno in poi.

Nel dettaglio, è stata analizzata la composizione del microbioma prima e dopo l’intervento e in relazione a un’eventuale manifestazione di rigetto, situazione verificatasi in 19 casi su 36. I risultati ottenuti sono stati molti. Di seguito i principali.

Analisi delle variabili confondenti

Età e centro di ricovero (Bologna, Pavia, Roma, Verona) potrebbero rappresentare fattori confondenti i risultati. Per verificarlo sono state condotte opportune analisi statistiche (Principal Coordinates Analysis e Random Forest analysis) dimostrando che:

  • a livello di genere, il profilo del microbioma intestinale non è significativamente alterato dall’età dei soggetti suddivisi rispettivamente nel gruppo “neonati” (<2 anni), “pediatrici” (2-12 anni), “adolescenti” (>12 anni). Il gruppo neonati è tuttavia quello maggiormente distinguibile
  • di contro, l’ospedale di ricovero ha dimostrato di impattare molto sul profilo del microbioma. Le abbondanze relative di Enterococcus, Citrobacter, Erwinia, un membro non classificato di Aerococcaceae e Clostridiales hanno infatti permesso di discriminare i campioni in base alla provenienza geografica. Ad esempio:
    • gli OTUs assegnati a Enterococcus hanno registrato la presenza maggiore nei soggetti ricoverati a Pavia, Roma e Verona, inferiore in quelli a Bologna
    • Citrobacter ed Erwinia sono risultati più espresso nei campioni di Verona e Roma
  • sulla base della composizione batterica prima di HSCT non è stato possibile distinguere i pazienti affetti da diverse patologie ematologiche.

Variabilità del microbiota, HSCT e rigetto

Dopo aver determinato il “peso” dei fattori confondenti, i ricercatori hanno valutato l’andamento compositivo del microbioma dopo il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche e in relazione all’eventuale rigetto:

  • l’analisi PCoA non evidenzia nette differenze in termini di abbondanza relativa a livello di genere tra i campioni prelevati prima del HSCT da soggetti che hanno o non hanno sviluppato un conseguente rigetto
  • pazienti senza rigetto hanno tuttavia presentato, prima del trapianto, maggiore presenza del genere Blautia. Di contro, soggetti con esperienza di rigetto hanno dimostrato una più alta espressione di Fusobacterium nucleatum rispetto alla controparte, dati confermati anche dall’analisi Random Forrest
  • la biodiversità di campioni pre-HSCT di soggetti con conseguente rigetto si è mostrata inferiore rispetto ai pazienti “senza rigetto”
  • la diversità inter-individuale dei campioni pre-intervento è risultata maggiore nel gruppo con esperienza di rigetto di alto grado rispetto a quelli con rigetto lieve o assente
  • i campioni di soggetti con rigetto di grado II-IV collezionati al momento del trapianto sono risultati separati all’analisi PCoA rispetto agli altri, presentando una maggiore abbondanza relativa di Bacteroides senza però che questi risulti associata allo sviluppo di rigetto
  • comparando i campioni pre-HSCT con quelli collezionati in sede di trapianto è stata registrata una diminuzione di abbondanza relativa di numerosi “batteri buoni” quali Faecalibaterium, Roseburia, Lachnospira, Dorea, Coprococcus, Blautia in soggetti con esperienza di rigetto di II-IV grado. Decremento molto meno marcato nei restanti casi
  • campioni prelevati dopo 30 giorni dal trapianto non hanno registrato differenze in base allo sviluppo o meno di rigetto in termini di abbondanza relativa a livello di genere.

In conclusione, dunque, monitorare il profilo del microbioma intestinale prima del trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche in pazienti pediatrici potrebbe essere un valido supporto nel prevedere un possibile rigetto. Ulteriori studi, possibilmente con un numero maggiore di soggetti, sono tuttavia necessari al fine di confermare tali risultati, oltre che per proporre un meccanismo d’azione che supporti un effettivo coinvolgimento batterico.

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