L’impatto dell’alimentazione sul microbiota intestinale è noto. Gli effetti sono però strettamente dipendenti dal piano alimentare seguito e dalla sua durata. Tra tutte, la dieta chetogenica ha dimostrato benefici sia in persone con malattie neurologiche sia per la perdita di peso. Se dal punto di vista clinico i risultati sono più o meno evidenti, rimane ancora da approfondire il suo impatto sulla componente batterica intestinale.

Antonio Paoli e colleghi dell’Università di Padova hanno cercato di fare il punto della situazione con un lavoro di revisione pubblicato di recente su Genes.

Con “dieta chetogenica” si intende un regime alimentare scarso in carboidrati (5-10% dell’introito calorico giornaliero totale) finalizzato ad aumentare il metabolismo dei grassi con riduzione dei livelli di glucosio, in modo da favorire, di contro, la produzione di corpi chetonici (3-idrossibutirrato, acetato e acetoacetato) attraverso la chetogenesi epatica, da cui prende il nome.

In situazioni per esempio di epilessia refrattaria, autismo, Alzheimer, ma anche di sindromi metaboliche e obesità, questo schema alimentare ha dimostrato finora buoni risultati clinici, come del resto le diete da esso derivate e meno “stringenti”, come la dieta Atkins e quella a basso indice glicemico.

Considerando l’aspetto biochimico, un aumento di chetoni si traduce potenzialmente in:

  • fonte energetica per i colonociti (cellule del colon)
  • incremento dell’attività antinfiammatoria e anti-ossidante
  • regolazione immunitaria
  • motilità intestinale e funzionalità della barriera
  • crescita e differenziazione cellulare
  • assorbimento ionico
  • prevenzione di ulcere distali, morbo di Crohn e tumori al colon.

Analizzando però nel dettaglio l’impatto sulla componente batterica intestinale, gli studi a disposizione sono scarsi e/o con dati spesso contrastanti. La revisione ha incluso perciò solo 9 studi (6 clinici, 3 in vivo) dai quali sono emerse alterazioni specifiche in base alla condizione dei soggetti e/o al singolo studio. Per esempio:

  • in presenza di epilessia refrattaria, lo studio di Lindefeldt et al. (2019) ha registrato un aumento di E. coli e un decremento di BifidobacteriumE. rectale e E. dialister. Zhang et al. (2018) hanno osservato un incremento di Bacteroidetes e una diminuzione di alpha diversity, Firmicutes e Actinobacteria. Xie et al. (2017) un aumento di Bacteroides (Bacteroides, Prevotella), Bifidobacterium e un decremento di Proteobacteria (Cronobacter, Escherichia, Salmonella, Vibrio)
  • lo studio di Newell et al. (2017), focalizzandosi su modelli murini con disordini dello spettro autistico, ha evidenziato un aumento fecale di Enterobacteriaceae e del rapporto Firmicutes:Bacteroides e una diminuzione di A. muciniphila sia nel colon sia nelle feci
  • in caso di sclerosi multipla autoimmune, Swidsinki et al. (2017) hanno dimostrato un complessivo decremento di beta-diversity dopo due settimane
  • in modelli murini sani, Ma et al. (2017) hanno osservato che la dieta chetogenica ha indotto un aumento di A. muciniphila e Lactobacillus e una diminuzione di Desulfovibrio, Turicinabacter e, nel complesso, della diversità batterica.

I risultati discordanti sono, con ogni probabilità, da attribuire al diverso disegno di studio (tipologia di soggetti inclusi, numerosità campionaria, durata, parametri valutati ecc.)

Considerando la controversia dei dati, affermare che la dieta chetogenica sia amica o nemica del microbiota intestinale è quindi difficile.

In caso si adotti un regime chetogenico, non è la sola riduzione dei carboidrati a influenzare il microbiota. Anche la scelta degli altri nutrienti (grassi, zuccheri e proteine) gioca un ruolo importante.

Partendo dai grassi, la composizione ottimale da abbinare a una dieta chetogenica secondo alcuni dovrebbe essere composta sia da grassi saturi sia da mono-polinsaturi. Una recente revisione sistematica ha però descritto gli acidi grassi saturi (olio di palma per esempio) e monoinsaturi come dannosi per il microbiota intestinale. Di contro, i polinsaturi (olio d’oliva) non sembrerebbero causare alcuna alterazione in termini di ricchezza e diversità batterica.

Nell’ambito degli zuccheri, invece, la sostituzione di dolcificanti naturali con quelli artificiali a ridotto contenuto calorico (acesulfame, sucralosio ecc.) sembrerebbe impattare negativamente sia sulla componente batterica intestinale sia sulla salute generale dell’ospite. Oltre a modificare la composizione del microbiota, questi dolcificanti hanno infatti riportato attività batteriostatiche, incrementando inoltre il rischio cardio-metabolico per alterazione dei parametri lipidici del sangue. Discussione ancora aperta invece per quanto riguarda la stevia, dolcificante naturale dagli effetti batterici ancora da approfondire.

Anche la fonte proteica deve essere considerata con attenzione soprattutto per gli sportivi. Sarebbero da preferire le proteine di origine vegetale poiché, secondo quanto osservato in più studi clinici, sembrano stimolare l’incremento di Bacteroidetes e la diminuzione di Firmicutes.

Infine, il supplemento di pre- e/o probiotici (in formulazione o ingerendo cibi che li contengono naturalmente) in aggiunta a una dieta chetogenica sembrerebbe, come con altri regimi alimentari, avere effetti positivi sul microbiota.

Concludendo, dunque, la dieta chetogenica influenza la composizione e la struttura del microbiota intestinale. Le evidenze disponibili, vista la loro eterogeneità, non offrono tuttavia risultati dettagliati e/o concordi. Una volta approfondito l’impatto di tale regime alimentare sulla componente batterica intestinale con ulteriori studi clinici, anche a lungo termine, potrebbe però essere possibile ottimizzare approcci di sostegno terapeutico mirati e più efficaci di quelli in uso.