Tanto la vitamina D fa bene al microbiota intestinale quanto una disbiosi di quest’ultimo impatta sul suo assorbimento e sulla risposta dell’ospite alla sua supplementazione. Nonostante il generale riassestamento del profilo batterico, infatti, il raggiungimento di livelli fisiologici (o per lo meno un loro incremento) di vitamina D è strettamente correlato allo stato di eubiosi o disbiosi di partenza del microbioma.

Lo dimostra lo studio coordinato da Parul Singh della Sidra Medicine di Doha (Qatar), recentemente pubblicato su Scientific Reports.

Carenza di vitamina D e integrazione

La vitamina D fa parte della classe delle vitamine liposolubili, si assorbe a livello intestinale con la dieta o dai supplementi ed è essenziale per il mantenimento dell’integrità e funzionalità scheletrica, oltre che per il sistema immunitario.

Il 40% dei cittadini europei e statunitensi ha un problema di carenza di vitamina D, percentuale che raddoppia nei Paesi dell’Est.

Mantenere livelli adeguati è importante considerando la molteplicità di patologie che ne sono risultate associate tra le quali cancro, disturbi cardiovascolari e metabolici.

Numerosi sono poi gli studi che dimostrano l’impatto di una sua supplementazione anche sulla composizione batterica in presenza di patologie croniche.

Rimane però da capire questo effetto e le dinamiche in assenza di patologie preesistenti. Al fine di approfondire tali aspetti, dunque, i ricercatori hanno coinvolto 80 donne con bassi livelli di vitamina D (“carenti” se con valori sotto 20 ng/ml; “insufficienti” se inferiori a 30 ng/ml) alle quali è stata somministrata per 12 settimane (50.000 UI).

Campioni di sangue e fecali sono stati collezionati prima e dopo il trattamento per monitorarne eventuali alterazioni batteriche e metaboliche. Vediamo i principali risultati.

Supplementazione di vitamina D in donne sane

Partendo dal grado di risposta alla terapia in assenza di sostanziali cambiamenti di dieta:

  • i livelli sierici medi del suo precursore, 25(OH)D, hanno mostrato un generale e significativo aumento come preventivabile (da 11,03 ± 0,51 ng/ml a 34,37 ± 1,47 ng/ml). L’89% infatti ha raggiunto livelli >20 ng/ml, il 69% valori considerati normali >30,ng/ml. Solo l’11% ha però dimostrato ancora uno stato carenziale e perciò classificato come non-responder
  • parallelamente, un aumento si è registrato anche nei livelli di calcio
  • di contro, diminuito dopo il trattamento il rapporto urea-azoto/creatinina, indicatore di una migliore funzionalità renale come del resto quello tra aspartato aminotransferasi (AST) e alanina aminotransferasi (ALT) suggerendo quindi un miglioramento renale

Gli effetti sul microbiota intestinale

L’attenzione si è poi concentrata sugli effetti della vitamina D3 sulle caratteristiche batteriche intestinali. Del totale dei 12 differenti phyla identificati:

  • Firmicutes e Bacteroidetes hanno rappresentato il 95% di tutta la popolazione batterica nel pre-intervento con, nel dettaglio, un’abbondanza relativa di Firmicutes del 55,86% e Bacteroidetes del 40,70%. Seguono Actinobacteria (2,00%), Proteobacteria (1,15%) e Verrucomicrobia (0,21%)
  • in seguito al supplemento, l’abbondanza relativa media di Firmicutes è diminuita al 50,57% con un parallelo aumento di quella di Bacteroidetes a 43,62%. Il rapporto Firmicutes/Bacteroidetes è quindi passato da 0,818 ± 0,048 a 0,954 ± 0,061. Aumento anche dei phyla minori come Actinobacteria (pre-1,9% vs post- 3,1%) e Verrucomicrobia (pre-0,19% vs post-0,95%)
  • a livello di genere, nel post-intervento si è registrata una crescita significativa di Bifidobacterium (Actinobacteria in particolare) e Akkermansia (nei soli membri di Verrucomicrobia). Diminuzione invece per diversi generi del core Firmicutes quali RoseburiaRuminococcus, e Faecalibacterium
  • membri del phylum Bacteroidetes hanno mostrato un accrescimento di abbondanza relativa (BacteroidesAlistipes e Parabacteroides), altri un decremento (Prevotella)
  • differenza significativa in termini di alpha e beta-diversity tra i due gruppi

L’inter-variabilità gioca però un ruolo importante nel determinare la risposta a un trattamento. I ricercatori hanno quindi valutato l’efficacia del supplemento con le caratteristiche del microbioma dei rispondenti e non (valori di 25(OH)D ancora sotto i 20 ng/ml) dimostrando alterazioni nella composizione e diversità batteriche generali, ma peculiari in base al gruppo di appartenenza. In particolare:

  • nel gruppo dei rispondenti, il supplemento ha mostrato un aumento di BacteroidetesActinobacteriaProteobacteria e Leptosphaeria accoppiato a una diminuzione di Firmicutes
  • nei non-responders invece, nel post-intervento si è registrato un aumento di Proteobacteria
  • più elevato l’aumento del rapporto B/F nei rispondenti
  • a livello di specie, espressione significativamente maggiore nei rispondenti per Bacteroides acidifaciensRuminococcus bromiiBacteroides eggerthiiBarnesiella intestinihominis sia nel pre- sia nel post-intervento
  • marcata anche la deplezione di B. acidifaciens rispetto ad altre specie nei non-rispondenti suggerendo come suoi bassi livelli possano indicare una bassa risposta al supplemento di vitamina D
  • entrambi i gruppi hanno registrato un aumento di alpha diversity nel post-intervento

Così cambia il metabolismo

Da ultimo, sulla base delle caratteristiche della comunità batterica ne è stato predetto il profilo funzionale. Importanti differenze tra il pre- e post-intervento nei geni correlati a diversi pathways quali biosintesi di folati (probabilmente da ricondurre all’aumento di Bacteroides suoi produttori) e al metabolismo di glicina, serina e treonina.

Incrementato dopo il supplemento anche il metabolismo lipidico (biosintesi di acidi grassi, metabolismo di cofattori e vitamine), attore nell’assorbimento della vitamina D a livello intestinale.

In conclusione, dunque, anche in assenza di patologie preesistenti, il supplemento di vitamina D ha mostrato effetti positivi nel microbioma intestinale.

Fondamentale in termini di l’efficacia è però la condizione batterica di partenza. Questo induce a pensare che il microbiota intestinale possa essere, in seguito a ulteriori approfondimenti, il target ideale per aumentare o monitorare la risposta alla vitamina D.