La ricerca sul microbioma in Italia: talk show al congresso SIMIF

Quali strategie per rinforzare la ricerca nel nostro Paese? Se ne è parlato in un talk show durante il congresso della Società italiana di microbiologia farmaceutica (SIMIF)

Investimenti pubblici e privati, difficoltà organizzative, i tempi dell’industria e quelli della ricerca biomedica. Sono questi alcuni dei tantissimi argomenti affrontati nel talk show in diretta streaming intitolato La ricerca pubblica e privata in Italia sui terapeutici microbiota-based: prospettive future, organizzato nel contesto del congresso SIMIF 2021.

Il video integrale del Talk Show su Youtube

A discutere su questi temi Ignazio Castagliuolo, del dipartimento di medicina molecolare dell’università di Padova, Duccio Cavalieri, in forza al Dipartimento di biologia dell’università di Firenze ed Ettore Novellino, del dipartimento di farmacia presso l’università di Napoli Federico II. Moderatore del talk show Massimo Barberi, direttore di Microbioma.it.

L’Italia ha una lunga e solida tradizione sulla ricerca microbiologica. Eppure stenta a posizionarsi sul piano internazionale per quanto riguarda il microbioma. Tanti e diversificati gli ostacoli, secondo quanto emerso nella discussione. I fondi per la ricerca, da sempre, sono pochi. La burocrazia che indubbiamente è un freno. Le istituzioni che faticano a comprendere quanto la ricerca in questo ambito possa rappresentare un asset per l’intero Paese.

Da sinistra, in alto: Duccio Cavalieri, Ettore Novellino, Ignazio Castagliuolo, Massimo Barberi.

Sostiene Castagliuolo: «Non c’è una strategia complessiva per la ricerca sul microbiota da parte delle istituzioni, e manca anche il supporto di realtà private dedicate a questo settore, come per esempio avviene in oncologia. Riusciamo a ottenere buoni risultati soltanto perché in Italia ci sono ottimi ricercatori, che con le poche risorse disponibili riescono a “sfangarla”».

E poi c’è il grosso tema dell’industria. Continua Castagliuolo: «Spesso i tempi delle aziende, che puntano rapidamente all’applicazione commerciale della ricerca, non sono compatibili con il nostro lavoro, soprattutto nel mondo del microbioma perché siamo ancora ai primi passi».

«Gli italiani hanno la capacità di imparare tante cose dalle situazioni di difficoltà» aggiunge Cavalieri «e dall’esperienza Covid abbiamo imparato l’importanza del tracciamento del virus e con uno schema simile potremmo iniziare un progetto per mappare i microbioti italiani, non solo intestinale. Potremmo scoprire quanto l’effetto delle diete regionali, che resistono alla globalizzazione. Si potrebbe partire domani, basterebbe avere i fondi».

Il nodo dei Venture Capital

Nel 2020, per la prima volta, i finanziamenti da società di Venture Capital hanno superato gli stanziamenti pubblici sul fronte del microbioma. Ma per ora il nostro Paese non è entrato nei radar di questi investitori, che hanno orizzonti temporali più ampi rispetto alla singola azienda che finanzia una ricerca chiedendo spesso un risultato applicabile entro 12-18 mesi.

Prosegue Novellino: «L’azienda farmaceutica italiana è principalmente di produzione, non di ricerca. Nella produzione raggiungiamo livelli elevati in Europa e nel mondo, abbiamo standard qualitativi eccellenti. È chiaro quindi che in un contesto come questo, l’investimento a lungo termine non è facile da far passare».

C’è l’esperienza degli spin off, realtà private che nascono dalle università. «Molte spin off non sopravvivono a lungo, perché le università stanziano pochi fondi iniziali, non riescono ad arrivare ad avere dati interessanti per poter coinvolgere, in una seconda fase, i fondi di investimento privati. Servirebbero più fondi iniziali per poter portare qualcosa di concreto sul tavolo dei Venture Capital» prosegue Castagliuolo. Difficile in questo contesto che un giovane ricercatore decida di lanciare il cuore oltre l’ostacolo e fondare una start up. Ma l’orizzonte può cambiare.

Quali consigli dare quindi a un giovane che oggi vuole intraprendere questa strada? «Deve anzitutto avere un progetto chiaro» risponde Castagliulo «con un obiettivo pratico, traslazionale. Il basic science non può essere l’obiettivo di una start up». Secondo Novellino «è essenziale che l’idea alla base della ricerca sia facilmente comunicabile. Se il progetto non è sintetizzabile e divulgabile è difficile che abbia presa». Infine, Cavalieri: «Un terzo elemento da tener presente è sicuramente quello di evitare l’ovvio. Il piccolo pezzettino in più non basta, serve un’idea originale. Out of the box».

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