Sindrome da fatica cronica: il problema è nell’intestino, non nel cervello

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Sindrome da fatica cronica: il problema è nell’intestino, non nel cervello

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La sindrome da stanchezza cronica, nota anche come encefalomielite mialgica, consiste in una fatica molto debilitante, non alleviata dal riposo, dopo normali sforzi.

Le cause della malattia non sono ancora note e la diagnosi richiede test lunghi ed elaborati.

Alcuni ricercatori della Cornell University affermano però di aver scoperto dei marcatori biologici all’interno della popolazione batterica intestinale e nel sangue.

In una ricerca pubblicata sulla rivista Microbiome, il gruppo di ricerca spiega di aver diagnosticato correttamente la patologia nell’83% dei pazienti, attraverso campioni fecali e analisi del sangue. Un metodo diagnostico di sicuro non invasivo che consente anche di approfondire la comprensione della malattia.

«La nostra ricerca dimostra che la composizione batterica intestinale nei pazienti affetti da sindrome da fatica cronica non è fisiologica, il che comporta probabilmente sintomi di tipo gastrointestinale o infiammatorio» dichiarano i ricercatori.

«Inoltre, la scoperta di una disfunzione biologica fornisce altre prove contro il concetto secondo cui si tratterebbe di una malattia squisitamente psicologica».

Lo studio, condotto in collaborazione con Susan Levine, specialista nel campo della sindrome da stanchezza cronica, ha coinvolto 48 pazienti con una diagnosi confermata e 39 partecipanti sani come gruppo di controllo.

I ricercatori hanno sequenziato alcune regioni di DNA batterico dai campioni fecali dei partecipanti per identificare le diverse specie di batteri presenti nel microbiota intestinale.

Nei soggetti affetti da stanchezza cronica, la diversità batterica e la presenza di batteri dall’effetto antinfiammatorio sono risultate inferiori rispetto ai soggetti sani. Un dato molto simile a quello che si riscontra comunemente in patologie come il morbo di Crohn o la colite ulcerosa.

Gli scienziati hanno inoltre scoperto nel sangue dei pazienti alcuni marcatori specifici di infiammazione, dovuti probabilmente a problemi intestinali e all’entrata di batteri nel flusso sanguigno, che scatenerebbero così una risposta immunitaria.

Lo studio non ha raccolto dati sufficienti per stabilire se le alterazioni riscontrate siano una causa o una conseguenza della malattia: i ricercatori prevedono, nel futuro, di cercare segni della presenza di virus o funghi, per determinare l’eventuale causa del disturbo.

«Se riusciremo a capire meglio cosa succede nella popolazione batterica intestinale di questi pazienti» concludono gli scienziati «forse i medici prenderanno in considerazione modifiche nella dieta e l’uso di probiotici o integratori di fibre per supportare il trattamento della malattia».

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