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Acne: terapie alternative agli antibiotici e impatto sul microbiota cutaneo

Contro l’acne, alcuni principi attivi non antibiotici eviterebbero resistenza batterica e sarebbero efficaci vs un maggior numero di ceppi. Ecco quali.
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Acne: terapie alternative agli antibiotici e impatto sul microbiota cutaneo

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Stato dell’arte
L’acne è un problema diffuso tra gli adolescenti, ma non solo. Le terapie in uso sono molte, soprattutto quelle antibiotiche. Rimane però ancora da chiarire quale sia la più efficace.

Cosa aggiunge questo studio
Lo studio compara l’efficacia delle più comuni terapie antibiotiche rispetto a quelle non antibiotiche nel trattamento dell’acne.

Conclusioni
Nonostante l’elevata efficacia dell’approccio antibiotico, tali terapie perdono la loro attività in caso di resistenza batterica. Di contro, le terapie non antibiotiche, pur agendo a concentrazioni maggiori, prevengono l’insorgenza di resistenza e delle problematiche correlate.


Nel trattamento dell’acne le terapie antibiotiche sembrerebbero più potenti rispetto ad altri principi attivi, quali l’acido salicilico, l’acido zelaico o il perossido di benzoile. Questi ultimi, di contro, evitando l’instaurarsi di fenomeni di resistenza batterica, sono efficaci contro un maggior numero di ceppi.

È quanto emerge dallo studio di Mark A.T. Blaskovich e colleghi della University of Queensland (Australia), recentemente pubblicato su Scientific Reports.

L’acne è un problema molto diffuso sia tra i giovani sia tra gli adulti ed è causato principalmente del batterio Propionibacterium acnes (o Cutibacterium acnes). Le terapie disponibili sono molte e spesso in grado di intervenire sia sulla colonizzazione del patogeno in questione sia su una o più delle fasi che precedono la malattia vera e propria, ossia la produzione in eccesso di sebo, la modificazione della composizione lipidica e il blocco dei pori della pelle.

Sebbene l’antibiotico-resistenza sia un fenomeno in continua crescita, i principi attivi più utilizzati sono proprio antibiotici per via topica o sistemica (tetracicline, clindamicina ecc.). A ciò si aggiunge una potenziale alterazione del microbiota locale con il coinvolgimento di ceppi non direttamente implicati nell’eziopatologia. Minori evidenze sono invece disponibili per terapie anti-acne a base di acido salicilico, acido zelaico e perossido di benzoile, in quanto all’attività esfoliante abbinano quella antimicrobica.

Nonostante l’ampia varietà di terapie, rimane ancora da chiarire quale sia l’approccio più efficace e sicuro. I ricercatori australiani hanno quindi confrontato l’attività dei principi attivi più comuni (tetracicline, clindamicina, eritromicina, oxacillina, dapsone, acido salicilico, acido azelaico, perossido di benzoile) nei confronti di P. acnes, oltre che di A. acidipropionici, C. granulosum e S. aureus (anch’essi potenzialmente in grado di causare acne). A questi sono stati aggiunti ceppi responsabili di altri tipi di infezioni cutanee quali Streptococci (S. pyogenes e S. pneumoniae23), Bacilli (B. subtilis, B. cereus e B. megaterium), Enterococci (E. faecium e E. faecalis), Micrococci (M. luteus e Kocuria rosea) e, tra i Gram-negativi, Escherichia coli e Acinetobacter johnsonii. Di seguito i principali risultati.

Analizzando i dati del test MIC (Minimun inhibitory concentrations) condotto rispettivamente in presenza e assenza di ossigeno è emerso che:

  • i principi attivi antibiotici hanno mostrato potenza elevata (quindi attività a basse concentrazioni) nei confronti di un buon numero di ceppi. Clindamicina, eritromicina e oxacillina hanno tuttavia dimostrato inefficacia contro MRSA (S. aureus resistente a meticillina) e S. pneumoniae
  • di contro, i principi attivi non antibiotici hanno mostrato una potenza di circa 1.000 volte inferiore rispetto agli antibiotici testati, pur mantenendo inalterata la loro attività nei confronti di tutti i ceppi, inclusi quelli antibiotico-resistenti.

Soprattutto nei casi più lievi, quindi, l’adozione di terapie non antibiotiche per il trattamento dell’acne potrebbe essere una valida alternativa per contrastare il diffondersi dell’antibiotico-resistenza. Sebbene sia necessario un incremento della dose, l’attività antibatterica sembrerebbe infatti confermata. Ulteriori studi sono tuttavia necessari affinché sia possibile adottarli in maniera corretta nella pratica clinica.

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