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Dermatite atopica: al via studio sul trapianto di microbiota cutaneo

Studio USA dimostra che specifici batteri sono in grado di ridurre le concentrazioni di Staphylococcus aureus nei pazienti con dermatite atopica.
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Dermatite atopica: al via studio sul trapianto di microbiota cutaneo

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I batteri commensali cutanei lavorano in sinergia con il sistema immunitario e proteggono l’organismo dallo Staphylococcus aureus: la loro carenza in patologie come la dermatite atopica sarebbe uno dei fattori che ne favoriscono lo sviluppo. Sono queste le conclusioni di uno studio condotto dalla University of California, San Diego, La Jolla (USA), pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine.

Secondo quanto emerge, sarebbero alcune specie batteriche a rilasciare i peptidi antimicrobici che inibiscono la proliferazione dello Staphylococcus aureus.

I peptidi antimicrobici (AMP), molecole prodotte da diversi tipi di cellule, rappresentano una linea di difesa immunitaria essenziale per l’organismo. In questo studio, i ricercatori hanno scoperto per la prima volta l’azione di peptidi prodotti da alcuni ceppi di batteri commensali cutanei, in particolare lo Staphylococcus epidermidis e lo Staphylococcus hominis. La carenza di questi batteri, favorendo la proliferazione dello S. aureus, contribuirebbe a esacerbare i sintomi della dermatite atopica.

Per verificare tale ipotesi, i ricercatori hanno condotto una serie di analisi su campioni cutanei ottenuti da un piccolo numero di soggetti: 30 individui sani e 49 affetti da dermatite atopica. A fronte di una sostanziale similarità nella composizione del microbioma, le analisi genetiche compiute sui campioni hanno evidenziato un’attività antimicrobica fino a dieci volte superiore nei soggetti sani. Alcuni specifici ceppi batterici di S. epidermidis e S. hominis risultano molto meno abbondanti in presenza di dermatite atopica, in particolar modo nelle colture cellulari positive alla presenza di Staphylococcus aureus.

L’attività antimicrobica di questi ceppi batterici è stata confermata attraverso la loro applicazione in vivo su pelli suine e roditori colonizzati da S. aureus. Solo i ceppi attivi, applicati a concentrazioni paragonabili a quelle della cute umana, sono stati infatti in grado di ridurre la popolazione di S. aureus. Le analisi successive hanno inoltre permesso di identificare con precisione gli AMP prodotti da questi ceppi batterici, evidenziandone la sostanziale carenza nei soggetti affetti da dermatite atopica.

Anche la cute, tuttavia, produce numerosi peptidi antimicrobici: presi in considerazione singolarmente, la loro efficacia nei confronti dello S. aureus è risultata però inferiore rispetto a quella dei peptidi prodotti dai batteri. Tuttavia, la loro azione combinata è in grado di aumentare fino a trentadue volte l’efficacia dell’azione antimicrobica.

L’efficacia dei batteri e dei loro peptidi antimicrobici è stata infine testata su cinque pazienti affetti da dermatite atopica, positivi allo Staphylococcus aureus: a 24 ore dall’applicazione dei batteri, la popolazione di questo batteri è calata in modo drastico.

La scoperta, secondo i ricercatori, rappresenta una potenziale opzione terapeutica addirittura preferibile alla terapia antibiotica classica: i peptidi antimicrobici prodotti dai batteri commensali cutanei, grazie alla loro attività fortemente selettiva, eliminano gli agenti patogeni senza turbare l’equilibrio del microbioma, laddove un antibiotico comune potrebbe eliminare ceppi batterici benefici e creare le condizioni per una ricolonizzazione da parte dello Staphylococcus aureus.

La ricerca non si è comunque esaurita: sono i ricercatori stessi a spiegare che, allo stato attuale, non è ancora stata stilata una lista completa dei batteri potenzialmente benefici. «Una grande varietà di batteri potrebbe avere questa funzione, e i fattori che influenzano la loro sopravvivenza non sono ancora stati compresi» concludono gli autori nello studio.  Le autorità sanitarie statunitensi, comunque, hanno già approvato una procedura di trapianto del microbioma cutaneo, ed è in fase di impostazione un trial clinico per verificarne l’efficacia.

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