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Sport e microbiota: le prestazioni potrebbero dipendere da batteri intestinali

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Il microbiota degli sportivi professionisti sarebbe diverso da quello dei soggetti sedentari non solo per composizione, ma anche a livello metabolico e funzionale.

È quanto emerge da una ricerca della National University of Ireland, a Cork, in cui è stata messa a confronto la popolazione batterica intestinale di 40 rugbisti professionisti con quella di 46 soggetti sani suddivisi per indice di massa corporea.

Lo studio, coordinato da Orla O’Sullivan e pubblicato su Gut, mette in luce un aspetto pragmatico del microbiota: più che la composizione in sé, è importante indagare sulla sua funzionalità e attività metabolica.

Guardando alla precedente letteratura scientifica, è ormai noto che l’esercizio fisico regolare incida sull’omeostasi sistemica provocando risposte a livello degli organi, molecolare, fisiologico, metabolico, del sistema immunitario e anche dell’asse intestino-cervello. Praticare sport offre inoltre una possibilità di trattamento e prevenzione di svariate condizioni croniche in cui il microbiota intestinale è in qualche modo implicato.

Al contrario, la sedentarietà contribuisce allo sviluppo delle cosiddette malattie del progresso, anch’esse legate alla composizione batterica, tra le quali si annoverano l’obesità, il diabete, l’asma e le patologie cardiovascolari.

Sport vs sedentarietà

Gli stessi autori irlandesi avevano già pubblicato uno studio che, utilizzando il sequenziamento del 16S rRNA, indagava sulle differenze microbiche tra sportivi e sedentari. Per quanto quello studio mostrasse le differenze a livello di composizione batterica, restava aperta una domanda: un microbiota diverso corrisponde necessariamente a cambiamenti a livello funzionale e metabolico?

Il team ha quindi deciso di cercare una risposta a posteriori analizzando gli stessi campioni biologici del primo studio con tecniche diverse.

Sono state effettuati il sequenziamento shotgun e l’analisi dei metaboliti dell’ospite e dei batteri per arrivare a una comprensione più completa sia della tassonomia batterica, sia del potenziale funzionale.

Nella ricerca sono stati inclusi un gruppo di 40 rugbisti professionisti maschi, un gruppo di controllo composto da 22 soggetti sani con un IMC ≤ 25.2 e un altro gruppo di controllo formato da 24 soggetti con IMC ≥ 26.5.

Dall’analisi metagenomica funzionale dei campioni fecale, su un totale di 19.300 pathway metabolici trovati, 98 sono risultati differenti nelle tre coorti. Sono inoltre emerse differenze nel numero dei pathway tra i gruppi. La maggiore abbondanza di questi, infatti, è stata osservata negli atleti, mentre la minore nei soggetti con alto IMC.

Questa grande quantità di pathway metabolici nei rugbisti professionisti è stata correlata all’aumento di alcuni marker nel sangue (creatinchinasi e bilirubina) e alle calorie totali assunte giornalmente, mentre la maggior parte delle correlazioni per i gruppi di controllo è dipesa dall’apporto dei macronutrienti (proteine, fibre, carboidrati, zuccheri, amido, grassi).

L’analisi delle urine e delle feci tramite risonanza magnetica nucleare protonica ha rivelato, per gli atleti, alti livelli di trimetilammina-N-ossido (TMAO), L-carnitina, dimetilglicina, O-acetilcarnitina, prolina betaina, creatina, lo ione acetoacetato, acido 3-idrossi-isovalerico, acetone, N-metilnicotinato, N-metilnicotinamide, fenilacetilglutammina (PAG), 3-metilistidina, propionato, acetato, butirrato, trimetilammina (TMA), lisina e metilammina.

Sempre nel gruppo “sport”, mediante cromatografia liquida ad alta prestazione-spettrometria di massa, sono stati trovate alte quantità di acido N-formilantranilico, acido idantoina-5-propionico, acido 3-carbossi-4-metil-5-propil-2-furanpropionico (CMPF), CMPF glucurinide, acido trimetafosforico, acetilcarnitina, propionilcarnitina, isobutirrilcarnitina, 1-carnitina, L-valina, acido nicotinurico, acido 4-pirossidico e creatina.

Infine la misurazione attraverso gascromatografia-spettrometria di massa ha rivelato, da un lato, un legame diretto tra acidi grassi a catena corta e numero di pathway metabolici, dall’altro, una correlazione tra attività fisica agonistica e acetato, propionato, butirrato e valerato.

Un microbiota di “talento”

«Lo studio – spiega Gianluca Ianiro, gastroenterologo della Fondazione Policlinico A. Gemelli di Roma – è andato a valutare la composizione del microbiota intestinale in un gruppo di rugbisti, scoprendo che questi atleti hanno una esaltata sintesi di aminoacidi e un aumentato metabolismo dei carboidrati; il loro microbiota è inoltre in grado di produrre un maggior quantitativo di acidi grassi a catena corta (che sono associati ad una migliore fitness muscolare e in generale a un miglior stato di salute) rispetto alle persone sedentarie».

«Al momento non è chiaro se è la dieta degli atleti o il tipo di attività sportiva a selezionare delle tipologie particolari di microbiota – commenta il professor Antonio Craxì, presidente SIGE – potrebbe infatti essere piuttosto questo tipo di microbiota a facilitare le loro performance atletiche e contribuire a fare di un individuo un atleta di talento».

I risultati dello studio irlandese indicano che negli atleti, rispetto ai soggetti sedentari, è presente una maggiore abbondanza di pathway metabolici i quali conferiscono benefici all’organismo in termini di ricambio cellulare e produzione di energia.

Tuttavia, aggiunge Ianiro: «Non sappiamo se è nato primo l’uovo o la gallina, cioè se queste persone hanno un microbiota ‘di talento’ che magari poi si è sviluppato nel tempo, perché lo esercitano attraverso la dieta e l’esercizio, entrando in un circolo virtuoso di selezione naturale».

Nondimeno è da evidenziare il fatto lo studio è basato su campioni prelevati da rugbisti professionisti, sportivi sottoposti a sforzi fisici e apporto proteico certamente maggiori rispetto ad altre discipline.

Le ricerche che indagano la correlazione tra sport e microbiota, però, sono in aumento ed è probabile che in breve tempo si avranno risposte più certe.

Giovanni R. Dioretico

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