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Sclerosi multipla: modificare il microbiota potrebbe migliorare il decorso

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Sclerosi multipla: modificare il microbiota potrebbe migliorare il decorso

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Una dieta a basso contenuto di proteine e grassi animali oltre che di prodotti raffinati, ma ricca di alimenti di origine vegetale sembrerebbe in grado di portare notevoli benefici a pazienti con sclerosi multipla cronica progressiva.

Questo è quanto si può affermare da uno studio pilota condotto da un gruppo di ricerca delle Università di Milano e di Verona e della Fondazione Don Carlo Gnocchi, pubblicato in questi giorni nella rivista Frontiers in Immunology.

Il trial, supportato da promettenti dati in vivo e da preliminari risultati sull’uomo, ha coinvolto 20 pazienti per un anno. Dieci di loro (gruppo 1) per tutto il periodo di osservazione hanno condotto una dieta “regolata”, sotto il controllo di un nutrizionista esperto, ricca di prodotti vegetali e poco raffinati. I restanti dieci (gruppo 2) hanno continuato a seguire una normale “dieta occidentale”.

I due gruppi sono risultati omogenei per sesso, età e quadro della patologia.  Al termine del follow-up sono stati collezionati campioni fecali, di sangue ed eseguita una visita neurologica di controllo. Tra le principali tecniche di analisi utilizzate troviamo la 16S V4 rDNA, la PCR e la classificazione OTUs.

Sclerosi multipla, microbiota e sistema immunitario: la dieta è fondamentale

Quello che Marina Saresella e gli altri ricercatori hanno voluto approfondire è soprattutto in che misura la dieta possa influenzare la composizione del microbioma intestinale e di come questo a sua volta determini una variazione nella risposta immunitaria e infiammatoria, in quanto fattori determinanti il quadro della patologia.

La sclerosi multipla è una malattia autoimmune con base infiammatoria che colpisce principalmente il sistema nervoso centrale portando a una progressiva demielinizzazione con conseguente perdita di capacità locomotoria, visiva e cognitiva.

Quali sono stati i risultati ottenuti confrontando i dati dei due gruppi?

Per quanto riguarda la composizione del microbioma intestinale a livello di phylum è stata riscontrata una differenza statisticamente significativa solo per quello Euryarchaeota, più presente nel gruppo 2, cioè quello con dieta “occidentale”, rispetto all’altro.

A livello di familia invece, Lachnospiraceae è risultata significativamente più rappresentata nel gruppo 1, cioè a “dieta regolata”.

Appartenente al phylum Firmicutes, Lachnospiraceae è fisiologicamente attiva nella produzione di butirrato il quale, come è già stato più volte confermato, ha un ruolo positivo nella stimolazione e differenziazione di citochine anti-infiammatorie oltre che nel mantenere l’integrità della barriera intestinale impedendo l’entrata di cellule infiammatorie nel torrente circolatorio.

Dall’analisi dei campioni ematici invece è risultato, in maniera statisticamente significativa, come in quelli prelevati dal gruppo 1 la concentrazione di IL-17/linfociti T CD4+ e quella di PD-1/linfociti T CD4+ fosse ridotta mentre aumentata si è dimostrata quella di PD-L1 esprimente monociti CD14+.

Profilo analogo lo si riscontra nella fase remissiva della patologia. Negli stessi campioni, elevata ma non significativa, si è dimostrata inoltre la concentrazione dei fattori immunomodulanti Treg.

Per verificare se la variazione di concentrazione di questi parametri immunitari fosse correlata o meno alla spiccata presenza di Lachnospiraceae nel gruppo a “dieta regolata”, e quindi dipendesse dalla composizione del microbioma, sono state condotte ulteriori analisi comparative. Correlazione positiva e significativa è stata confermata, sempre nel primo gruppo, sia tra Lachnospiraceae e CD14+/IL10+ sia con CD14+/TGFbeta+.

È stato infine valutato l’impatto della dieta sperimentale sul quadro clinico della patologia in sé prendendo in esame il punteggio EDSS (Expanded Disability Status Scale), confrontato poi con quello al momento del reclutamento, e il numero di ricadute (relapse) durante lo studio.

Il gruppo a dieta “regolata” oltre ad aver mostrato una riduzione del punteggio EDSS rispetto al valore di base registrato, il che significa un miglioramento dello stato di disabilità, ha registrato anche una riduzione del numero di ricadute (relapse rate) nel corso dello studio mentre era risultato comparabile nei due gruppi all’inizio dell’osservazione.

Ulteriore conferma sul ruolo dell’alimentazione nella sclerosi multipla

In conclusione si può dunque affermare come una dieta a basso contenuto di alimenti raffinati, proteine e grassi animali e basata invece su fonti vegetali e poco elaborate sia in grado di apportare, anche tramite una parziale modifica del microbioma intestinale, rilevanti benefici a pazienti con sclerosi multipla cronica progressiva sia dal punto di vista della sintomatologia clinica tipica della patologia sia dal punto di vista immunitario e infiammatorio.

Gli stessi ricercatori tuttavia sottolineano come questi siano risultati preliminari in quanto si tratta di un test pilota condotto su un ristretto numero di pazienti, con un quadro di patologia ben definito e senza aver raccolto campioni di raffronto al momento del reclutamento. I profili immunitari e della prevalenza batterica ottenuti potrebbero quindi non esser dovuti solamente al cambio della dieta.

I dati raccolti sono comunque un ottimo punto di partenza per un nuovo approccio terapeutico che veda associata una terapia farmacologica con una alimentare.

Silvia Radrezza
Laureata in Farmacia presso l’Univ. degli Studi di Ferrara, consegue un Master di 1° livello in Ricerca Clinica all’ Univ. degli Studi di Milano. Borsista all’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS dal 2017 al 2018, è ora post-doc presso Max Planck Institute of Molecular Cell Biology and Genetics a Dresda (Germania).

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