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Patologia renale cronica: microbiota intestinale possibile target terapeutico

L'alimentazione avrebbe effetti positivi sulla funzionalità renale modulando l’attività metabolica del microbioma intestinale. Lo afferma uno studio su Science.
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Patologia renale cronica: microbiota intestinale possibile target terapeutico

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In questo articolo

Stato dell’arte
Tra la patologia renale cronica e il microbioma intestinale sembrerebbe esserci una relazione. I meccanismi che ne stanno alla base rimango tuttavia da chiarire.

Cosa aggiunge questo studio
Scopo dello studio è stato quello di valutare l’impatto dell’alimentazione sul microbioma intestinale e di come questo si ricolleghi alla funzionalità renale.

Conclusioni
Gli amminoacidi contenenti gruppi solfuro assunti con la dieta sembrerebbe modulare la funzionalità batterica supportando la funzionalità renale attraverso modifiche post-trasduzionali senza alternarne la composizione.


L’alimentazione sembrerebbe avere effetti positivi sulla funzionalità renale modulando l’attività metabolica del microbioma intestinale senza alternarne la composizione complessiva. Questo lo si collega in particolare ad amminoacidi contenenti gruppi di solfuro, in grado di modificare l’attività dell’enzima batterico triptofanasi attraverso modifiche post-trasduzionali.

Lo affermano Lior Lobel e colleghi della Harvard T.H. Chan School of Public Health di Boston (USA) in una recente pubblicazione su Science.

Malattia renale cronica e proteine

La disfunzione renale cronica colpisce circa 850 milioni di persone nel mondo. Nonostante la correzione dell’alimentazione sia fondamentale nel trattamento di questa patologia e la ben nota relazione tra microbioma e dieta, i meccanismi di interazione in questo contesto rimangono ancora da chiarire. Poco infatti è conosciuto riguardo agli effetti di determinate proteine e amminoacidi.

In generale, un aumento di proteine ha dimostrato un parallelo aumento di tossine uremiche (indolo e indolo solfato) dalle diverse funzioni fisiologiche, alcune delle quali mediate da modificazioni post-trasduzionali mediante S-sulfidratazione.

Ma come queste si relazionano al microbioma? è possibile apportare ulteriori miglioramenti alla salute renale intervenendo in modo più mirato sulla dieta?

È stato questo lo scopo di questo studio condotto su modelli murini di disfunzione renale cronica (CKD) alimentati con differenti apporti di amminoacidi (variazioni di amminoacidi sulforati o Saa, adenina, metionina e cisteina). Gli esperimenti condotti e i risultati ottenuti sono stati molti. Vediamo i principali.

  • in modelli SPF (specific-pathogens free), bassi livelli di Saa bilanciati da un supplemento di adenina hanno comportato un aumento dei livelli di creatinina sierica rispetto a modelli con alti Saa + adenina oltre che a cambiamenti istopatologici della corteccia renale e dilatazione tubolare con deposizione di cristalli
  • in modelli germ-free la dieta a ridotti Saa + adenina ha comportato livelli di creatinina e danni renali notevolmente inferiori rispetto al gruppo SPF. Fenotipi simili invece tra i gruppi GF e SPF con abbondanti Saa e adenina

Considerando come, seppur in misura minore, sia stati registrati danni renali nel gruppo GF, i ricercatori hanno valutato quali potessero essere i geni dell’ospite implicati nella disfunzione renale dimostrando in generale come un ridotto apporto di Saa favorisse un fenotipo patologico. Nel dettaglio, l’espressione di Spp1 (Osteopontin), Tgfb1 e Icam1 è risultata incrementata nel gruppo GF rispetto a SPF in dieta a ridotti Saa con, di contro, un aumento di Ccl2 e Timp1.

Amminoacidi sulforati e microbiota intestinale

È stato dunque investigato ulteriormente il legame tra Saa e microbiota focalizzandosi sul metabolismo della cisteina in idrossido solfato.

  • il gruppo SPF con alti Saa ha dimostrato i maggiori livelli di sulfide nel cieco rispetto al corrispettivo con pochi Saa. Ancora più inferiori sono stati registrati nei GF
  • nessuna differenza di abbondanza tassonomica nei modelli SPF è emersa in base all’apporto di Saa suggerendo come le differenze nel contenuto di sulfide sia mediato da una funzionalità alterata anziché da una disbiosi vera e propria

Per una maggiore trasferibilità di risultati, sfruttando database pubblici i ricercatori hanno profilato il microbiota di pazienti con disfunzione renale cronica comparandolo con soggetti sani dimostrando come la famiglia Enterobacteriaceae sia significativamente aumentata nel gruppo di pazienti. Aumento anche di E. coli nei pazienti all’ultimo stadio.

Approfondendo il ruolo di questi ceppi in vivo, è stato infatti dimostrato come il gruppo solfato derivante da una dieta proteica (Saa) regoli la produzione di indolo da parte di E.coli per inibizione enzimatica (triptofanasi). A sua volta la produzione di indolo è regolata dai livelli di sulfide prodotta dal microbiota.

È infine emerso come un singolo elemento della dieta (Saa) sia in grado di generare modifiche post-trasduzionali nelle proteine batteriche influenzando allo stesso tempo la fisiologia dell’ospite contribuendo al decorso di malattia CKD.

Conclusioni

La dieta ha un ruolo fondamentale nella gestione della disfunzione renale cronica. La somministrazione di inibitori di triptofanasi, donatori di gruppi solfato ad esempio, potrebbe ridurre la produzione di indolo intestinale migliorando la condizione clinica di questi pazienti.

Pur considerando la preliminarietà e la necessità di ulteriori approfondimenti, questi risultati suggeriscono una possibile alternativa nella gestione della disfunzione cronica renale basata sul microbiota e l’attività enzimatica del suo proteoma.

Silvia Radrezza
Laureata in Farmacia presso l’Univ. degli Studi di Ferrara, consegue un Master di 1° livello in Ricerca Clinica all’ Univ. degli Studi di Milano. Borsista all’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS dal 2017 al 2018, è ora post-doc presso Max Planck Institute of Molecular Cell Biology and Genetics a Dresda (Germania).

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