Anche in presenza di dolore non viscerale come può essere, per esempio, quello provocato da fibromialgia, il microbioma intestinale risulta alterato in termini sia di composizione sia di funzionalità. Conoscerne le caratteristiche peculiari offre un importante supporto nella diagnosi e/o nel trattamento di questa patologia, spesso difficile per la generalità dei sintomi.
È quanto dimostra lo studio condotto da Amir Minerbi e colleghi della McGill University Health Centre, in Canada, e pubblicato su Pain.
La fibromialgia (FM) è una delle sindromi di dolore generalizzato più comuni e colpisce circa il 2-4% della popolazione adulta, un dato che è probabilmente sottostimato considerando la non specificità dei sintomi (dolore, stanchezza fisica, disturbi del sonno e cognitivi).
L’incertezza diagnostica è aumentata dalla scarsa conoscenza della sua eziologia, ma un aiuto potrebbe venire dall’analisi del microbioma intestinale. Numerosi studi indicano, infatti, una correlazione tra il sintomo doloroso e la popolazione batterica tramite l’asse intestino-cervello, ma si focalizzano soprattutto sul dolore in sede gastrointestinale. Si sa poco, invece, dell’eventuale coinvolgimento del microbioma in situazioni di dolore riscontrato in altre sedi anatomiche e/o di dolore generalizzato.
A tal proposito, i ricercatori canadesi, attraverso la raccolta di campioni fecali, hanno confrontato il microbioma intestinale di 77 donne con FM (9.3 come punteggio medio nella scala di severità FSDC) e 79 donne controllo (11 mamme di alcune donne con fibromialgia, 20 membri di famiglia, 48 senza nessun legame). Sono stati, inoltre, valutati alcuni parametri secondari ma correlati alla malattia, come la qualità del riposo notturno, dell’alimentazione, la stanchezza. Di seguito i risultati ottenuti.
Dall’analisi complessiva dei campioni fecali sono risultati 1.620 OTUs:
- 8 sono stati classificati a livello di classe, 25 di ordine, 179 di famiglia, 716 di genere, 349 di specie e 343 sono rimasti invece non classificati;
- tra tutti i campioni, i phyla predominanti sono risultati essere Bacteroidetes (48%), Firmicutes (40%), Proteobacteria (4%) e Actinobacteria (2%);
- dei 349 OTUs classificati a livello di specie, 312 hanno dimostrato sequenza unica, 37 condivisa con altre specie;
- B. dorei, B. uniformis, B. stercoris, B. ovatus, Prevotella copri, A. putredinis e F. prausnitzii sono risultate le specie più abbondanti.
Differenze nell’abbondanza di alcune specie
Confrontando il microbioma dei due gruppi, è emerso che:
- l’alpha-diversity non si differenzia in maniera considerevole. Piccola, ma significativa, è invece la differenza dell’indice di biodiversità soprattutto tra i controlli non imparentati e il gruppo con FM;
- 72 OTUs hanno dimostrato differenza significativa in termini di abbondanza: 53 sono risultati più abbondanti nel gruppo FM e 18 in quello controllo. Tra questi, Parabacteroides_merdae_4 e Clostridium_scindens_1 sono risultati i più espressi nel gruppo FM, contrariamente a Prevotella_copri_1 e Bacteroides_uniformis_3, notevolmente ridotti. A questi si aggiungono F. prausntizii e B. uniformis, poco espressi nel gruppo FM, e Intestinimonas butyriciproducens, Flavonifractor plautii, Butyricoccus desmolans, Eisenbergiella tayi ed E. massiliensis che hanno invece registrato un incremento in questo gruppo;
- la differenza di espressione batterica tra i due gruppi è risultata correlata solamente alla presenza di malattia, non ad altri possibili confondenti come variabili antropometriche ecc.
È stato infine analizzato il profilo metabolico sierico microbioma-dipendente e l’eventuale associazione tra composizione batterica e indici clinici di malattia.
- i livelli sierici di acido butirrico sono risultati superiori nel gruppo FM, mentre sono risultati inferiori quelli di acido propionico e, in misura meno marcata, quelli di isobutirrico. Non si è osservata, invece, alcuna differenza per l’acido lattico;
- l’intensità e la diffusione del dolore e la stanchezza fisica e mentale sono risultate positivamente associate a diversi taxa batterici, tra i quali Bacteroides e Clostridiales.
Questo studio, forse primo nel suo genere, suggerisce come anche un dolore non viscerale possa alterare la componente batterica intestinale, offrendo un potenziale supporto in fase diagnostica e/o terapeutica. Ulteriori studi sono tuttavia necessari al fine di approfondire meglio questo processo, per individuare il nesso causa-effetto oltre che i meccanismi di base.