Le patologie cardiovascolari incidono per quasi 15 miliardi di euro l’anno sul nostro sistema sanitario e uno dei principali fattori di rischio è dato dall’ipercolesterolemia, che impatta sul 35% della popolazione tra i 35 e i 75 anni, per un totale di 11 milioni di individui. Un paziente ipercolesterolemico, oggi, ha un ventaglio di terapie rimborsate dal sistema sanitario che pesa circa 1 miliardo di euro di spesa pubblica, ma vi sono alcune criticità.
In primo luogo i soggetti ipercolesterolemici con rischio basso hanno difficoltà ad accedere al rimborso del farmaco da parte del sistema pubblico. Inoltre, vi è il problema, sottolineato dai dati di AIFA, della bassa aderenza: a un anno non si va oltre il 43%. In entrambi i casi l’integrazione potrebbe risultare importante per mantenere stabili i livelli di gravità della malattia del paziente.
A questi si aggiungono i soggetti che invece seguono la terapia e hanno livelli di gravità dell’ipercolesterolemia maggiore. Qui l’integrazione potrebbe essere un supporto alle terapie tradizionali nel mantenimento dei livelli di LDL, evitando l’aggravarsi di patologie cardiovascolari che hanno costi che possono arrivare fino a tra i 6.000 e gli 8.800 euro l’anno.
Mantenere sotto controllo l’ipercolesterolemia significa stare meglio ed evitare che nel tempo si ricada in spese per il sistema sanitario, che in ultima istanza impattano sulla collettività.
Giorgio Lorenzo Colombo dell’Università di Pavia ci spiega il ruolo della nutraceutica nel contenimento della spesa del SSN.
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