Negli ultimi anni, è andata affermandosi l’idea che vi sia una relazione tra obesità e squilibri nella popolazione batterica intestinale, grazie ai risultati di svariati studi che hanno avuto una certa diffusione nel grande pubblico.
Tuttavia, una ricerca condotta presso l’Università del Michigan, negli USA, e pubblicata sulla rivista mBio ha rimesso in discussione tale ipotesi attraverso un’analisi comparata su dieci dei maggiori studi condotti sull’argomento.
I ricercatori sono giunti alla conclusione che non esiste una vera e propria cifra comune nella composizione del microbioma nella popolazione affetta da obesità.
La scoperta, per quanto possa scoraggiare pazienti e produttori di integratori che agiscono sul microbioma intestinale per renderlo “più sano”, è comunque considerata promettente dai ricercatori: se non c’è una vera correlazione fra obesità e microbioma, significa che la relazione fra la popolazione batterica e la salute è più complessa di quel che si credeva. E che abbiamo ancora molto da imparare su questo argomento.
L’idea che l’obesità fosse correlata a un microbioma “squilibrato” è scaturita da ricerche condotte su animali.
Sul modello animale è effettivamente emersa una correlazione fra obesità e una certa composizione di specie batteriche, e tale correlazione ha spinto a condurre studi per verificare l’ipotesi sugli esseri umani.
Alcuni di questi studi, tuttavia, sono stati condotti su un campione di pazienti molto ristretto e, nonostante l’ampia diffusione sui media, non hanno tenuto in considerazione le differenze fra esseri umani e roditori da laboratorio, nonché la necessità di verificare i risultati su un campione ampio di persone.
Ora, i ricercatori dell’Università del Michigan hanno selezionato 10 studi indipendenti sull’argomento, confrontando e classificando attraverso l’uso di un modello informatico i risultati ottenuti da tali studi.
Il modello è stato usato anche come strumento predittivo, per stabilire se un individuo è obeso oppure no, sulla base della composizione del suo microbioma.
È emerso che il modello non garantisce risultati accurati su tutti gli studi presi in considerazione: l’accuratezza delle previsioni è stata definita dagli scienziati «poco più che casuale», con percentuali di successo che oscillano fra il 30% e il 60%.
«Non esiste un vero e proprio microbioma “sano”» spiega Patrick Schloss, che ha coordinato la ricerca. «Si potrebbero osservare centinaia di persone, ognuna delle quali con una popolazione batterica intestinale diversa. L’idea che si possa correggere il proprio microbioma non regge».
Ciò non toglie, aggiunge il ricercatore, che sia opportuno seguire abitudini alimentari sane per mantenere il necessario nutrimento al microbioma.
«Comunque, abbiamo scoperto che non esistono schemi chiari o predittivi dell’obesità sulla base dei microbiomi che abbiamo analizzato finora. Se c’è uno schema correlato alla diversità del microbioma, non è biologicamente utile. Significa che c’è ancora molto lavoro da fare per stabilire ciò che sappiamo e ciò che non sappiamo sull’argomento» conclude Schloss.
Il team di ricerca sta sviluppando uno strumento simile per scoprire eventuali correlazioni fra microbioma e tumore colon-rettale.
Un’analisi condotta in precedenza quest’anno su diverse centinaia di persone ha mostrato una certa efficacia del modello nel rilevare similitudini nel microbioma dei pazienti affetti da questa neoplasia.
Il modello, spiegano gli scienziati, potrebbe essere applicato anche per rilevare l’impatto del microbioma familiare nei casi di tumore colon-rettale ereditario: l’obiettivo finale è lo sviluppo di uno strumento diagnostico e predittivo per questo tipo di tumore attraverso la raccolta di un campione fecale.
Un altro potenziale campo di ricerca potrebbe essere rappresentato dallo studio dei metaboliti, i prodotti “di scarto” dei batteri intestinali nel tratto digestivo, che potrebbero fornire dati ancora più accurati sull’attività microbica.
La cosa più importante, secondo i ricercatori, resta comunque la prudenza nell’analisi dei risultati: soprattutto nel microbioma umano, un risultato iniziale promettente non è automaticamente l’ultima parola sull’argomento.
«Dobbiamo contribuire all’avanzamento della scienza e pensare in maniera più critica ai risultati che otteniamo» puntualizza Schloss. «C’è bisogno di controverifiche, e dobbiamo capire che si possono ottenere risultati diversi su popolazioni diverse».
«L’idea che non esista in assoluto un microbioma “sano” è ampiamente condivisibile» commenta Eva Pericolini, microbiologa e ricercatrice all’Università di Perugia «e la diretta correlazione di una specifica tipologia di popolazione microbica, in senso generale, all’obesità è per lo meno semplicistica. Ma questo non esclude che ci sia un legame tra variazioni nel microbiota e obesità».
Le variabili da considerare per parlare di microbiota “sano” sono infatti moltissime. «Solo per citarne alcune» prosegue la microbiologa «vanno annoverate le interazioni che intercorrono tra le varie specie microbiche tra loro e tra le specie microbiche e le cellule dell’ospite e come i prodotti del metabolismo microbico influenzano la risposta delle cellule dell’ospite».
Siamo in presenza di un sistema estremamente complesso con moltissime interconnessioni. «Uno degli aspetti più importanti da considerare» conclude Pericolini «che viene sottolineato in questo studio, è capire quanto i modelli murini possano fornire dei dati che rispecchino le osservazioni fatte sui soggetti umani e chiederci se esistano altre strade, al di là dei modelli animali, più efficaci per analizzare il legame tra variazioni nel microbiota ed obesità».