Secondo una review narrativa realizzata dall’Università di Bologna, lo stato di salute del microbiota intestinale potrebbe condizionare l’insorgenza e il decorso di alcune classiche malattie senili.
Per approfondire questo aspetto, i ricercatori coordinati da Silvia Turroni, del dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’ateneo bolognese, hanno analizzato i dati riportati in letteratura sul ruolo del microbiota nel processo di invecchiamento e sul suo potenziale terapeutico. Lo studio è stato pubblicato su Mechanisms of Ageing and Development.
Così evolve con il passare degli anni
Il microbiota si sviluppa a partire dalla nascita e si stabilizza tra i 31 e i 46 mesi. Non è possibile definire un periodo limite di crescita unico per tutti gli individui e nemmeno identificare un profilo microbico “invecchiato”, a causa della variabilità soggettiva di alcuni fattori (il tipo di parto, lo stile di vita, la fisiologia individuale).
Tuttavia, ci sono sono alcune, caratteristiche che accomunano gli ambienti intestinali “adulti”, come la scarsità di phyla – soprattutto Firmicutes e Bacteroidetes – e famiglie – specie Lachnospiraceae, Ruminococcaceae e Bacteroidaceae – e la prevalenza di centinaia di generi diversi impegnati nella produzione di sostanza indispensabili per l’organismo.
Accanto a questi fenomeni vanno sempre considerati anche i patogeni, che possono compromettere l’integrità della barriera intestinale e generare processi infiammatori locali e sistemici.
Microbiota, invecchiamento e farmaci
Secondo gli autori dello studio, la longevità di centenari e supercentenari (dai 105 anni in su) potrebbe essere correlata alla ricchezza di Bifidobacterium, Akkermansia e Christensenellaceae.
Una dieta povera di fibre, insieme all’espressione di geni coinvolti nel metabolismo di prodotti chimici nocivi – a causa dell’esposizione a numerosi xenobiotici – potrebbero alterare il microbiota e provocare la comparsa di diverse patologie.
Di seguito una panoramica sulle malattie senili e i microrganismi coinvolti.
- Nel microbiota degli anziani fragili – e di coloro che vivono in una RSA da molti anni – i batteri con proprietà antinfiammatorie, come il Faecalibacterium prausnitzii, vengono sopraffatti dalla sintesi di lipopolisaccaride (LPS) e dalla presenza di Enterobacteriaceae che, insieme al rilascio di TNF-alfa, IL-6, IL-8 e PCR, provocano infiammazione locale e sistemica.
- Nella malattia di Alzheimer si osserva un’alterazione nel rapporto tra le specie “buone” (Ruminococcaceae e Lachnospiraceae) e quelle “cattive” (Alistipes, Bacteroides), che prevalgono insieme ai patogeni (Collinsella, Sarcina e Ruminococcus). I pazienti gravi di Alzheimer e Parkinson mostrano una maggiore presenza di Escherichia/Shigella, mentre è minore quello di Eubacterium rectale e Bacteroides fragilis.
- La malattia di Parkinson è spesso associata a disturbi gastrointestinali. La riduzione dei batteri produttori di SCFA (Faecalibacterium, Blautia, Roseburia e Prevotella) e l’aumento di specie muco-degradanti (Akkermansia muciniphila e Oscillospira) aumenta la permeabilità e genera flogosi. Il farmaco di elezione nella cura di questa patologia, Levodopa, è il modello principale nello studio dell’interazione microbiota-farmaco. Infatti, la variabilità interindividuale della sua efficacia è condizionata proprio da Enterococcus e Lactobacillus, che ne riducono la biodisponibilità. Questo fenomeno potrebbe verificarsi, magari ad opera di microrganismi differenti, in molte terapie.
- Si registra una bassa quantità di alcuni ceppi produttori di SCFA – acidi grassi che tra l’altro modulano la pressione sanguigna – e la forte concentrazione di altri (Lactobacillus, Eggerthella e Bacteroides plebeius) nei pazienti affetti da ipertensione e patologie cardiovascolari. D’altro canto, l’assunzione elevata di acidi grassi promuove la biosintesi di LPS e quindi la stimolazione dei Toll-Like Receptors (TLR), che aumentano la permeabilità intestinale e la quantità di effettori pro-infiammatori, come il TMAO (un fattore di rischio cardiovascolare).
- La somministrazione degli ACE inibitori induce la proliferazione di Rothia e Blautia, ma riduce i livelli di Dorea. Inoltre, i pazienti che assumono beta-bloccanti hanno riportato la proporzione più alta di Streptococcaceae.
- Nei pazienti con Sindrome di Down, invece, si riscontra un’alta percentuale di Parasporobacterium e Sutterella. Alcuni ricercatori cinesi confermano l’influenza di Sutterella sui tratti comportamentali.
- Gli inibitori di pompa protonica inducono l’espansione di Micrococcaceae e del genere Rothia, che riducono la resistenza alle infezioni da Clostridioides difficile, Salmonella e Campylobacter. Di contro, in uno studio del 2020 il farmaco in vitro è stato metabolizzato da quasi tutti i 76 ceppi intestinali selezionati, in particolare Bacteroides e Clostridium.
- Il numero di studi effettuati sui FANS è limitato ma, sembra che tali farmaci provochino un aumento complessivo di microbi, con riduzione di Actinobacteria (compreso Collinsella) e Lactobacillus.
Microbiota ed eventi avversi ai farmaci
Il microbiota può attivare profarmaci (es. sulfasalazina e prontosil), inattivare farmaci biologicamente attivi (metotrexato, paracetamolo) e incidere sulla loro tossicità (FANS).
La ricerca sulla possibilità di modulare il microbiota tramite trapianto fecale è agli inizi. Sono riportati in letteratura risultati incoraggianti sia in ambito gastroenterologico sia in cardiologia. Soltanto nel 2021 è stato avviato un importante studio su individui affetti da Parkinson, per valutare l’impatto sulla disbiosi e sulla costipazione.
Per quanto riguarda i prebiotici, flavonoidi e polifenoli sono stati proposti nella cura dell’ipertensione, perché i microrganismi enterici li convertono nella loro forma attiva, aumentandone la biodisponibilità e mediandone gli effetti benefici.
Un altro tema caldo, protagonista indiscusso di studi clinici e preclinici, è costituito dalle miscele probiotiche nella cura di cirrosi, sarcopenia e ipertensione. Il successo di una miscela a base di Bifidobacterium bifidum e di tre specie di Lactobacillus nel miglioramento della funzione cognitiva e dello stato metabolico nell’Alzheimer, ha dato il via a una sperimentazione anche in questo ambito.
Gli studi sui simbionti sono, infine, ancora più emergenti. Il koji di soia nero, alimento fermentato – con l’aggiunta di funghi del genere Aspergillus e Rhizopus – dalle proprietà antiossidanti, è in fase di studio per valutarne la capacità di ritardare la perdita muscolare nei soggetti sarcopenici. Da una ricerca è emerso che il latte fermentato riduce la costipazione, grazie alla concentrazione maggiore di ceppi probiotici e fibre prebiotiche.
Conclusioni
Il tema dell’invecchiamento, nelle società occidentali, è sempre più sentito sia da parte delle autorità sanitarie, sia da parte dei ricercatori. Le conoscenze sul ruolo dei microbiota intestinale in questi processi sono ancora limitate, ma secondo gli autori nei prossimi anni avremo a disposizione strumenti in grado di migliorare lo stato di salute della popolazione anziana.