Trapianto di microbiota in oncologia: un nuovo studio aggiunge un ulteriore tassello sulla possibilità di modulare il microbiota intestinale per migliorare l’efficacia delle terapie immuno oncologiche.
Yu Chen e Xiulan Lai dell’Institute of Mathematical Sciences della Renmin University of China si sono concentrati sull’impiego del trapianto di microbiota fecale (FMT) – in associazione agli anti-PD-1 – per contrastare il melanoma.
Secondo i risultati dello studio, pubblicato di recente su Mathematical Biosciences, nei pazienti responders il microbiota fecale è correlato a un’alta concentrazione di cellule T CD8+; nei non-responders, invece, induce la differenziazione dei linfociti in Treg e quindi la proliferazione del tumore.
Il microbiota, prelevato dal primo gruppo di pazienti, è stato introdotto in modelli murini non rispondenti, nei quali ha ripristinato la sensibilità agli anti-PD-L1 e promosso l’apoptosi di gran parte delle cellule neoplastiche.
In seguito, si è passati al trial clinico, che ha incluso 15 pazienti e ha permesso di individuare i principali microrganismi coinvolti.
Il trapianto ha sortito gli stessi effetti del precedente studio su topo. Ma non solo: la quantità di specie favorevoli è aumentata durante le prime 30 settimane.
I batteri intestinali coinvolti
Secondo lo studio il proprio ambiente intestinale di partenza determina il successo dell’immunoterapia e se, anche in seguito al FMT, la quantità di microrganismi buoni è molto bassa, i pazienti non raggiungono l’immunità antitumorale.
I batteri svolgono infatti due grandi funzioni:
- possono reagire contro differenti forme di cancro, come il Fusobacterium nucleatum;
- migliorano le funzionalità dei checkpoint immunitari inibitori del PD-1, ed è il caso di Akkermansia muciniphila, Alistipies, Faecalibacterium, Lachnospiraceae, Bifidobacterium e Ruminococcaceae.
Meccanismi da chiarire
Ad oggi i meccanismi coinvolti nell’interazione tumore-sistema immunitario-microbiota non sono del tutto chiari, poiché sono pochi i trial condotti in questo campo.
Infatti, l’Università cinese è la prima ad aver ideato un sistema di equazioni differenziali, che considera le singole variabili di tale interazione, per esplorare il ruolo predittivo dei batteri nella risposta agli anti-PD-1.
Un altro approccio consiste nella manipolazione del microbiota per potenziare l’efficacia dei trattamenti tramite diverse strategie:
- modifica della dieta,
- uso di probiotici,
- FMT.
Cosa influenza la composizione del microbiota?
Gli scienziati hanno creato 40 pazienti virtuali con dinamiche batteriche differenti, per esaminare l’impatto della diversità e dell’eterogeneità dell’ambiente intestinale.
Sono stati esplorati i parametri come la quantità iniziale di microrganismi – favorevoli e non – e la capacità di carico degli individui. Questo ha permesso di distinguere le vere progressioni dalle pseudo-progressioni:
- nel primo caso alcuni pazienti, trattati con gli anti-PD-1, mostrano una crescita rapida e continua delle cellule tumorali che porta alla progressione del cancro o a morte. I batteri “cattivi” prevalgono su quelli “buoni” durante l’insorgenza della malattia;
- Il secondo caso, invece, in cui si assiste all’aumento iniziale e alla successiva diminuzione delle cellule neoplastiche caratterizza soprattutto i responders. L’ago della bilancia pende verso la flora favorevole che, specie all’inizio, si sviluppa più rapidamente di quella sfavorevole, consentendo di prevedere una risposta – con buona probabilità alta – al trattamento.
Sono stati inoltre sondati gli effetti degli antibiotici sulla stessa sopravvivenza, che risulta essere ridotta di circa tre anni, perché distruggono il 90 % dei batteri favorevoli.
Caso opposto è invece quello dei probiotici, che si presume ne potenzino lo sviluppo di circa cinque volte al tempo della somministrazione.
Conclusioni
Resta da chiarire, tramite ulteriori studi, cosa determina un ambiente intestinale favorevole in alcuni individui piuttosto che in altri e in che modo il microbiota condizioni l’esito della cura.
Ad oggi in Italia l’incidenza del melanoma è aumentata di circa il 15% rispetto al decennio precedente e nelle popolazioni europee – o di origine europea – tra il 1980 e il 2000 di circa il 4-8 % l’anno.
Diventa quindi indispensabile cercare validi percorsi terapeutici che possano ridurne la diffusione e il tasso di mortalità.