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Melanoma: trapianto di microbiota aumenta la risposta alla terapia con anti-PD1

Il trapianto di microbiota fecale e la re-introduzione di terapia con anti-PD1 potrebbe migliorare il decorso del melanoma metastatico.
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Melanoma: trapianto di microbiota aumenta la risposta alla terapia con anti-PD1

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In questo articolo

Stato dell’arte
Il microbioma intestinale ha mostrato di influenzare la risposta a chemioterapici immunomodulanti in vivo. Evidenze sull’uomo sono però carenti.

Cosa aggiunge questo studio
Scopo dello studio è stato quello di valutare la sicurezza e fattibilità del trapianto di microbioma fecale in pazienti con melanoma non responsivi alle cure standard con anti-PD-1. Non solo. Assieme al trapianto, è stata reintrodotta la terapia monitorandone nuovamente l’efficacia.

Conclusioni
Il trapianto è risultato, nel complesso, sicuro e ben tollerato facendo registrare inoltre un significativo miglioramento nella responsività alla terapia farmacologica.


Trapianto di microbiota fecale in pazienti con melanoma non responsivi alla standard terapia con anti-PD1 per migliorarne l’efficacia del trattamento. Sembrerebbe essere questa la strategia di pre- o co-intervento emersa dallo studio clinico di fase I coordinato da Erez N. Baruch del Sheba Medical Center (Israele), pubblicato in questi giorni su Science.

Farmaci immunoncologici nel melanoma

L’approccio immunoterapico mirato a controllare la morte cellulare programmata (checkpoint PD-1) ha dimostrato, in caso di melanoma metastatico, una completa e duratura efficacia del 10-20%.

Non tutte le proteine rispondono infatti a questo blocco o, se lo fanno, la risposta è solo parziale, permettendo al tumore di progredire. Molti studi hanno cercato quindi di capire come aumentare l’efficacia di tale terapia.

Speranze arrivano dalla modulazione del microbiota intestinale che, come è già stato ampiamente dimostrato, è attivamente coinvolto nella risposta immunitaria dell’ospite.

Le evidenze disponibili in materia di anti-PD1 e melanoma sono però, finora, basate su modelli murini; Intervenendo con trapianto di microbiota fecale si è infatti visto come i riceventi da pazienti rispondenti agli anti-PD1 abbiano maggiori livelli di infiltrazione di T-cells CD8+ intra-tumorali rispetto ai riceventi da non rispondenti.

Su questi dati preliminari, i ricercatori hanno quindi voluto valutare l’impatto del trapianto di microbioma fecale (FMT) da due pazienti con melanoma metastatico responsivi alla terapia con anti- PD-1 in 10 soggetti resistenti, dopo averne determinato sicurezza e fattibilità. Prima dell’intervento, i riceventi sono stati sottoposti a una parziale deplezione del microbioma di base con antibiotici.

Trapianto fecale e nivolumab

Al FMT è stata associata la terapia con nivolumab per sei cicli insieme con, un rafforzamento del FMT iniziale ogni 14 giorni per 90 giorni (terapia di mantenimento). La risposta al trattamento è stata verificata tramite esame diagnostico e l’indice iRECIST.

A ciò sono state abbinate valutazioni del materiale fecale, del benessere intestinale e della quadro tumorale (biopsie, infiltrati, espressione genica). Di seguito i principali risultati.

Valutando innanzitutto la sicurezza del FMT si sono registrati:

  • svariati eventi di media intensità immuno-correlati (artralgia soprattutto) e, in un caso, gonfiore addominale) tra il terzo e 15° giorno
  • nessun evento moderato o severo

Passando poi alla risposta oggettiva al trattamento (FMT e re-introduzione di anti-PD1) e alla riorganizzazione batterica::

  • tre riceventi (tutti dal primo donatore) hanno registrato completa o parziale risposta al trattamento
  • sulla base dell’analisi fecale, la composizione del microbiota intestinale di tutti i riceventi ha mostrato una complessiva riorganizzazione in termini di beta-diversity con un generale incremento della famiglia Veillonellaceae e un decremento di Bifidobacterium bifidum, entrambi ceppi coinvolti nella risposta immunitaria
  • nonostante non ci fossero differenze significative tra i riceventi al basale, si sono evidenziati anche profili batterici distinti nel post-intervento in base al donatore, soprattutto in termini di alpha-diversity. I riceventi dal primo donatore hanno infatti mostrato un arricchimento in particolare di Bifidobacterium adolescentis, mentre quelli dal secondo di Ruminococcus bromii
  • confrontando il microbioma dei tre rispondenti con quello dei restanti, nei primi si è dimostrata una maggiore presenza di Enterococcaceae, Enterococcus, e Streptococcus australis, contrapposta a una più scarsa di Veillonella atypica. Non è stato tuttavia possibile definire una diretta correlazione tra questi taxa e la risposta al trattamento
  • tra i rispondenti e non, si è mostrata un’analoga funzionalità metabolica correlata al microbioma. I riceventi dal donatore numero 1 hanno però dimostrato una up-regolazione dei geni correlati alla presentazione antigenica (APCs), immunità innata e IL-12. Di contro, i riceventi dal secondo donatore non hanno mostrato alcuna up-regolazione di geni immuno-correlati
  • l’infiltrazione di CD68+ nell’area subepiteliale intestinale è aumentata in tutti i riceventi (tranne uno). Aumento in sede tumorale nel post-intervento anche di CD8+ in cinque pazienti (89 vs 282 cellule/mm2)
  • le biopsie hanno mostrato un aumento dell’espressione di molteplici geni e vie di segnalazione immuno-correlate quali IFN, MHC II, attivazione cellule T, differenziazione cellule dendritiche, Th1. Questo incremento si è mantenuto nel tempo solo nei riceventi dal primo donatore

Conclusioni

Lo studio dimostra quindi come il trapianto di microbiota fecale da paziente responsivo e la re-introduzione di terapia con anti-PD1 è non solo sicuro, ma potrebbe significativamente migliorare il decorso del melanoma metastatico in molti soggetti che altrimenti non beneficerebbero della terapia.

Silvia Radrezza
Laureata in Farmacia presso l’Univ. degli Studi di Ferrara, consegue un Master di 1° livello in Ricerca Clinica all’ Univ. degli Studi di Milano. Borsista all’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS dal 2017 al 2018, è ora post-doc presso Max Planck Institute of Molecular Cell Biology and Genetics a Dresda (Germania).

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