Perché un medico di medicina generale dovrebbe interessarsi al microbioma intestinale? Numerosi studi hanno ormai dimostrato come una condizione di eubiosi intestinale sia fondamentale per il benessere dell’intestino e per l’intero organismo.
Una delle principali conseguenze della disbiosi è la cosiddetta low grade inflammation, un processo infiammatorio di bassa intensità e di lunga durata, subdolo perché difficilmente riconoscibile, ma non per questo meno pericoloso. 12
Questa condizione si può riverberare a diversi organi e apparati attraverso i cosiddetti assi funzionali.
Ma non sarebbe una competenza dei gastroenterologi?
Nella gestione delle dinamiche coinvolte nel mantenimento dello stato di eubiosi e nella prevenzione della disbiosi intestinale il medico di famiglia può svolgere un ruolo di straordinaria importanza. Da qui la necessità di un suo sempre più presente e qualificato impegno nel rapporto con i pazienti e le loro problematiche, al fine di conservare le migliori condizioni di vita dell’ecosistema intestinale che è di per sé assai delicato e mutevole.
Counseling essenziale
Innanzitutto il medico di medicina generale deve essere protagonista attento nel suo ruolo di educatore sulle dinamiche in gioco in tale contesto: informare i pazienti sull’importanza di un microbiota ben funzionante e sugli strumenti da adottare per mantenere il suo benessere dovrebbe occupare una parte rilevante del colloquio clinico con il paziente, ad esempio in relazione alle abitudini alimentari, allo stile di vita, all’uso ed all’abuso di farmaci o alla attitudine alla pratica sportiva: tutti elementi fortemente connessi alla composizione e alle caratteristiche dello specifico microbiota del paziente in esame.
Questa attività di counseling deve cominciare già nella fase prenatale, con lo scrupoloso coinvolgimento della futura madre nelle sue scelte durante la gravidanza, a partire dall’alimentazione più idonea al mantenimento dell’eubiosi e proseguendo con le indicazioni sulla scelta oculata e condivisa nell’uso dei farmaci e infine con la sollecitazione a una attività fisico sportiva modulata e controllata.
Un’attività che, grazie al lavoro dei pediatri, deve poi proseguire nella prima infanzia, ossia i primi mille giorni di vita, il periodo più delicato nella strutturazione di un microbiota ottimale. E che deve fondarsi su un’alleanza fra medico di famiglia, pediatra di libera scelta, genitori e figlio.
Il primo tema da affrontare è l’alimentazione corretta. Sappiamo che il primo driver per la modulazione, in positivo e in negativo, del microbiota intestinale è proprio la dieta. E sono sempre di più le evidenze pubblicate in letteratura sugli effetti negativi dei cibi processati e ultra processati.
Purtroppo, come sappiamo, le “nuove” abitudini alimentari (riduzione di frutta e verdura, aumento di junk food, il ricorso a “integratori” in ambiti non qualificati e da parte di suggeritori improvvisati) dipingono un quadro assai lontano sia dalla dieta mediterranea sia dalle indicazioni finalizzate a proteggere il nostro microbiota intestinale.
Farmaci e microbiota intestinale
Altro tema delicato per il medico di medicina generale. Il capitolo uso e abuso di farmaci non è più rinviabile dalla nostra categoria. La consapevolezza sulle ripercussioni di un uso irrazionale di molti medicinali è purtroppo assai limitata e la facilità con la quale si prescrivono farmaci che hanno un impatto negativo sul microbiota intestinale dovrebbe indurre la nostra categoria a una riflessione profonda.
Limitiamoci, per comodità, agli antibiotici. Il loro uso spesso ingiustificato ha acquisito caratteristiche preoccupanti. Preoccupazioni che vanno oltre al problema della resistenza (che, da sola, dovrebbe spingere verso l’adozione di strategie molto più rigide). Sappiamo che un semplice trattamento di pochi giorni con antibiotici è capace di determinare una disbiosi intestinale massiccia, con l’alterazione del rapporto fra Firmicutes e Bacteroidetes, fra Gram- e Gram +, e una riduzione di preziosi postbiotici come l’acido butirrico e l’innalzamento di fattori infiammatori come i lipopolisaccaridi (Lps). Alterazioni sostanziali, superabili (non sempre) soltanto dopo mesi dopo un ritorno a una dieta adeguata e il ricorso a specifici probiotici. Sempre nella speranza che in quei mesi non intervenga nuovamente una condizione che spinga, a torto o a ragione, a ricorrere di nuovo agli antimicrobici.
È qui che il medico di famiglia può e deve svolgere un ruolo guida, evitando l’uso sconsiderato di antibiotici. Per esempio nel trattamento delle infezioni delle vie aeree superiori sostenute da agenti virali (le più frequenti fra tutte quelle che si affacciano nell’ambulatorio del medico di famiglia) troppo spesso trattate con antibiotici anche su pressione degli stessi pazienti. Un altro esempio? La batteriuria asintomatica. Spesso trattata con dosi massicce e ripetute di farmaci destinati a creare le condizioni per un ulteriore peggioramento del problema. Infine, i trattamenti odontoiatrici. Secondo le linee guida non devono essere sempre praticati con una copertura antibiotica. Eppure è una pratica comunissima.
Tre esempi, tre situazioni che, nel loro insieme, rappresentano una quantità di casi assolutamente rilevante. Con conseguenze enormi per il microbiota intestinale. Il medico di famiglia non può non svolgere un ruolo fondante in tutte queste dinamiche: sia per la centralità della sua figura sia per la competenza che deve esprimere in ciascuno di questi contesti.
Infine, la possibilità di utilizzare metodi diagnostici di ultima generazione per lo studio e il controllo del microbiota dovrà sempre più trovare nell’ambulatorio del medico di famiglia un momento cruciale, dopo un’adeguata formazione professionale che consenta di acquisire dimestichezza e competenze con una visione medica basata sulla precisione, sulla affidabilità, sulla prevenzione e sul senso di responsabilità.
Carlo Casamassima è Medico di Medicina Generale presso la Asl BT ed è Specialista in Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva.