Dell’asse intestino-cervello se ne parla molto, moltissimo. Negli ultimi anni la ricerca scientifica in questo ambito ha fatto passi da gigante. E ancora tanto resta da scoprire.
Uno dei protagonisti assoluti di questo “dialogo” è un batterio strettamente anaerobico, il suo nome è Coprococcus eutactus.
È un microrganismo sorprendente e ancora poco conosciuto. Microbioma.it gli ha chiesto un’intervista e, come previsto, ha risposto: «Sarei felicissimo di poter raccontare la mia esperienza».
Signor C. eutactus, si parla sempre più di lei come di un “batterio della felicità”. Le piace questa definizione?
Beh, non mi piace vantarmi, ma è vero che ho un ruolo importante. Anzi, ho una grande responsabilità: la mia capacità di produrre butirrato, un acido grasso a catena corta (SCFA), è alla base di molti dei benefici che offro. Il butirrato non soltanto supporta la salute intestinale, ma agisce anche sull’asse intestino-cervello, influenzando l’umore e riducendo il rischio di depressione. Quindi sì, forse mi merito il titolo di ‘batterio della felicità’. Anche se, come si suol dire, la felicità è un lavoro di squadra: io faccio la mia parte, ma non si può trascurare il resto del microbiota.
Può spiegarci meglio in che modo il butirrato aiuta l’organismo umano?
Certamente. Il butirrato è una molecola tuttofare: nutre le cellule del colon, rinforza la barriera intestinale e riduce l’infiammazione. Ma non è tutto: attraverso l’asse intestino-cervello, contribuisce alla sintesi di neurotrasmettitori come la serotonina, il neurotrasmettitore del ‘buon umore’. Alcuni studi hanno mostrato una correlazione tra la mia presenza e una minore incidenza di depressione e ansia. In pratica, aiuto a mantenere un cervello sano, partendo dall’intestino.
Si trova bene nell’intestino? Hai mai provato a uscire di casa?
L’intestino è casa mia, non c’è dubbio! Amo l’ambiente ricco di nutrienti che mi permette di svolgere al meglio il mio lavoro, trasformando le fibre alimentari in butirrato e altri composti utili. È come vivere in una città vivace: ci sono interazioni continue con altri batteri e con l’ospite. Vivo esclusivamente lì perché le condizioni sono perfette per me: l’assenza di ossigeno, la temperatura costante e il flusso di nutrienti fanno sì che non abbia bisogno di cercare altrove. Certo, ci sono momenti difficili, come quando il microbiota perde l’equilibrio o il mio ospite non segue una dieta sana, ma nel complesso mi trovo molto bene. È la mia nicchia perfetta!”
Essere associato alla felicità degli esseri umani non la rende un po’ triste?
Ah, questa è una domanda interessante. Non nego che a volte mi senta un po’ sotto pressione. Pensateci: ogni giorno devo produrre butirrato, regolare la barriera intestinale, ridurre l’infiammazione e migliorare l’umore dell’ospite. È un lavoro impegnativo! Però, quando vedo che i miei sforzi aiutano qualcuno a sentirsi meglio, provo una certa soddisfazione. Dopotutto, il benessere dell’ospite si riflette sul mio ambiente. Un microbiota felice è un microbiota sano. Quindi, direi che no, non mi rende triste… o almeno, non troppo!
Cosa bisogna fare per diventare suo amico?
Oh, è più semplice di quanto si pensi! Per essere miei amici, bisogna prendersi cura del proprio intestino, che è anche la mia casa. Prima di tutto, mangiate molte fibre: frutta, verdura, legumi e cereali integrali sono il mio cibo preferito. Evitate di esagerare con gli zuccheri raffinati, i cibi ultraprocessati e gli additivi, perché non mi fanno bene e favoriscono batteri meno amichevoli. Inoltre, uno stile di vita sano – che includa attività fisica regolare e la gestione dello stress – aiuta a mantenere l’equilibrio del microbiota. Se mi date l’ambiente giusto, io farò del mio meglio per ricambiare con felicità e salute!”
Immagino abbia anche dei nemici…
Eh sì, purtroppo anche io ho i miei nemici. Oltre alla dieta povera di fibre e ricca di cibi ultraprocessati o zuccheri raffinati, il miei più acerrimi nemici sono gli antibiotici, che non solo eliminano i patogeni, ma spazzano via anche me e i miei colleghi utili. Poi ci sono lo stress cronico e le infezioni intestinali, che possono creare squilibri e mettere a rischio il mio habitat. Infine, una vita troppo sedentaria non aiuta il nostro ecosistema intestinale a prosperare. Per fortuna, con un po’ di attenzione da parte dell’ospite, riesco quasi sempre a difendermi e a mantenere il mio ruolo nel microbiota.
Si dice che sia coinvolto anche nelle malattie neurologiche. Lei che ne pensa?
È vero. Alcuni ricercatori stanno esplorando il mio ruolo in malattie come il morbo di Parkinson. Studi recenti hanno evidenziato che nei pazienti affetti da Parkinson la mia presenza è ridotta. Questo suggerisce che posso avere un effetto protettivo, forse grazie alla mia capacità di combattere l’infiammazione cronica e mantenere intatta la barriera intestinale, evitando che tossine o metaboliti nocivi raggiungano il cervello. Mi piace pensare che, in qualche modo, la mia assenza si faccia sentire. Forse, mantenere un equilibrio nel microbiota potrebbe aiutare a ridurre il rischio di questi disturbi, anche se ovviamente la scienza ha ancora molto da scoprire.
Lei è anche legato alla salute generale dell’intestino. Qual è il suo contributo in questo ambito?
Il mio contributo principale è quello di favorire l’eubiosi, cioè un microbiota equilibrato. Produco metaboliti utili, come il già citato butirrato, e aiuto a mantenere bassa la presenza di batteri potenzialmente dannosi. Inoltre, il mio metabolismo dipende dalle fibre alimentari, quindi indirettamente spingo le persone a mangiare meglio: più frutta, verdura e cereali integrali.
Tutti hanno un lato oscuro, non si può essere sempre e solo dei “bravi ragazzi”…
Ah, mi aspettavo questa domanda! Nessuno è perfetto, nemmeno io. Sebbene il mio ruolo sia prevalentemente positivo, in alcune circostanze posso trovarmi coinvolto in dinamiche che non mi mettono in buona luce. Per esempio, se il microbiota è in squilibrio, la mia attività potrebbe contribuire alla produzione di metaboliti che favoriscono stati infiammatori, piuttosto che contrastarli. Inoltre, troppo butirrato in certe situazioni potrebbe interferire con i processi metabolici locali. Non accade spesso, ma non posso negare di avere un lato più complicato, come tutti gli altri batteri. È il contesto che fa la differenza.
Come vede il suo futuro nella ricerca scientifica?
Sono ottimista, credo che il futuro sia molto promettente. Mi immagino protagonista nei nuovi integratori probiotici o nelle terapie personalizzate per disturbi neurologici e psichiatrici. Certo, servono ancora studi approfonditi per capire meglio il mio ruolo e i meccanismi con cui agisco, ma penso di avere molto da offrire.
Reference
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