Il microbiota intestinale è in grado di sostenere l’efficacia di farmaci inibitori del checkpoint immunitario usati come terapia anti cancro. In che modo? Probabilmente attraverso la down-regolazione del pathway PD-L2-RGMb aprendo, inoltre, la strada a nuove alternative in caso di non risponsività al trattamento.
È quanto conclude lo studio di Joon Seok Park e colleghi di Harvard (Boston, USA), recentemente pubblicato su Nature.
Microbiota e sistema immunitario
Anticorpi che bloccano il recettore di morte programmata 1 (PD1) o il suo ligando (PD-L1) sono stati approvati per 25 differenti forme tumorali. La loro efficacia è però del 13-69% a seconda del tipo di tumore supportando la necessità di alternative terapeutiche in caso di un loro insuccesso. L’attenzione si è quindi spostata su probiotici e trapianti di microbiota fecale considerando la loro implicazione nella risposta immunitaria.
Risultati discordanti rendono tuttavia difficile definire il meccanismo d’azione. Come il microbiota intestinale promuova l’immunità antitumorale rimane infatti poco chiaro. Hanno cercato di rispondere i ricercatori in questo studio in-vivo, attraverso un modello tumorale nel quale la risposta antitumorale dipende dal microbiota batterico. Di seguito i principali punti e risultati.
All’induzione di tumore colorettale (MC38), nei modelli con una flora batterica selezionata (specific pathogen-free o SFP) hanno mostrato una buona risposta alla terapia con anti PD-L1.
Di contro, modelli senza popolazione batterica intestinale (germ-free) sono risultati non responsivi. Una ricostruzione del microbiota umano ha poi mostrato una risposta immunitaria ancora più marcata con, di conseguenza, una migliore efficacia di PD-L1.
Quando questo equilibrio è stato “disturbato” dalla somministrazione di antibiotici questa attività si è però persa supportando l’importanza del microbiota intestinale in questo contesto.
Di contro, se a una terapia antibiotica (ABX) di 7 giorni si fa seguire la somministrazione di beta-idrossi-beta-metilbutirrato (HMN), un metabolita degli amminoacidi essenziali, si è osservato una riduzione della crescita tumorale in risposta a PD-L1 o PD-1.
Ruolo centrale di linfociti T CD8+ e CD4+
In che modo? La ritrovata efficacia sembrerebbe dipendere da una attivazione immunitaria con un parallelo aumento nel rapporto di linfociti T CD8+ e CD4+. In particolare, si è osservato un incremento dei progenitori CXCR5+TIM-3−CD8+ e IFNγ+CD4+ T con, di contro, una diminuzione dei più maturi PD-1+TIM-3+CD8+ T supportando una più attiva funzionalità di questi gruppi di cellule.
Considerando però come il microbiota intestinale influenzi l’efficacia degli inibitori PD-1 e PD-L1, i ricercatori hanno voluto approfondire come questo avvenga comparando l’espressione di svariate molecole interagenti con il checkpoint immunitario di cellule immunitarie tumorali, presenti nel liquido linfonodale e mesenterico di modelli in trattamento con ABX/HMB.
Tra tutti, PD-L2 sembrerebbe il maggiormente influenzato mostrando un andamento inverso all’espressione di PD-L1. Infatti, mentre PD-L1 ha mostrato un aumento nelle CD11b+MHCII+ e CD11c+MHCII+ e PD-L2 una diminuzione nel gruppo con ABX/HMB, questo non si è registrato nella controparte solo in trattamento antibiotico.
Oltre a condividere il sito di legame con PD-1, PD-L2 si lega anche a RGMb (repulsive guidance molecule b). Diminuendo l’espressione di PD-L2 e del suo recettore (PD-L2-RGMb pathway) il microbiota non solo promuove la risposta immunitaria per una via alternativa, ma anche previene la resistenza ai farmaci inibitori di PD-1. Questa diminuzione non è però universale.
Per indagare direttamente il contributo di un aumento di espressione di PD-L2 a un’alterata risposta immunitaria, a modelli di tumore MC38, privi di microbiota (germ-free) trattati con antibiotici e non responsivi agli inibitori di PD-1/PD-L1, è stato somministrato o meno un trattamento a base di anticorpi monoclonali anti PD-L2/PD-L1. A questa somministrazione è seguita una riduzione della crescita tumorale, non osservata nel gruppo privo del supplemento di anti PD-L2/PD-L1. Stesso risultato in modelli GF di melanoma.
Nel caso di modelli di tumore alla mammella SPF, ossia con una popolazione batterica selezionata, la combinazione non ha mostrato significativi miglioramenti rispetto al singolo anti PDL1.
I ricercatori hanno poi colonizzato modelli GF con materiale fecale di un paziente con melanoma completamente responsivo ad anti PD1 (CR1) e di due non responsivi (NR1-NR2). In linea con quanto osservato in clinica, i modelli riceventi microbiota dal paziente rispondente hanno mostrato una buona risposta terapeutica con una crescita tumorale inferiore rispetto alla controparte.
C. cateniformis
A seguire, sono stati indagati quali, nello specifico, siano i batteri in HMB a poter indurre una down-regolazione di PD-L2 nelle cellule dendritiche e, di contro, aumentare la risposta antitumorale mediata da anti PDL1.
L’attenzione è caduta su C. cateniformis come principale candidato nei molteplici benefici immunitari di HMB. Non si esclude tuttavia il contributo di ulteriori ceppi.
Un supplemento di C. cateniformis non ha però mostrato di essere in grado di aumentare la risposta immunitaria antitumorale indipendentemente dal decremento di PD-L2 a livello delle cellule dendritiche suggerendo la necessità di un’azione cooperativa.
Di contro, altri esperimenti hanno dimostrato come il blocco del pathway PD-L2–RGMb possa bypassare la resistenza anti PD1/PD-L1 mediata dal microbiota, promuovendo la risposta terapeutica. L’azione sembrerebbe mediata dalla capacità di RGMb di influenzare le cellule immunitarie T.
Conclusioni
Per riassumere quindi, cercando di approfondire le relazioni tra microbiota e immunità antitumorale, si è visto come l’attenuazione di RGMb e PD-L2 sia alla base di questo effetto aprendo la strada a nuove alternative terapeutiche efficaci nel bypassare la resistenza a farmaci anti PD1, normalmente utilizzati.