Molti pazienti affetti da COVID-19 hanno riportato sintomi persistenti dopo il periodo di convalescenza, condizione chiamata in gergo comune “long Covid”. Tra i sintomi più comuni ci sono affaticamento, debolezza muscolare e difficoltà ad addormentarsi.
Recenti studi mostrano il potenziale ruolo della disbiosi intestinale nelle infezioni gravi da COVID-19. Però, si sa ancora poco dell’influenza nel lungo termine della SARS CoV-2 sul microbiota intestinale e di come la composizione del microbiota influisca sul rischio di sintomi duraturi nei pazienti guariti.
Lo studio che indaga la relazione tra Covid e microbiota
Pertanto, un gruppo di ricercatori del gruppo del Prof. Siew C Ng del Dipartimento di Medicina e Terapie dell’Università cinese di Hong Kong, ha condotto uno studio prospettico per valutare la relazione tra COVID-19 e microbiota intestinale e capire come si influenzano vicendevolmente.
In particolare, sono stati studiati i pazienti che presentavano sintomi gravi anche dopo il periodo di convalescenza.
Tale sintomatologia è stata associata a profili specifici del microbioma intestinale, suggerendo che il microbioma intestinale umano può svolgere un ruolo importante nello sviluppo di sindrome post acuta COVID-19.
Sono state evidenziate correlazioni inverse, statisticamente significative, tra l’abbondanza di molteplici batteri commensali benefici per l’immunità dell’ospite, tra cui C. aerofaciens, F. prausnitzii, E. rectale e B. obeum, e lo sviluppo di PACS.
Ad esempio, è ben noto come F. prausnitzii abbia proprietà immunomodulatorie in grado di contribuire alla difesa dell’ospite, mentre Blautia obeum sia in grado di esercitare un effetto antinfiammatorio.
Tali risultati, pubblicati su Gut a gennaio 2022, sono stati ottenuti dall’analisi del microbiota fecale di 106 pazienti con long Covid, dopo 6 mesi dalla fase acuta dell’infezione, attraverso il sequenziamento metagenomico shotgun.
Specifici microbi sotto la lente
È stato visto che la composizione del microbiota intestinale, al momento del ricovero, è risultata essere associata alla comparsa di long Covid. Inoltre, i pazienti senza PACS hanno mostrato un recupero del profilo del microbiota intestinale paragonabile a quello dei soggetti controllo non affetti da COVID-19.
I sintomi respiratori persistenti sono stati correlati ai patogeni intestinali opportunistici, mentre i sintomi neuropsichiatrici e l’affaticamento ai patogeni intestinali nosocomiali, inclusi Clostridium innocuum e Actinomyces naeslundii.
Tra i sintomi più evidenti, la caduta dei capelli è stata segnalata in circa il 20% dei pazienti, i quali hanno mostrato una riduzione delle specie produttrici di butirrato come R. inulinivorans e F. prausnitzii. Gli effetti benefici del butirrato sono stati ormai ampiamente dimostrati: esso è in grado di proteggere l’ospite da molti effetti negativi dello stress, tra cui la caduta dei capelli e comportamenti simili all’ansia.
Allo stesso modo, la carenza di Bifidobacteria, Roseburia e Faecalibacteria, noti per le loro funzioni immunomodulatorie, è stata particolarmente associata ai long Covid. Gli ultimi due batteri sono importanti produttori di acidi grassi a catena corta e attori importanti nel mantenimento dell’omeostasi immunitaria. In particolare, alterano la chemiotassi e la fagocitosi, favoriscono la formazione delle specie reattive dell’ossigeno, hanno effetti antimicrobici e antinfiammatori.
Conclusioni
Per concludere, i risultati di tale studio suggeriscono che alcuni pattern del microbiota intestinale possano contribuire allo sviluppo di diversi sintomi da long Covid.
Quindi l’analisi del microbioma potrebbe rappresentare una strategia di previsione dello sviluppo degli specifici sintomi da long covid ed ancora la modulazione del microbiota potrebbe facilitare il recupero da sindrome post acuta COVID-19.