Perimplantiti e microbioma orale: a che punto siamo?

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Perimplantiti e microbioma orale: a che punto siamo?

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Sebbene le infezioni a carico degli impianti dentali siano abbastanza comuni (mucosite perimplantare (PIM) e perimplatite (PI) si manifestano rispettivamente nell’80% e 56% dei casi), la modalità diagnostica e differenziale rimane ancora carente come del resto le opzioni di trattamento le quali vertono principalmente sull’uso di antibiotici ad ampio spettro, sia nel pre che nel post intervento, da abbinare trasversalmente a una buona igiene orale.

È utile inoltre tenere presente come le infezioni che interessano gli impianti dentali siano da distinguere dai casi di “infezioni associate ai biomateriali” (BAIs). Queste ultime infatti, oltre a manifestarsi in tempi molto più rapidi, sono da correlare ai corpi esterni introdotti nella cavità orale più che a una componente batterica aggressiva maturata nel tempo.

La revisione di letteratura condotta da Rafael Pokrowiecki e colleghi del Prof Stanislaw Popowski Voivoid Children Hospital di Olsztyn, in Polonia, pubblicata su Therapeutics and Clinical Risk Management, ha voluto perciò meglio delineare lo stato dell’arte riguardo questo argomento puntando l’attenzione in particolare sui fattori eziopatologici e microbiologici.

Formazione del biofilm e sviluppo delle perimplantiti

La creazione del biofilm sulla superficie dell’impianto è stata descritta da Gristina et al. come un processo basato sulla competizione tra le cellule dell’ospite e quelle batteriche.

Se a prevalere sono queste ultime si sviluppa infezione che porta, in certi casi, alla rimozione dell’impianto stesso. Benché questa teoria sia stata condivisa per molti anni, è stato successivamente scoperto da altri studi come la composizione batterica del biofilm non differenziasse del tutto da quella della placca fisiologicamente presente nella bocca presentando in particolar modo Staphylococci e/o Streptococci.

È stato inoltre dimostrato come l’insorgenza delle PIIDs sia da considerarsi il risultato di più aspetti associati sia alla salute generale dell’individuo che alla qualità e quantità del tessuto circostante oltre che al tipo di materiale usato per l’impianto.

Diabete mellito non controllato, disordini autoimmuni, componente genetica, fumo, contaminazioni batteriche durante l’operazione, alterazioni dello stato dentale sono solo alcuni dei principali fattori predisponenti.

Anche la colonizzazione batterica non avviene sempre allo stesso modo, anzi, la differenza inter e intra-individuale è molto elevata considerando le molteplici variabili coinvolte tra le quali anche il grado di idrofobicità del materiale utilizzato, in genere titanio o zirconio. Avendo i batteri una membrana tendenzialmente idrofobica saranno infatti più propensi a legarsi a una superficie dalle caratteristiche analoghe. L’adesione e la successiva creazione del biofilm sono tuttavia complessivamente favorite e permesse da uno strato di proteine e zuccheri derivanti dalla saliva detto “pellicola acquisita” (AP), cuscinetto tra superficie dell’impianto e batteri del microbioma orale.

Questo processo inizia generalmente attorno a 30 minuti dopo l’innesto e, una volta instaurato il legame con le proteine dello strato AP, diventa irreversibile. Considerando poi come studi sul microbioma orale abbiano evidenziato oltre 700 specie diverse e 25mila filotipi appare difficile una definizione precisa delle specie coinvolte. Secondo alcuni ricercatori tuttavia è possibile che esista un core batterico distinto tra soggetti sani e quelli con infezioni del cavo orale.

Una sana colonizzazione del tessuto peri-impianto sembrerebbe infatti richiedere la presenza di Streptococci, Actinomyces naeslundii, A. oris, A. meyeri, Neisseria e Rothia, come confermato complessivamente dagli studi di Diaz et al. e Maruyama et al.

Stando ai risultati di quest’ultimo inoltre si è visto come a un decremento dei livelli di Streptococcus intermedius segua un aumento del patogeno Eubacterium nodatum. Un cambiamento di composizione batterica, rapida e dinamica, è ciò che risulta anche a Thurnheer e Belibasakis i quali l’hanno spiegato riconducendosi ai specifici rapporti di inter-correlazione tra specie. Non sembrerebbe essere però l’unico aspetto da tenere presente per l’insorgenza di infezione: anche fattori legati all’individuo stesso, come anticipato, avrebbero un ruolo importante.

Tuttavia, considerando la scarsa disponibilità di studi a riguardo, i quesiti di ricerca su come avvengano le interazioni ospite-biofilm e su come si organizzi la traslazione batterica rimangono ancora aperti.  

Mucosite perimplantare (PIM) e perimplatiti (PI): le differenze a livello batterico

Secondo alcune ricerche, un periodo prolungato di maturazione della placca dentale potrebbe tradursi in un cambiamento della componente batterica del biofilm. Se ciò si accompagna a una depressione immunitaria dell’ospite il rischio di infiammazione della mucosa circostante l’impianto aumenta notevolmente. Si parla quindi, come descritto nell’introduzione, di mucosite perimplantare la quale, in seguito ad aggravamento, può dar luogo a perimplantite. Il passaggio da condizione sana a infezione si riconduce all’incremento dell’espressione di cocci, motile bacilli e spirochetes all’interno della tasca dell’impianto, specie F. nucleatum, P. intermedia ed Eubacterium in particolare. Nonostante una corretta igiene orale accompagnata da un intervento farmacologico siano spesso misure sufficienti a far rientrare l’infezione mucosale, nei casi di cronicità si vede l’interessamento di un’area più vasta e profonda accompagnata inoltre da un’ulteriore alterazione batterica che determina quindi il passaggio da PIM a PI. Ad aumentare infatti sono soprattutto i livelli di P. gingivalis e Tannerella forsythia.

Ad oggi tuttavia c’è ancora poca chiarezza riguardo questi cambi di composizione del biofilm attorno all’impianto e agli aspetti in grado di influenzarli. Per alcuni infatti, benché la componente batterica dentale sia risultata differente a seconda dello stato infetto o meno dell’impianto, non sembrerebbe risentire della salute complessiva dell’individuo o dell’esposizione al fumo (Cortelli et al.), per altri invece (Tsigarida et al.) questo ultimo fattore sarebbe determinante nel favorire la crescita di patogeni a discapito dei commensali.

Marcatori batterici nella condizione di perimplantite

Il passaggio tra solco peri-impianto sano a PIM e a PI potrebbe esser monitorato attraverso specifiche proteine batteriche.

Tra i marcatori associati a una condizione fisiologica e prodotti da determinate specie troviamo la chaperonina, la proteina A2 legante il ferro e la fosfoenolpiruvato carbossilasi. Di contro, come specchio di una perimplantite abbiamo ad esempio ribulosio bifosfato carbossilasi, succinil-CoA:3-chetoacid-coenzima A transferasi e la subunità beta della polimerasi DNA-diretta RNA. Per quanto riguarda invece l’insorgenza di PIM può esser controllata attraverso i livelli della citochina FdaA, prodotta da F. nucleatum, e AdpB sintetizzata invece da Prevotella spp.  

In conclusione, questa revisione mette in luce i molti punti in sospeso e le difficoltà nel descrivere la relazione tra microbioma orale e biofilm.

Le PIIDs complessivamente non sembrano essere però delle infezioni dentali standard ma il risultato di un’interazione a più livelli, influenzata soprattutto dalla suscettibilità dell’individuo stesso.

Sebbene la diversità e la ricchezza batterica siano molto variabili, la maggior parte degli studi più recenti concorda nell’affermare la presenza di un core comune che caratterizza un impianto sano vs uno infetto. La transizione verso una condizione di perimplantite va ricondotta sia a un cambio di composizione batterica sia a fattori ospite-correlati oltre che al contesto geografico e ambientale in cui si trova.

Nonostante sia ancora tutt’oggi difficile diagnosticare l’infezione in tempi rapidi data la silenziosità dei sintomi, il monitorare specifici marcatori specie-specifici potrebbe esser un valido supporto per anticipare l’inizio del trattamento oltre che per avere un’idea del decorso.

Un avanzamento dei protocolli diagnostici, una migliore conoscenza dell’epidemiologia delle PIIDs, la messa a punto di un piano di gestione del rischio oltre che di approcci terapeutici più personalizzati sarebbero comunque spunti di ricerca auspicabili e necessari.

Silvia Radrezza

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