Diversi studi hanno dimostrato che alcuni specifici microbi intestinali possono produrre tossine che danneggiano il DNA, favoriscono l’insorgenza di processi infiammatori che possono stimolare lo sviluppo di una neoplasia e riducono la risposta ai trattamenti antitumorali.
Alla luce di queste considerazioni, diversi gruppi di ricerca sono da tempo impegnati nello sviluppo di approcci mirati contro i microbi cancerogeni.
In un articolo pubblicato su Cell Host & Microbe, Robert Holt, co-direttore del Cancer immunotherapy program della University of British Columbia, ha descritto i recenti sforzi dei ricercatori per sviluppare vaccini in grado di aumentare la risposta immunitaria contro alcuni di questi microrganismi.
Oncobioma, una nuova frontiera
I primi microbi a essere stati correlati al cancro sono stati Helicobacter pylori e il Papillomavirus umano, ma negli ultimi dieci anni è diventato chiaro che molti altri microrganismi, inclusi alcuni batteri commensali, sono potenzialmente in grado di favorire lo sviluppo di tumori.
Ad esempio, è stato dimostrato che i soggetti ad alto rischio di sviluppare il cancro del colon presentano a livello intestinale ceppi di Escherichia coli che producono una tossina dannosa per il DNA, nonché ceppi di Bacteroides fragilis che inducono grave diarrea e infiammazione del colon e sono in grado di provocare lo sviluppo di tumori in modelli murini.
Inoltre, Fusobacterium nucleatum – un commensale che può causare diverse infezioni nel cavo orale – è risultato associato allo sviluppo del tumore del colon-retto.
Quando è un singolo microbo a causare il cancro, i vaccini possono essere un’efficace strategia di prevenzione.
Diversi studi clinici hanno dimostrato per esempio che il primo vaccino approvato dalla FDA contro il Papillomavirus umano, la principale causa del cancro alla cervice uterina, ha fatto registrare un’efficacia quasi del 100% nella prevenzione delle lesioni che potrebbero portare allo sviluppo di una neoplasia.
Tuttavia, per la maggior parte dei patogeni batterici la creazione di vaccini non è semplice. «Dal momento che F.nucleatum è in grado di favorire sia lo sviluppo tumorale sia la resistenza al trattamento, presenta caratteristiche uniche e non convenzionali che possono essere sfruttate per una terapia vaccinale», afferma Robert Holt.
Un vaccino contro Fusobacterium nucleatum?
F. nucleatum colonizza la bocca nei primi mesi di vita e, all’età di un anno, diventa uno dei principali commensali orali.
Poiché F. nucleatum è così abbondante in bocca, «siamo tutti inclini all’esposizione sistemica causata da attività quotidiane che provocano una batteriemia transitoria, come per esempio lavarsi i denti o anche solo masticare», spiega Robert Holt.
Nelle persone con un sistema immunitario normale, queste esposizioni sono innocue, ma possono insorgere problemi in caso di immunodepressione.
«In questi soggetti, potrebbe essere utile un vaccino che promuove la produzione di anticorpi che bloccano lo sviluppo del tumore e inibiscono specifici meccanismi di homing di F. nucleatum», afferma Robert Holt.
Un vaccino potrebbe essere indirizzato per esempio verso antigeni come Fap2 e RadD, due proteine della membrana esterna di F. nucleatum che legano i carboidrati sulla superficie delle cellule tumorali.
Sia Fap2 che RadD possono sopprimere il sistema immunitario. Inoltre, è stato dimostrato che un’altra proteina di superficie di F. nucleatum, denominata FadA, si lega alle cellule tumorali e attiva uno specifico pathway che stimola la proliferazione cellulare.
«Poiché Fap2 e FadA mediano direttamente l’interazione microbo-tumore, indurre una risposta anticorpale contro di loro può essere efficace per bloccare la colonizzazione del tumore e mitigare l’inibizione del sistema immunitario», afferma Holt.
Interventi combinati nei pazienti oncologici
I pazienti con tumori che presentano al loro interno F. nucleatum e che hanno avuto una ricaduta con malattia resistente al trattamento possono trarre il massimo beneficio dai vaccini contro questo batterio.
Inoltre, secondo Robert Holt potrebbe essere utile aggiungere trattamenti antibiotici agli interventi vaccinali. «Ad esempio, potrebbero essere possibili risultati migliori se, dopo la terapia standard, viene utilizzato un ciclo aggressivo di antibiotici a breve termine per eliminare F. nucleatum dai siti di malattia residua minima e lesioni metastatiche, per poi somministrare un vaccino efficace per consolidare le remissioni prevenendo la reinfezione e la recidiva di tumori refrattari al trattamento», afferma il ricercatore. Tuttavia, dal momento che F. nucleatum è un importante commensale orale, la sua assenza potrebbe portare a disbiosi e aumentare il rischio di infezioni. Un’altra preoccupazione è legata all’immunità cross-reattiva che un vaccino contro F. nucleatum potrebbe suscitare nei confronti di microbi benefici .