Faecalibacaculum rodentium PB1 nel modello murino e il suo omologo Holdemanella biformis nell’uomo sembrerebbero avere proprietà antitumorali nonostante la loro espressione sia ridotta nelle fasi iniziali della carcinogenesi.
Tale attività sarebbe mediata da acidi grassi a corta catena, butirrato soprattutto nel caso di F. rodentium PB1, in grado di inibire la proliferazione delle cellule tumorali.
Una loro identificazione, se confermata da ulteriori approfondimenti, rappresenta quindi una valida possibilità di introdurre una nuova strategia diagnostica-terapeutica in campo oncologico.
È quanto afferma lo studio coordinato da Maria Rescigno e colleghi dell’Humanitas Clinical and Research Center, IRCCS, di Milano, in collaborazione con l’Istituto Europeo di Oncologia IRCCS di Milano, di recente pubblicato su Nature Microbiology.
Microbiota intestinale e tumore al colon
Che il microbiota abbia un ruolo nella tumorigenesi locale (e non solo) è ormai noto. Alcuni ceppi hanno infatti dimostrato attività pro-tumorale, altri protettiva. L’attenzione si è però focalizzata principalmente sui primi tralasciando l’identificazione di quelli anti-tumorali, endogeni soprattutto.
Lo hanno fatto i ricercatori italiani confrontando il profilo microbiologico commensale di modelli murini modificati per sviluppare spontaneamente carcinomi colon-rettali (ApcMin/+) con altri wild-type (WT) e indagando le funzionalità di F. rodentium PB1 (Erysipelotriacheceae) dopo averlo identificato come il ceppo significativamente più carente nella mucosa intestinale dei primi durante le fasi iniziali di carcinogenesi. Studio analogo è stato poi condotto su pazienti.
Le valutazioni e i risultati sono stati molti. Di seguito i punti principali.
Lo studio pubblicato su Nature Microbiology
Al confronto della popolazione batterica intestinale dei due gruppi (WT e ApcMin/+) è seguito quello anatomo-funzionale. Lo sviluppo tumorale comporta infatti una trasformazione delle cellule epiteliali con conseguente alterata produzione di mucina, principale componente del muco fisiologico, e creazione di un ambiente non favorevole a F. rodentium PB1.
Testando infatti le capacità colonizzanti di F. rodentium PB1 somministrato per via esogena in modelli ApcMin/+ si è visto come la sua abbondanza intestinale fosse notevolmente inferiore ai WT dopo 48 ore.
Data la diversità di espressione, F. rodentium PB1 potrebbe quindi avere un ruolo nello sviluppo tumorale. Somministrando infatti per via orale F. rodentium PB1 sia a WT sia a ApcMin/+ prima e durante la carcinogenesi:
- a 4 e 8 settimane la crescita tumorale non ne è stata influenzata
- al contrario, dall’ottava alla dodicesima settimana (cioè quando nei ApcMin/+ il ceppo tocca di norme la minima espressione) la riduzione nel numero e nelle dimensioni dei tumori è risultata evidente. Tale riduzione si è tuttavia mostrata significativa solo macroscopicamente indicando un’efficacia del ceppo solo nella fase di crescita, non di iniziazione tumorale
Ma come agisce F. rodentium PB1 contro il tumore? La sua attività potrebbe essere veicolata dal sistema immunitario? Non sembrerebbe.
Il ruolo del sistema immunitario
Nessuna alterazione significativa è stata infatti osservata a carico di FoxP3+, IL-17, IFN-gamma o neutrofili. Una riduzione dei monociti infiammatori Ly6g+CD11b+ è stata tuttavia registrata in entrambi i gruppi.
Potrebbe dunque essere mediata da un’alterazione del microbiota commensale e dei relativi metaboliti? Confrontando campioni fecali di modelli ApcMin/+ trattati o meno con F. rodentium PB1 è emerso infatti che, nei primi:
- l’espressione di batteri producenti acidi grassi a corta catena (SCFAs), Butyricomonas in particolare, è aumentata
- propionato, butirrato e acetato sono analogamente aumentati a livello fecale alla 12° settimana rispetto all’8°. Di contro, le concentrazioni di lattato hanno registrato un decremento agli stessi time points
- nessuna differenza significativa nei livelli di succinato e isovalerato, lieve incremento invece di valerato
L’azione di F. rodentium PB1 sulla proliferazione cellulare sembrerebbe quindi essere mediata dalla collaborazione con altri ceppi e dai metaboliti quali SCFAs.
Tra tutti, il butirrato ha dimostrato di inibire maggiormente la proliferazione cellulare. Lo stesso F. rodentium PB1 sembrerebbe produrlo in concentrazioni pari a quelle risultate efficaci nei test di proliferazione cellulare (1mM).
Acidi grassi a catena corta
Esaminando nel dettaglio la relazione tra butirrato prodotto da F. rodentium PB1 e crescita del tumore al colon-retto in vivo è stato tuttavia dimostrato come l’attività del metabolita sia indipendente dal microbiota locale. L’inibizione proliferativa sembrerebbe infatti essere diretta e da ricondurre a un notevole incremento della forma acetilata dell’istone H3 (H3K27ac) e alla down-regolazione di calcinurenina (PP2B-A) e NFATc3, entrambe proteine coinvolte nella regolazione cellulare.
F. rodentium PB1 è l’unico ceppo endogeno ad avere attività anti-tumorale? No. In vivo, anche Lactobacillus lactis ha mostrato di ridurre le dimensioni della massa tumorale seppur meno efficacemente di F. rodentium PB1. Questa differenza è, probabilmente, da ricondurre a una minore capacità di colonizzare l’intestino murino e/o alla non produzione di lattato, altro metabolita prodotto da F. rodentium PB1.
Conclusioni
Pazienti con tumore al colon-retto hanno registrato una riduzione simile di Erysipelotriacheceae, H. biformis in particolare, rispetto a controlli sani senza una differenza significativa nella biodiversità complessiva.
Analogamente a F. rodentium PB1, anche H. biformis ha mostrato di produrre SCFAs e di inibire la proliferazione delle cellule tumorale mentre una sua attività anti-iniziazione rimane da approfondire.
In conclusione dunque, sulla base di questi promettenti risultati, date le analogie con F. rodentium PB1, monitorare (ed eventualmente supplementare) H. biformis nell’uomo potrebbe rappresentare una valida alternativa diagnostico-terapeutica per il tumore al colon-retto.