Negli ultimi anni il microbiota è stato ed è protagonista di numerose ricerche e dibattiti scientifici: i microrganismi intestinali (microbiota) sono davvero driver di cambiamenti sostanziali nel nostro organismo? Quale la relazione con lo sviluppo di sovrappeso e obesità? E quali sono i meccanismi?
Diverse sono le ipotesi che sono state proposte, cerchiamo di fare il punto della situazione partendo dalla curiosa storia di un uccello migratore: il beccafico.
Dimagrire senza rinunce, ingrassare senza mangiare
I beccafico sono uccelli migratori di piccole dimensioni che ogni anno percorrono più di 6000 km, volando dall’Europa all’Africa sub-sahariana.
Ogni anno, prima di iniziare il loro viaggio i beccafico raddoppiano il loro peso, passando da 17 a 37g nell’arco di un paio di settimane. Lo fanno per prepararsi alle fatiche del volo e alla scarsità di cibo lungo il percorso.
Per dirla in termini umani, diventano grandi obesi. Naturalmente, per diventare così grassi in così poco tempo, i beccafico devono ingozzarsi di cibo: nel tempo di una notte passano da una dieta a base di insetti a un regime alimentare fatto di bacche e fichi. È come se un interruttore scattasse dentro di loro, ed improvvisamente li spingesse a cambiare dieta.
Per molto tempo, gli scienziati che studiano questi fenomeni hanno ipotizzato che l’aumento di peso degli uccelli migratori fosse semplicemente la conseguenza di iperfagia, ossia l’introduzione massiccia di calorie.
Ma l’incredibile velocità con cui questi uccelli passano da magri a obesi ha fatto pensare che ci fosse qualcos’altro. Immagazzinare tutto quel grasso non è normale.
Controllando quante calorie extra mangiavano gli uccelli e quante calorie uscivano nei loro escrementi, i ricercatori si sono resi conto che l’iperfagia non poteva spiegare completamente l’aumento repentino di peso.
Naturalmente, durante la rotta migratoria attraverso il Mar Mediterraneo e il deserto del Sahara, le loro scorte di grasso diminuiscono e terminato il viaggio i beccafico tornano al loro normale peso corporeo.
Ma ecco la cosa strana: i beccafico in cattività fanno la stessa cosa di quelli che vivono in libertà. Durante il periodo pre-migratorio, alla fine dell’estate, i beccafico in gabbia aumentano di peso, diventando completamente obesi in preparazione di un viaggio che non faranno mai.
E, nel momento esatto in cui i beccafico selvatici arrivano a destinazione, gli esemplari in cattività si liberano completamente del loro grasso in eccesso. Nonostante non volino per oltre 6000 km e abbiano accesso illimitato al cibo, gli uccelli in gabbia perdono il peso in eccesso accumulato al termine del periodo migratorio.
Ma come fanno? Che cosa provoca questo repentino cambio di peso? Negli esseri umani, la spiegazione scientificamente accettata dell’aumento di peso è lo squilibrio energetico tra le calorie ingerite e quelle spese, ma si tratto solo di un bilanciamento di calorie ingerite e bruciate oppure sono ci sono altre variabili che entrano in gioco?
Sembra ovvio: se mangi troppo e ti muovi troppo poco, l’energia extra deve essere immagazzinata e aumenterai di peso. E se vuoi perdere peso, devi mangiare meno e muoverti di più.
Ma l’esperienza dei beccafico racconta un’altra verità, questi piccoli uccellini sono in grado di depositare rapidamente riserve di grasso che sembrano andare ben oltre le calorie che mangiano, e poi esaurirle rapidamente ben oltre le calorie che bruciano. Chiaramente, c’è più di quello che si vede nel gioco dell’equilibrio della regolazione del peso. E se fosse così anche per gli esseri umani?
Sovrappeso, obesità e l’ipotesi virus
Studi epidemiologici condotti sull’uomo negli ultimi anni dimostrano che l’aumento di peso relativo alla nostra specie non è dovuto al cibo extra mangiamo, né alla nostra mancanza di attività fisica. Alcune ricerche indicano addirittura che al giorno d’oggi mangiamo meno di quanto facevamo decenni fa, e facendo mediamente altrettanto esercizio fisico. Quindi in teoria, la golosità e la pigrizia, non sono in grado di spiegare l’aumento esponenziale dell’obesità negli ultimi sessant’anni.
Tentando di trattare più di 10.000 casi di obesità, il medico indiano Nikhil Dhurandhar si è chiesto la stessa cosa. Succedeva spesso, nel suo lavoro alla clinica per l’obesità di Mumbai dove lavorava fino a qualche anno fa, che i pazienti ritornavano dopo aver ripreso le piccole quantità di peso che avevano perso, o perché non riuscivano a perdere alcun grammo.
Dhurandhar non se ne capacita. Poi succede che un suo amico veterinario gli racconta di una misteriosa malattia infettiva che si stava diffondendo tra i polli in India: gli uccelli morivano e l’esame autoptico mostrava la presenza di fegato di grandi dimensioni, ghiandole del timo ristrette e accumulo di grasso: il colpevole era un virus.
A Dhurandhar si accende una lampadina: normalmente gli animali che muoiono per un’infezione virale risultano magri, non grassi. Come è possibile che un virus induca un aumento di peso nei polli? Potrebbe essere questa la spiegazione delle difficoltà dei suoi pazienti a perdere peso?
Dhurandhar, decide quindi di fare un esperimento e inietta il virus a un gruppo di polli. In effetti constata che gli animali diventano molto più grassi di quelli sani. Come se il virus li avesse fatti ingrassare mentre si ammalavano. Potrebbe essere che anche i pazienti obesi di Dhurandhar, e innumerevoli altri esseri umani in tutto il mondo, siano stati infettati da un virus?
Obesità pandemica
Un adulto su tre sulla terra è in sovrappeso. Uno su nove è obeso. Questa è la media di tutti i Paesi, compresi quelli in cui la sotto-nutrizione è più comune del sovrappeso. Guardando solo le cifre dei paesi più grassi è ancora più difficile da credere.
Nauru è una piccola isola del Pacifico meridionale in cui circa il 70 per cento degli adulti è obeso e un altro 23 per cento è in sovrappeso. In tutto ci vivono soltanto 10.000 persone, ma soltanto 700 di loro hanno un peso normale. Nauru è ufficialmente la nazione più grassa della Terra, seguita a stretto giro dalla maggior parte delle altre isole del Sud Pacifico e da diversi stati del Medio Oriente.
In Occidente, circa due adulti su tre sono in sovrappeso, di cui la metà sono obesi. Gli Stati Uniti, nonostante la loro reputazione, sono diciassettesimi nella classifica mondiale, con solo il 71% della popolazione in sovrappeso o obesa. Quanto al Regno Unito, è al trentanovesimo posto, con il 62% degli adulti in sovrappeso (di cui il 25% obesi). Un terzo dei giovani sotto i vent’anni è in sovrappeso – la metà di loro obesi. È una vera e propria epidemia.
Quanto conta la genetica?
Nel 2010, un team composta da centinaia di scienziati ha condotto un enorme studio sul genoma, coinvolgendo un quarto di milione di persone. È emerso che soltanto 32 geni lungo il genoma di 21.000 persone sembrano avere un ruolo nell’aumento di peso.
La differenza media di peso tra le persone con la più bassa probabilità genetica di obesità e la più alta era di soli 8 kg. Indipendentemente dai geni coinvolti, la genetica non potrebbe mai essere la spiegazione completa dell’epidemia di obesità, perché sessant’anni fa quasi tutti erano magri, nonostante avessero più o meno le stesse varianti genetiche della popolazione umana di oggi.
Ciò che probabilmente conta molto di più è l’impatto dei cambiamenti ambientali – dieta e stili di vita, per esempio – sul funzionamento dei nostri geni.
Molto spesso si sente parlare di metabolismo lento, che i medici chiamano “basso tasso metabolico basale”. In pratica indica il fatto che una persona brucia relativamente poca energia mentre è a riposo. Il metabolismo varia da persona a persona, ma a differenza di quanto pensano in molti, sono le persone in sovrappeso ad avere un metabolismo più veloce, non le persone magre. Il perché è semplice: ci vuole più energia per far funzionare un corpo grande che uno piccolo.
Quindi, se la genetica e il basso metabolismo basale non sono le cause dell’epidemia di obesità, e la quantità di cibo e movimento non spiega completamente il nostro aumento di peso collettivo, qual è la spiegazione?
Il dottor Dhurandhar, dopo i suoi primi esperimenti, si è chiesto se l’infezione da parte di un virus potesse causare o favorire lo sviluppo di obesità. Con questa idea in testa inizia ad analizzare a livello sierologico la presenza di anticorpi contro il virus che provocava la morte nei polli e li trova in 52 dei suoi pazienti. A questo punto sorge la domanda: può un’infezione virale, per sua natura fortemente contagiosa, spiegare il diffondersi a livello mondiale dell’obesità?
Duemila e mezzo anni fa, Ippocrate – il padre della medicina moderna – credeva che tutte le malattie iniziassero nell’intestino. Sapeva poco dell’anatomia dell’intestino, per non parlare dei 100 trilioni di microbi che ci vivono, ma come stiamo imparando due millenni dopo, Ippocrate era sulla giusta strada. Anche se ai suoi tempi l’obesità era davvero poco comune.
Microbiota intestinale: eubiosi e disbiosi
Immaginate una foresta pluviale vergine, verdeggiante e densa di vita: gli insetti dominano il sottobosco e i primati vivono indisturbati. Ora immaginate che un bel giorno arrivano i taglialegna, con la motosega eliminano l’infrastruttura frondosa della foresta, stabilita nel corso dei millenni, e spianano il resto. Immaginate anche che un’erbaccia il cui seme è stato portato dalle ruote degli scavatori prenda piede e che i primati non avendo più il loro habitat si trasferiscano in cerca di un luogo a loro adatto. Nel giro di poco tempo l’habitat non è più quello di prima, con la sua complessità e incontaminato. La biodiversità diminuisce. Le specie sensibili si estinguono. Le erbacce venute dall’esterno dominano la scena.
Per il complesso ecosistema che vive nell’intestino, su una scala un milione di volte più piccola, il principio è simile e valido. Lo stile di vita, i farmaci che assumiamo e gli agenti patogeni invasivi modificano l’ecosistema che è in equilibrio attraverso innumerevoli interazioni sottili. La distruzione dell’habitat della foresta pluviale è un’immagine che ben rappresenta quello che succede nel nostro microbiota intestinale quando si passa da una condizione di equilibrio (eubiosi) a una di disequilibrio (disbiosi).
È facile immaginare come una condizione di disbiosi possa causare malattie intestinali infiammatorie come l’intestino irritabile. Ma per l’aumento di peso? Il microbiota potrebbe essere l’anello mancante tra le calorie l’equilibrio fra calorie ingerite e bruciate?
Fredrik Bäckhed è professore di microbiologia all’Università di Göteborg in Svezia e negli ultimi anni ha dato uno dei maggiori contributi scientifici sull’avanzamento delle conoscenze sull’obesità.
I suoi studi si basano sull’utilizzo di modelli animali murini. I topi possiedono un microbiota intestinale molto ricco in termini di abbondanza e di biodiversità microbica. Ma i topi di Bäckhed sono diversi. Nati con parto cesareo e poi stabulati in camere sterili, non hanno alcun microrganismo nel loro intestino, né da nessun altra parte del corpo. Ognuno di loro è una tela bianca – ‘senza germi’, o germ-free. E il team di ricercatori del prof. Bäckhed può colonizzarli con qualsiasi microrganismo attraverso il cosiddetto trapianto di microbiota.
Nel 2004, Bäckhed iniziò una collaborazione con il principale esperto mondiale sul microbiota, Jeffrey Gordon, professore alla Washington University di St Louis, Missouri. Gordon aveva notato che i topi germ-free erano particolarmente magri, e se questo fosse dovuto all’assenza di microrganismi intestinali?
Per rispondere a questa domanda, Bäckhed allevò alcuni topi germ-free in totale assenza di microbi fino all’età adulta, e poi condusse il primo esperimento di trapianto di microbiota fecale punteggiando la loro pelliccia con il contenuto dell’intestino cieco di topi nati e cresciuti in condizioni normali ovvero in presenza di microrganismi.
Una volta che i topi germ-free avevano leccato il materiale cecale dalla loro pelliccia, il loro intestino veniva colonizzato dai microrganismi come qualsiasi altro topo iniziando ad aumentare di peso. Un aumento del 60% di peso corporeo in quattordici giorni nonostante mangiassero meno. Non poco.
Il microbiota intestinale metabolizzando le parti indigeribili della dieta dei topi è in grado di estrarre più calorie dalla dieta e di conseguenza i topi ingeriscono meno cibo. Se il microbiota determina quante calorie i topi riescono a estrarre dal loro cibo, significava che è lui la causa dell’obesità?
La microbiologa Ruth Ley – un altro membro del gruppo di laboratorio di Jeffrey Gordon – si è chiesta se il microbiota negli animali obesi potesse essere diverso da quello degli animali normopeso. Per scoprirlo, ha usato una razza di topi geneticamente obesi nota come ob/ob caratterizzati da un peso tre volte superiore di un topo normale, questi topi obesi hanno un aspetto quasi sferico e non smettono di mangiare.
Anche se sembrano una specie completamente diversa di topo, in realtà hanno solo una singola mutazione nel DNA che li spinge a mangiare senza sosta e diventare profondamente grassi. La mutazione è nel gene che produce la leptina, un ormone che smorza l’appetito sia dei topi sia degli uomini se hanno una buona scorta di grasso immagazzinato. Non avendo la leptina che informa il cervello che sono ben nutriti, i topi ob/ob sono letteralmente insaziabili.
Decodificando le sequenze del DNA del gene 16S rRNA, simile al codice a barre, dei batteri che vivono nell’intestino dei topi ob/ob, ed elaborando quali specie erano presenti, Ley è stato in grado di confrontare il microbiota dei topi obesi e magri. In entrambi i tipi di topi, due gruppi di batteri erano dominanti: il phylum dei Bacteroidetes e dei Firmicutes. Ma nei topi obesi, c’era la metà dell’abbondanza di Bacteroidetes che nei topi magri.
Potrebbe questa differenza nel rapporto tra Firmicutes e Bacteroidetes rivelarsi fondamentale per il controllo dell’obesità?
Gli studi condotti sugli esseri umani hanno portato agli stessi risultati: le persone obese avevano molti più Firmicutes e le persone magre avevano una maggiore proporzione di Bacteroidetes.
A questo punto si impone la domanda: sono i microrganismi intestinali nei topi obesi e negli esseri umani a causare l’obesità, o sono soltanto una conseguenza di essa?
Ma soprattutto: cosa fanno questi microbi che ci fanno ingrassare? Turnbaugh calcolò che i topi con il microbiota obeso erano in gradi di estrarre il 2% in più di calorie dal cibo ingerito.
Batteri intestinali che ci fanno ingrassare
Facciamo un esempio: consideriamo una donna di altezza media che pesa 62 kg con un sano indice di massa corporea (BMI): peso (kg) / altezza (m)² di 23,5 e che consuma 2.000 calorie al giorno, ma con un microbiota “obeso”, la sua estrazione calorica extra del 2% aggiunge 40 calorie in più ogni giorno.
Senza spendere energia extra, quelle ulteriori 40 calorie al giorno dovrebbero tradursi, almeno in teoria, in un aumento di peso di 1,9 kg in un anno. In dieci anni, sono 19 kg, portando il suo peso a 81 kg e il suo BMI a un numero da obesi: 30,7. Tutto ciò a causa di appena il 2% di calorie in più estratte dalla dieta grazie all’attività metabolica dei suoi batteri intestinali.
Questa teoria trova riscontro nei risultati di un altro esperimento condotto da Reiner Jumpertz nel 2011 del National Institute of Health di Phoenix, Arizona. Jumpertz somministra a un gruppo di volontari una dieta a calorie fisse, misurando le calorie residue nelle feci. I volontari normopeso alimentati con una dieta ipercalorica hanno un aumento significativo in termini di abbondanza di batteri appartenenti al phylum Firmicutes rispetto ai Bacteroidetes.
Questo cambiamento nella composizione del microbiota intestinale corre parallelo alla diminuzione di calorie estratte nelle loro feci. I soggetti con questa disbiosi a sfavore dei Bacteroidetes estraggono quindi 150 calorie in più ogni giorno dalla stessa dieta.
L’insieme dei risultati di questi studi dimostra la capacità dell’ecosistema microbico intestinale di estrarre energia dalla nostra dieta. Anche se il numero di calorie che assorbiamo è senza dubbio importante, non conta soltanto quanta energia i nostri microbi estraggono per noi, ma cosa fanno fare al corpo con quell’energia.
Viene usata immediatamente per alimentare i nostri muscoli e i nostri organi? Oppure viene immagazzinata per “dopo”, nel caso in cui non ci sia niente da mangiare? Quale di queste cose accade dipende dai nostri geni e da come questi sono regolati, quali sono accesi e quali spenti.
Il microbiota è in grado di aumentare la produzione di geni che favoriscono l’accumulo di energia nelle cellule adipose. Un “microbiota obeso” attiva ancora di più questi geni, forzando l’immagazzinamento di energia extra dal nostro cibo come grasso.
Per quanto questo possa suonare fastidioso per quelli di noi che lottano per mantenere un peso normale, il controllo dei geni dovrebbe essere vantaggioso, in quanto ci aiuta a sfruttare al meglio il nostro cibo e immagazzinare l’energia per i periodi più magri.
Ma perché le persone che assorbono più energia e immagazzinano più grasso non si sentono semplicemente sazie prima? Perché, se hanno assorbito molte calorie e immagazzinato molto grasso, alcune persone sono spinte a continuare a mangiare?
Controllare l’appetito
L’appetito è governato da molte variabili, dalla sensazione fisica immediata di uno stomaco pieno agli ormoni che dicono al cervello quanta energia è immagazzinata come grasso. Questo sistema dice al cervello che siamo sazi una volta che abbiamo accumulato una quantità sana di grasso immagazzinato, e il nostro appetito viene soppresso.
Allora perché le persone non perdono interesse nel cibo una volta che iniziano a mettere su peso?
Nell’obesità, i normali meccanismi di regolazione dell’appetito e di stoccaggio dell’energia sono fondamentalmente cambiati. Il grasso in eccesso non è soltanto un “posto” dove mettere via le calorie non bruciate, è un centro di controllo del consumo energetico, un po’ come se fosse un termostato.
Quando le cellule di grasso del corpo sono sature, il termostato si spegne, riducendo l’appetito e impedendo l’ulteriore assunzione di cibo. Poi, quando i depositi di grasso si abbassano, il termostato si riaccende, aumentando l’appetito e immagazzinando più cibo come grasso. Come nei beccafico, l’aumento di peso non riguarda solo il mangiare di più, ma anche i cambiamenti biochimici nel modo in cui il corpo gestisce l’energia.
Le persone obese immagazzinano il grasso in modo diverso dalle persone magre? Patrice Cani, professore di nutrizione e metabolismo all’Université catholique de Louvain in Belgio, sa che non soltanto le persone obese sono resistenti agli effetti dell’ormone della sazietà leptina, ma mostrano anche segni di malattia nel loro tessuto adiposo. A differenza delle persone magre, le loro cellule di grasso sono inondate di cellule immunitarie, come se stessero combattendo un’infezione.
Cani sa anche che quando le persone magre immagazzinano energia, creano più adipociti, riempiendo ognuna con una piccola quantità di grasso. Ma nelle persone obese, questo sano processo di immagazzinamento di energia non avviene. Invece di creare più cellule di grasso, creano cellule di grasso più grandi, riempiendole sempre di più. Per Cani, l’infiammazione e la mancanza di nuove cellule di grasso sono il segno che le persone in sovrappeso vanno oltre un sano processo di immagazzinamento dell’energia.
Cani sospetta che sia proprio il microbiota “obeso” a causare l’infiammazione e lo scorretto funzionamento del deposito di grasso. È anche consapevole che alcuni membri del microbiota intestinale, in particolare i batteri Gram negativi, possiedono sulla membrana cellulare esterna il lipopolisaccaride, o LPS, molecola che agisce come una tossina se entra nel sangue. I risultati degli esperimenti di Cani hanno evidenziato alti livelli di LPS nel sangue di soggetti obesi. L’LPS è responsabile dello stato infiammatorio nelle loro cellule grasse impedendo la formazione di nuove adipociti, favorendo di conseguenza il riempimento eccessivo delle cellule di grasso esistenti. Il grasso delle persone obese non è solo strato su strato di energia immagazzinata, è tessuto grasso che dal punto di vista biochimico funziona male. E l’LPS sembrava causare quel malfunzionamento. Ma come è possibile che molecole di LPS migrino dall’intestino al sangue?
Akkermansia muciniphila è una delle specie del nostro microbiota che varia parecchio, in termini di abbondanza, fra i soggetti normopeso e obesi. Meno Akkermansia ha una persona, più alto è il suo BMI. Circa il 4% della comunità microbica delle persone magre appartiene a questa specie, mentre le persone obese non ne hanno quasi.
Vive, come suggerisce il nome, sulla superficie dello spesso strato di muco che ricopre l’intestino (muciniphila significa amante del muco). Questo muco forma una barriera che impedisce ai microrganismi residenti nell’intestino o assunti con la dieta di migrare nel sangue. È stato dimostrato che i soggetti che hanno una minore abbondanza di questo batterio, hanno uno strato più sottile di muco e una maggiore concentrazione di LPS nel sangue.
Se questo batterio è in grado di aumentare lo spessore dello strato di muco, sostiene il professore Cani, forse potrebbe ridurre i livelli di LPS e prevenire anche l’aumento di peso.
Conducendo un nuova ricerca, il professore e il suo gruppo di ricercatori provano a integrare la dieta di un gruppo di topi con Akkermansia, e scoprono subito una diminuzione significativa di livelli di LPS, un incremento della produzione di nuove cellule da parte del tessuto adiposo e, soprattutto, la perdita di peso. I topi con Akkermansia diventano anche più sensibili alla leptina, il che significa che il loro appetito diminuisce. Il peso che i topi guadagnano non è dovuto al “mangiare troppo”, ma perché le molecole di LPS sono in grado di spingere l’organismo a immagazzinare energia piuttosto che a spenderla.
Oggi, lo sviluppo delle scienze Omiche sta permettendo di aumentare le nostre conoscenze relative ai meccanismi che regolano il fabbisogno calorico e il microbiota intestinale. Nel 2020, un articolo pubblicato sul The American Journal of Clinical Nutrition ha dimostrato una correlazione fra le alfa-amilasi salivari e il rapporto Prevotella-Bacteroides. Tra i 181 soggetti analizzati sottoposti a una dieta ricca di fibre, è stato riscontrato una significativa perdita di peso nei partecipanti il cui microbiota era caratterizzato da una maggiore abbondanza di Prevotella e una ridotta concentrazione di Bacteroides e alfa-amilasi salivari.
Il dottor Pierre Bel Lassen e colleghi della Sorbonne University (Parigi) hanno dimostrato in un loro lavoro recentemente pubblicato su Scientific Reports come l’attivazione del metabolismo degli amminoacidi mediato dal microbiota intestinale ha effetti positivi nella riduzione del grasso viscerale, evidenziando come durante un percorso di dimagrimento, contrariamente a quanto si possa pensare, un supplemento di proteine potrebbe favorire la perdita di peso.
L’insieme dei risultati di uno studio appena pubblicato nel settembre 2021 su mSystems, rivista dell’American Society for Microbiology, conferma le ipotesi: il microbiota intestinale è in grado di modulare l’assorbimento di calorie ingerite dall’ospite e di modificare lo stato infiammatorio intestinale.
Il gruppo di ricerca dell’Institute for Systems Biology (Seattle) guidato da Sean Gibbons ha utilizzato le più moderne e sofisticate tecniche Omiche quali l’analisi di metabolomica (lo studio dei metaboliti), di metagenomica (lo studio di geni microbici) e l’analisi del 16S, evidenziando come un microbiota ricco in termini di biodiversità (vi ricordate la foresta pluviale di cui abbiamo parlato prima?) con la produzione di acidi grassi a corta catena (butirrato, propionato e acetato) sia in grado di ridurre l’infiammazione intestinale promuovendo l’omeostasi intestinale e la perdita di peso indipendentemente dall’attività metabolica basale del soggetto.
Il meccanismo microbioma-centrico identificato in questo studio è in accordo con i lavori pubblicati sia sui modelli murini sia sull’uomo, descrivendo come la composizione del microbiota intestinale sia fondamentale per l’assorbimento delle calorie ingerite, per l’attivazione dei geni utili all’assorbimento dei polisaccaridi e per la modulazione dello stato infiammatorio, tutti elementi implicati nell’aumento di peso e nell’obesità.
Conclusioni
Lo studio del microbiota intestinale ci sta mostrando che c’è di più nell’obesità che mangiare troppo e muoversi troppo poco. L’energia che ognuno di noi estrae dal nostro cibo, e il modo in cui quell’energia viene usata e immagazzinata, è fortemente legata alla particolare comunità di microbi che ospitiamo.
Se vogliamo davvero arrivare al cuore dell’epidemia di obesità, dobbiamo guardare all’interno del microbiota e chiedere cosa stiamo facendo per alterare la dinamica che hanno stabilito con il corpo umano nella sua forma più magra e sana.
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