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Ecco come il microbioma potrebbe aver influenzato l’evoluzione umana

Una ricerca sull'interazione tra microbiota e strutture sociali rileva i possibili effetti del microbioma su comportamento e stile di vita.
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Ecco come il microbioma potrebbe aver influenzato l’evoluzione umana

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Stato dell’arte
È noto che anche la struttura sociale dei primati modifica la composizione del microbiota in diverse parti del corpo. Tuttavia, l’impatto di questi batteri su una varietà di processi, incluso il comportamento sociale dell’ominide, è meno chiaro.

Cosa aggiunge questo studio
Questo studio utilizza un approccio comparativo per comprendere come si sono formati i microbioti negli ominidi, analizzando i contesti ecologici e sociali in cui si sono evoluti dall’ultimo antenato comune (last common ancestor, LCA) a scimpanzé e umani, sei milioni di anni fa.

Conclusioni
Questo studio considera la possibilità che il comportamento sociale tra gli ominidi, potrebbe essere stato influenzato da microbi prosociali selezionati sulla base delle interazioni sociali tra individui.


Robert R. Dunn e il suo team presso la North Carolina State University hanno pubblicato una ricerca sulla complessa interazione evolutiva tra sviluppo del microbiota e strutture sociali umane. Considerando quattro parti anatomiche degli ominidi, lo studio, pubblicato su Frontiers in Ecology and Evolutions, evidenzia i possibili effetti del microbioma sul comportamento sociale e sullo stile di vita umani.

Il microbioma dei primati è una comunità complessa. Influenza una vasta gamma di processi tra cui la capacità di assorbire sostanze nutritive, il sistema immunitario e persino comportamento e profumo.

Dal nostro antenato comune con le scimmie in poi…

L’importanza delle comunità batteriche presenti nei vari distretti corporei (pelle, intestino, vagina, cavo orale) ha portato all’ipotesi che l’ospite e i suoi microbioti potrebbero rappresentare un’intera organizzazione biologica (olobionte) su cui si sono sviluppate la struttura sociale e il comportamento durante l’evoluzione.

In questo studio i ricercatori hanno esaminato quattro distretti anatomici e comparandoli con i mutamenti dei comportamenti degli ominidi, a partire dall’ultima volta in cui abbiamo condiviso un antenato comune con scimpanzé (Pan troglodytes) e bonobo (Pan paniscus), il nostro ultimo antenato comune (last common ancestor, LA), sei milioni di anni fa.

Hanno preso in considerazione lo stomaco, l’intestino, la pelle e il microbioma esteso, il team ha esaminato il comportamento sociale che potrebbe aver influenzato il microbioma e viceversa.

I ricercatori hanno ricostruito i microbiomi di antichi ominidi basandosi su due fonti di dati:

  • DNA microbico antico da umani e primati non umani
  • Geni, fenotipi e microbiota moderni tra umani, grandi scimmie e altri primati, mammiferi e uccelli non umani.

Il microbiota dello stomaco

Lo stomaco dei mammiferi è responsabile della degradazione delle proteine ​​e svolge il ruolo di “filtro ecologico”, consentendo ad alcuni microbi di passare nell’intestino, ma non a tutti. Nei primati che si nutrono principalmente di frutta e foglie, la quantità di microbi presenti nel cibo che accedono all’intestino è limitata.

Nei primati onnivori che seguono diete a base di carne cruda, il rischio di ingerire agenti patogeni è maggiore, pertanto ci si aspetta che lo stomaco sia più acido. A differenza di quello dei primati, gli umani hanno uno stomaco molto acido, con un pH medio di 1,5. Si ritiene che lo scimpanzé abbia avuto in passato un pH dello stomaco quasi neutro.

In questo studio i ricercatori avanzano l’ipotesi che l’estrema acidità dello stomaco umano si sia evoluta dopo la nostra scissione dal LCA con gli scimpanzé, soprattutto da quando gli umani hanno iniziato a mangiare carne e ossa probabilmente recuperate dopo essere state uccise da un altro mammifero.

L’acidità dello stomaco sarebbe quindi stata essenziale per evitare l’ingresso di agenti patogeni visto che prima dell’avvento del fuoco si cibavano di alimenti crudi. Inoltre, il basso pH dello stomaco si è dimostrato vantaggioso anche in seguito, quando i nostri antenati iniziarono a cacciare prede più grandi.

In conclusione, è possibile che l’acidità dello stomaco abbia avuto un ruolo nel comportamento sociale e nella dieta. E, di conseguenza, nella selezione e nello sviluppo del microbiota gastrointestinale.

Microbiota intestinale nel corso dell’evoluzione

La lunghezza dell’intestino crasso nell’uomo varia da individuo a individuo, anche in presenza di background genetici simili. Durante l’evoluzione, l’intestino crasso degli esseri umani è diventato più corto, rispetto all’intestino tenue. Anche la lunghezza totale dell’intestino è diminuita rispetto alle dimensioni del corpo.

L’indagine di Dunn e colleghi solleva dubbi sulle motivazione di tale accorciamento e sulle sue conseguenze in termini di fisiologia del tratto intestinale.

L’uso del fuoco per cucinare gli alimenti, comprese le piante, le tecniche di pesca e gli strumenti di cottura, ha contribuito a predigerire e preprocessare alcuni alimenti. Pertanto in questi passaggi evolutivi gli ominidi hanno avuto meno bisogno dei batteri a livello gastroenterico per abbattere i componenti nutrizionali, come per esempio la cellulosa. Questo potrebbe essere uno dei motivi che spiega l’intestino più corto negli umani.

Inoltre, tali cambiamenti nelle abitudini potrebbe giustificare l’investimento di energia in altri sistemi corporei come il cervello, una biomassa più piccola di microbi e un tempo di ritenzione ridotto di alimenti nell’intestino.

Va detto tuttavia che le classi tassonomiche di batteri presenti nell’intestino di scimpanzé e umani si sovrappongono: le stesse famiglie e generi di batteri si presentano in proporzioni simili.

Il team ipotizza che questa sovrapposizione si sia verificata prima della divisione dello scimpanzé dall’umano e quindi, potrebbe essere una caratteristica del nostro antenato comune.

Inoltre, anche se i batteri intestinali degli umani sono simili a quelli degli scimpanzé moderni, è stata riscontrata una maggiore sovrapposizione con le scimmie cercopitecine, come i babbuini. Secondo quanto emerso, inoltre, tali somiglianze sono strettamente correlate alla geografia e allo stile di vita.

Il microbiota intestinale umano potrebbe quindi aver svolto un ruolo cruciale nell’adattamento locale durante il processo evolutivo. Per esempio garantendo una maggiore resistenza alle malattie infettive endemiche, agevolando la digestione di determinati alimenti (per esempio le alghe) all’interno dei gruppi sociali e potrebbe aver comportato una sorta di adattamento microbico all’ambiente circostante. Infine, nel passaggio allo stato eretto, l’uomo ha potuto iniziare l’esplorazione di nuove aree geografiche nel contesto africano, trovando una maggiore offerta di cibo insieme a nuovi microbi (patogeni e non).

In conclusione, i ricercatori sostengono l’ipotesi secondo cui l’evoluzione umana sia stata in parte facilitata dai microbi che hanno aiutato il successo dell’adattamento umano all’ambiente.

La pelle e i suoi batteri

Nei mammiferi le ghiandole apocrine si trovano essenzialmente sotto le ascelle e hanno l’obiettivo di mantenere l’omeostasi termica attraverso il processo di evaporazione. Nell’uomo e nella scimmia queste ghiandole sembrano avere un ruolo anche nella produzione degli odori corporei. Nei lemuri e nei gorilla della pianura occidentale, per esempio, l’odore delle ghiandole apocrine serve a “marcare” l’identità individuale.

Inoltre, i batteri presenti sulla pelle degradano le secrezioni delle ghiandole apocrine producendo sostanze aromatiche che servono per comunicare stati emotivi come paura, stress e eccitazione.

Anche gli odori e i batteri presenti nelle ascelle degli uomini sono molto variabili. È interessante notare che tale variabilità a livello delle ghiandole apocrine è influenzata da una singola variante di sostituzione nucleotidica nel gene ABCC11.

Secondo i ricercatori il microbiota cutaneo ha svolto un ruolo centrale nell’adattamento evolutivo. Sulla pelle umana sono per esempio presenti stafilococci non condivisi con altri primati. È interessante osservare che lo stafilococco è il genere più comune di batteri sulla pelle di alcune pecore selvatiche (Ammotragus lervia), capre, mucche (animali domestici o parenti di animali domestici) e umani. Pertanto, è probabile che lo stafilococco a livello cutaneo si sia diffuso tra l’uomo e gli animali domestici durante la convivenza, rinforzando la “somiglianza” del profumo tra animali domestici e uomo.

La condivisione di batteri all’interno di una comunità di individui potrebbe quindi aver influenzato la struttura sociale e favorito lo sviluppo di taxa microbici dominanti.

La fermentazione degli alimenti

La trasformazione degli alimenti, secondo quanto ipotizzato dai ricercatori, potrebbe aver svolto un ruolo fondamentale nel processo evolutivo e nello sviluppo delle caratteristiche sociali degli individui.

La fermentazione, in particolare, consente l’arricchimento di alcuni componenti nutrizionali negli alimenti e in qualche modo rappresenta una prima “digestione”. Molte specie di animali carnivori fermentano gli alimenti: per esempio, nelle aree a clima caldo, le iene conservano la carne avanzata sott’acqua; nelle regioni fredde, invece, le volpi e altri carnivori immagazzinano e fermentano gli alimenti seppellendoli.

Non è noto quando gli umani abbiano iniziato a controllare e usare consapevolmente la fermentazione, tuttavia è a questo punto dell’evoluzione che i microbi hanno iniziato a svolgere un ruolo centrale.

Esistono evidenze che dimostrano l’uso della fermentazione tra gli antenati comuni e si riferiscono a due caratteristiche umane geneticamente codificate: la presenza dei recettori per il gusto acido a livello palatale e quelli associati all’enzima alcol deidrogenasi.

In quasi tutti i primati, gli alimenti leggermente acidi sono percepiti come non gradevoli. Invece, gli umani adulti, le scimmie notturne e gli scimpanzé maschi percepiscono i cibi acidi come piacevoli e hanno imparato ad apprezzarli. Da qui, il gruppo di ricercatori ha iniziato a ipotizzare che la preferenza verso questi alimenti potrebbe aver avuto origine nel nostro antenato comune.

Un secondo cambiamento evolutivo che ha influenzato il modo in cui i nostri antenati fermentavano gli alimenti riguarda l’alcol deidrogenasi. Secondo diverse ricerche, il gene che codifica per questo enzima si è evoluto dieci milioni di anni fa, probabilmente quando le scimmie hanno iniziato a essere più sedentarie e a trascorrere più tempo a terra, consumando quindi frutti caduti e fermentati naturalmente a terra, le cui concentrazioni di etanolo sono notoriamente maggiori rispetto ai frutti maturi raccolti direttamente dagli alberi.

Quando gli uomini hanno iniziato a utilizzare le tecnologie per controllare la fermentazione hanno anche iniziato a selezionare microbi specifici, più adatti alla produzione di cibi e bevande fermentate.

Conclusioni

In conclusione, questo studio pone diverse domande e fornisce tante ipotesi su come i batteri che costituiscono il nostro microbiota abbiano svolto un ruolo nell’evoluzione umana, favorendo o inibendo alcuni comportamenti sociali e modulando l’interazione con altre specie, per esempio gli animali domestici.

Traduzione dall’inglese a cura della redazione

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