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Infiammazione epatica da Ocratossina A: microbiota intestinale possibile target terapeutico

Il microbiota intestinale sembrerebbe svolgere un ruolo nell’infiammazione epatica causata da ocratossina A. Ecco i motivi.
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Infiammazione epatica da Ocratossina A: microbiota intestinale possibile target terapeutico

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Stato dell'arte
L’ocratossina A (OTA) causa infiammazione epatica ed è stato dimostrato un coinvolgimento del microbiota intestinale in questa condizione. L’eventuale connessione tra OTA e componente batterica rimane però da verificare.
Cosa aggiunge questa ricerca
Lo studio ha valutato in vivo l’effetto di OTA sul microbiota intestinale e ha analizzato il ruolo di quest’ultimo nello sviluppo dell’infiammazione e del danno epatico mediante pre-trattamento antibiotico e trapianto da donatori esposti o meno a OTA.
Conclusioni
Il microbiota intestinale sembrerebbe svolgere un ruolo nell’infiammazione epatica mediata da OTA; i risultati ottenuti supportano quindi lo sviluppo di nuove terapie per la cura e/o la prevenzione delle micotossicosi.

In questo articolo

Il microbiota intestinale sembrerebbe svolgere un ruolo nell’infiammazione epatica causata da ocratossina A (OTA) in quanto risente dell’esposizione alla micotossina e influenza il decorso del danno epatico.

È quanto si può concludere dallo studio di Wence Wang e colleghi della South China Agricultural University (Guagzhou, Cina), di recente pubblicato su Microbiome.

L’ocratossina A (OTA) è la principale micotossina prodotta dalle specie Aspergillus e Penicillium comunemente presente come contaminante in cereali, caffè, vino, frutta secca e carne. La sua presenza può però causare effetti collaterali soprattutto a carico di fegato e reni, organi deputati al suo metabolismo.

Oltre all’infiammazione e alla potenziale carcinogenesi, tra le conseguenze di questa micotossina troviamo anche l’alterazione della barriera intestinale, step fondamentale per la sua diffusione nell’ospite. Ragionevole è perciò l’ipotesi di una compromissione anche del microbiota intestinale, nonostante questa relazione e l’eventuale ruolo della componente batterica nello sviluppo infiammatorio non sia stato ancora del tutto chiarito.

A tal proposito, i ricercatori hanno indagato in oche giovani (modello più sensibile alla micotossina) gli effetti di OTA sul microbiota intestinale e a livello epatico mediante analisi istopatologiche e biochimiche. Il trattamento con antibiotici ad ampio spettro e il trapianto di microbiota fecale hanno poi fornito ulteriori conferme del ruolo della componente batterica nell’infiammazione causata da OTA. Di seguito i principali risultati.

Partendo dalla valutazione generale delle conseguenze indotte da OTA nell’ospite si è visto che:

  • tracce di OTA e/o dei suoi metaboliti sono state riscontrate a livello non solo epatico e renale, ma anche muscolare e intestinale
  • la crescita dell’ospite è stata influenzata solo marginalmente, come del resto il peso degli organi, ad eccezione del fegato che è invece risultato notevolmente aumentato.

Passando poi alle caratteristiche del microbiota, rispetto al gruppo di controllo quello infettato con OTA ha riportato disbiosi. In particolare, i ricercatori hanno rilevato:

  • una riduzione significativa di ricchezza e diversità batterica nel cieco, oltre che dell’espressione di proteine di giunzione epiteliale (per esempio occludina e TJP1)
  • un aumento dell’abbondanza relativa di Bacteroidetes (in particolare Bacteroides plebeius)
  • un aumento dei livelli dell’endotossina LPS (lipopolisaccaride) di circa 1,5 volte.

Il microbiota intestinale non sarebbe però l’unico a essere influenzato. Anche il microbiota epatico ha infatti riportato in presenza di OTA alterazioni analoghe e significative, probabilmente da ricondurre a un indebolimento della barriera intestinale che ne ha permesso la migrazione. Nel gruppo trattato con OTA, infatti, si è registrato anche a livello epatico un aumento dell’abbondanza relativa di B. plebeius, oltre che dei livelli di LPS.

Dall’analisi istologica e biochimica si è inoltre osservato un marcato stato infiammatorio in sede epatica. Nel gruppo OTA sono stati infatti riscontrati:

  • elevata espressione di marcatori infiammatori quali TLR4, Myd88, p-p65, p-IKBα/IKBα, IL-1β o IL-6, e diminuzione di quelli anti-infiammatori (per esempio IL-10)
  • infiltrazione di cellule infiammatorie
  • aumento dei livelli sierici di AST, ALT e LPS.

Volendo chiarire ulteriormente il ruolo del microbiota intestinale nell’infiammazione epatica, un gruppo di oche è stato trattato con antibiotici ad ampio spettro (ampicillina, streptomicina e neomicina) e successivamente sottoposto al contatto con la micotossina.

A differenza dei modelli con microbiota fisiologico, in quelli trattati con antibiotico OTA ha causato solo effetti marginali a tutti i livelli. Ridotte sono infatti le alterazioni in termini di abbondanza e composizione batterica, oltre che l’infiammazione epatica.

Da ultimo, trapiantando nei modelli a cui sono stati somministrati antibiotici il microbiota fecale di donatori trattati o meno con OTA, ed esponendo anch’essi alla micotossina, è stato osservato che:

  • i livelli di OTA nel cieco e nel fegato dei riceventi era inferiore rispetto ai donatori
  • anche ad alte dosi (60μg/kg), OTA non ha indotto chiari segni di infiammazione nei modelli pre-trattati con antibiotico, suggerendo l’importanza della presenza batterica nello sviluppo della patologia
  • alterazioni nell’abbondanza relativa di Bacteroidetes e nei livelli di LPS sono state comunque indotte nelle oche che hanno ricevuto un trapianto da donatori trattati con OTA.

Riassumendo, dunque, l’esposizione alla micotossina OTA sembrerebbe indurre:

  • alterazioni nella composizione e nella struttura del microbiota intestinale ed epatico soprattutto a carico di ceppi producenti LPS, in particolare Bacteroides plebeius 
  • aumento dei livelli di diversi marcatori di infiammazione epatici
  • chiari segni di danno epatico
  • ridotti segni (seppur presenti) di infiammazione in assenza di microbiota intestinale.
Silvia Radrezza
Laureata in Farmacia presso l’Univ. degli Studi di Ferrara, consegue un Master di 1° livello in Ricerca Clinica all’ Univ. degli Studi di Milano. Borsista all’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS dal 2017 al 2018, è ora post-doc presso Max Planck Institute of Molecular Cell Biology and Genetics a Dresda (Germania).

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