La somministrazione di probiotici dopo un trattamento a base di antibiotici ridurrebbe notevolmente il rischio di infezione da Clostridium difficile.
Ne sono convinti i ricercatori della Division of Gastroenterology and Hepatology del Weill Cornell Medicine (New York), dopo aver condotto una revisione sistematica dei precedenti trial clinici randomizzati in cui si è valutato l’impatto dei probiotici nelle infezioni da C. difficile (CDI) negli adulti ospedalizzati trattati con terapia antibiotica.
Lo studio, pubblicato su Journal of Gastroenterology, fornisce nuovi dati a supporto dell’efficacia della manipolazione del microbioma nella pratica clinica.
Infezioni da Clostridium difficile sempre più diffuse
La patologia, dovuta a un bacillo Gram positivo, anaerobio e sporigeno, è la causa primaria di diarrea infettiva in ambito ospedaliero. I soggetti più a rischio sono gli anziani.
Il C. difficile, proliferando nell’intestino, degrada lo strato epiteliale e infiamma il colon. Questo altera la permeabilità intestinale causando fenomeni diarroici.
Negli ultimi 10 anni si è assistito a un drastico aumento dell’incidenza mondiale di questa malattia: negli Stati Uniti le infezioni sono più che raddoppiate e in Italia alcuni dati indicano una crescita significativa del numero di casi tra il 2005 e il 2015.
Antibiotici e disbiosi
Il microbiota intestinale è composto da migliaia di miliardi di batteri che, lavorando in simbiosi con il sistema immunitario, proteggono l’organismo dalla colonizzazione di patogeni. L’uso degli antibiotici danneggia questa resistenza, creando una disbiosi che favorisce la comparsa di infezioni.
Alcuni batteri probiotici, come i lattobacilli e i bifidobatteri, sono in grado di colonizzare l’intestino nonostante la terapia antibiotica, così da prevenire la CDI attraverso diversi meccanismi di azione. Per esempio, L. kefir produce proteine S-layer che contrastano le tossine di C. difficile e L. casei migliora l’immunità della mucosa intestinale stimolando la produzione di immunoglobuline A.
La revisione sistematica
In passato diversi trial randomizzati, revisioni sistematiche e linee guida avevano fornito esiti e pareri discordanti sulla capacità dei probiotici di impedire l’insorgenza di CDI negli adulti ospedalizzati.
Nel 2015 un panel Delphi di esperti in malattie infettive ha raccomandato all’unanimità l’uso di L. acidophilus e L. casei per prevenire la patologia, ponendosi in contrasto con le conclusioni del PLACIDE – il più vasto trial sul tema – che aveva sostenuto la mancanza di evidenze sulla capacità dei probiotici di prevenire la diarrea associata ad antibiotici.
A causa di queste incongruenze l’utilizzo dei probiotici non è stato adottato come standard nella pratica clinica.
Al fine di trovare nuove risposte, i ricercatori del Weill Cornell Medicine, coordinati da Arthur T. Evans, hanno revisionato i precedenti studi adottando linee guida più rigorose (PRISMA) e conducendo analisi statistiche di meta-regressione.
Un totale di 19 pubblicazioni sono state selezionate ed esaminate in base a quattro parametri: tipo di studio (trial controllati randomizzati); tipo di soggetti (adulti ospedalizzati sotto terapia antibiotica); tipo di intervento (uso di probiotici e gruppo di controllo con placebo); tipo di outcome (incidenza CDI ed effetti avversi).
Sono stati osservati gli effetti di quattro specie di probiotici (Lactobacillus, Saccharomyces, Bifidobacterium e Streptococcus) in 12 diverse combinazioni, somministrati da 1 a 7 giorni dopo la prima dose di antibiotici in quantità comprese tra 4 e 900 miliardi di microrganismi al giorno.
Dei 6261 soggetti coinvolti complessivamente, 3277 sono stati inclusi nel gruppo di intervento con probiotici, 2984 nel gruppo placebo.
Probiotici più efficaci se somministrati entro 2 giorni
Dai dati emersi, gli scienziati newyorkesi hanno potuto osservare una riduzione dell’incidenza di CDI maggiore del 50%. Infatti, il rischio di infezione nel gruppo di controllo placebo si è attestato tra lo 0% e il 40%, mentre nel gruppo di intervento con probiotici tra lo 0% e l’11%.
Di fondamentale importanza si è dimostrato il timing nella somministrazione: l’analisi di meta-regressione ha rivelato che l’efficacia dei probiotici è massima se assunti entro 2 giorni dalla prima dose di antibiotici. L’effetto diminuisce per ogni giorno di ritardo.
Quest’ultima considerazione spiegherebbe il motivo delle incongruenze con il PLACIDE, il cui protocollo prevedeva l’intervento con probiotici entro 7 giorni, mitigandone quindi gli effetti terapeutici.
In generale, nella revisione non si sono riscontrate differenze significative né nel metodo di assunzione, né nell’uso di un mix di batteri probiotici in particolare.
Le combinazioni più promettenti, tuttavia, sembrano essere i Lactobacillus da soli, i Lactobacillus insieme agli Streptococcus e l’associazione di Lactobacillus, Streptococcus e Bifidobacterium.
Di rilievo è anche il fatto che nessun effetto avverso è stato evidenziato.
Costi e benefici
In merito ai costi, un’analisi condotta nel Regno Unito ha stimato che associare i batteri probiotici alla terapia antibiotica porterebbe un risparmio maggiore di 500$ per paziente ospedalizzato.
La manipolazione del microbioma intestinale nella prevenzione delle infezioni da C. difficile avrebbe quindi un impatto non soltanto sulla salute dei pazienti, ma anche sull’economia del sistema sanitario.