Nonostante l’apparente stato di buona salute, la maggior parte dei neonati, americani in questo caso, presenta una condizione di disbiosi caratterizzata da una diminuzione di Bifidobacterium e un aumento di potenziali patogeni coinvolti nell’infiammazione enterica quali Escherichia o Klebsiella.
Una maggiore attenzione andrebbe quindi posta alle caratteristiche del microbioma neonatale, anche in assenza di evidenti manifestazioni cliniche, al fine di prevenirne sviluppi futuri.
Lo conclude l’ampia indagine condotta da Giorgio Casaburi e colleghi della Evolve BioSystems – University of Nebraska (USA) di recente pubblicata su Scientific Reports.
La disbiosi nei neonati
Il periodo neonatale è fondamentale per mettere le basi della salute dell’individuo. Anche il microbioma intestinale subisce in questa fase profonde trasformazioni verso uno stato più maturo, offrendo allo stesso tempo protezione da infezioni enteriche e supporto al sistema immunitario.
Alterazioni nel suo equilibrio si traducono in disbiosi, con un maggior rischio di patologie o disturbi nel medio-lungo termine. Nonostante la sua importanza, indagini ad ampio spettro sulla popolazione neonatale apparentemente sana, per verificare le condizioni di salute generale sono, fino a questo studio, carenti.
Per approfondire questo aspetto, i ricercatori hanno analizzato, attraverso tecniche metagenomiche, il microbioma intestinale di 227 neonati sani provenienti da differenti parti degli Stati Uniti (California, Georgia, Oregon, Pennsylvania, South Carolina) considerandone sia caratteristiche proprie dell’ospite (età, genere ecc.), presenza di eventuali geni di resistenza batterica, e, ovviamente, eventuali segni di disbiosi.
I risultati dello studio di metagenomica
367 sono state le specie batteriche identificate appartenenti a 119 genera, 53 famiglie, 25 ordini, 15 classi e 7 phyla. Interessante, tuttavia, notare come potenziali patogeni sono risultati essere tra le 10 famiglie più espresse che, combinate, rappresentano il 93% di tutto la popolazione intestinale. In particolare:
- Enterobacteriaceae (35%), Streptococcaceae (5,6%), Clostridiaceae (3,6%), and Staphylococcaceae (1,23%) sono risultate generalmente le più abbondanti
- nei primi tre mesi di vita non si è registrata alcuna variazione stato-dipendente. Dal quarto, Bifidobacteriaceae ha mostrato una bassa espressione rispetto alla predominanza fisiologica in tutti i gruppi (19,9%) con i valori minimi nei neonati della Georgia (12%), massimi in quelli della Pennsylvania (37%)
- a livello di specie, tra i potenziali patogeni sono stati classificati, in ordine di importanza, Escherichia coli (12,6%) seguito da Klebsiella pneumoniae (7%), Klebsiella oxytoca (2,5%), Enterobacter cloaceae (2,7%), Clostridium perfringen (1,1%), Clostridium difficile (0,1%), Staphylococcus aureus (0,03%) e Streptococcus agalactiae (0,01%)
Concentrandosi sui Bifidobacteria, fondamentali componenti di un microbioma intestinale sano, qui invece scarsamente espressi (20%):
- considerando la dieta (allattamento al seno o formula), nessuna differenza è emersa lungo il periodo di osservazione (6 mesi). Una maggiore abbondanza (non statisticamente significativa) di Bifidobacterium (75% di tutto il microbioma vs 25% con la formula) è stata però registrata nei neonati allattati a 4-6 mesi
- alivello di specie, sono stati identificati 10 Bifidobacterium species, con Bifidobacterium longum (8,5%), Bifidobacterium breve (5,8%), e Bifidobacterium bifidum (3,75%) tra quelli più espressi. La loro abbondanza ha, ad ogni modo, registrato valori inferiori nei primi tre mesi di vita con, di contro, una maggiore inter-variabilità (0-90%)
- B. infantis, fisiologicamente espresso e con un ruolo chiave nel metabolismo degli oligosaccaridi del latte materno (importante fonte nutrizionale per il neonato), è invece risultato mancante nel 90% dei neonati indipendentemente dal luogo di vita, età o dieta. Dei 23 che lo esprimevano, solo il 3% ne hanno inoltre registrato un’abbondanza relativa maggiore del 40%. Nei restanti 17, l’espressione di B. infantis ha mostrato di essere del 7,38%
Passando poi alle caratteristiche funzionali del microbioma dei neonati, è stata registrata un’elevata presenza di geni coinvolti nella resistenza batterica (ARGs, n=325), in quelli di South Carolina, California e Georgia in particolare (0,10%/0,014%/0,013% del totale) seguiti da Pennsylvania (0,01%) e Oregon (0,006%). Analizzando meglio gli ARGs:
- 155 hanno mostrato di essere condivisi tra gli stati e, nonostante l’abbondanza totale, la maggior parte di loro sono stati registrati nella coorte californiana (n=20)
- tra gli ARG condivisi (core) “ARO_3003369” (Escherichia coli EF-Tu mutants implicato nella resistenza a pulvomicina) seguito da “ARO:3003317” (Salmonella serovars parE per la resistenza ai fluorochinoloni) e “ARO:3003890” (Escherichia coli UhpT per resistenza a fosfomicina) sono risultati i più espressi
- considerando l’età, i neonati dai 0 a 3 mesi hanno mostrato una maggior carica di ARGs anche se non con una differenza significativa rispetto ai più “vecchi” di 4-6 mesi
- in media il 54% del resistoma (insieme di ARGs) è risultato associato a resistenze multiple e, in ordine, a resistenza singola per fosfomicina, elfamicina e fluorochinoloni
All’indagine per la presenza di ARGs i ricercatori hanno infine associato la valutazione funzionale del metabolismo (espresso in comprehensive metabolic panel o CMP) per gli oligosaccaridi del latte materno (HMO) per enterotipi.
- Tre sono gli enterotipi identificati. 99 soggetti sono stati assegnati a quello predominato da Bifidobacteriaceae, 81 a quello con Enterobacteriaceae, e 47 a Bacteroidaceae
- I soggetti con enterotipo caratterizzato da Bacteroidaceae o Enterobacteriaceae hanno mostrato un metabolismo di HMO molto differente, massimo nei primi, valori minimi invece per il secondo
- Le funzioni correlate al metabolismo del latto-N-biosio è significativamente alterato nei tre gruppi con quello di Bifidobacteriaceae codificante il maggior numero di funzioni, Enterobacteriaceae il minimo
- Andamento analogo per la capacità di metabolizzare i fucosilati con una maggior capacità nel gruppo Bacteroidaceae (159,9 CMP medio), seguito da Bifidobacteriacea (97,7 CMP medio) e Enterobacteriaceae (13,8 CMP medio)
- Trasporto e catabolismo dei mono e polisaccaridi non hanno invece mostrato notevoli differenze tra Bacteroidaceae (49,5 CPM, medio) ed Enterobacteriaceae (52,0 CPM, medio). Significativamente maggiore invece nel gruppo Bifidobacteriaceae (162 CPM, medio)
- Metabolismo dell’urea non ha mostrato differenze tra Bifidobacteriaceae (26,1 CPM medio) ed Enterobacteriaceae (28.6 CPM medio). Marcatamente inferiore invece nel gruppo Bacteroidaceae (13,5 CPM medio)
- Solo 16 dei 227 soggetti hanno mostrato di esprimere tutti questi pathways. Tra questi, più di metà (n=9) sono risultati appartenere all’enterotipo Bifidobacteriaceae, 5 a Bacteroidaceae e 2 in quello Enterobacteriaceae
Conclusioni
Nonostante l’apparente stato di buona salute quindi, il microbioma intestinale dei neonati è spesso colpito da disbiosi, con potenziali ripercussioni negative sul loro benessere nel medio-lungo termine.
La protezione da patogeni enterici come l’utilizzo della principale fonte di nutrimento del latte materno (gli HMO) sembrerebbe infatti essere non ottimale.
Importante è quindi intervenire precocemente e in maniera mirata per correggere le eventuali alterazioni del microbioma intestinale già in tenera età, anticipando le manifestazioni cliniche.