Una dieta ad alto contenuto di fibre alimentari non solo porta benefici al nostro intestino promuovendo la crescita di particolari specie batteriche capaci di metabolizzarle, ma sembrerebbe anche in grado di normalizzare i livelli di emoglobina glicata nel sangue, aspetto particolarmente rilevante in soggetti con diabete di tipo 2.
Fibre alimentari e diabete
Attraverso uno studio clinico pubblicato su Science e condotto su 43 pazienti diabetici, Liping Zhao e colleghi hanno infatti dimostrato il ruolo dei carboidrati complessi, meglio noti come fibre alimentari, e dei loro principali prodotti di metabolismo, gli acidi grassi a catena corta o SCFA, anche in questo quadro patologico.
La carenza di questi ultimi è stata più volta associata a svariati stati di alterazione fisica, tra i quali anche il diabete, ed è indice indiretto di basse concentrazioni di batteri intestinali in grado di produrli.
Il supplemento di alimenti ricchi in fibre ha dimostrato un miglioramento della sintomatologia comportando però risposte differenti.
Con lo scopo di approfondire quali benefici una dieta basata su carboidrati complessi possa dare, andando a definire anche con più precisione quali siano i batteri maggiormente coinvolti, i ricercatori cinesi hanno condotto varie analisi su campioni fecali ed ematici di soggetti diabetici suddividendoli rispettivamente nel gruppo di intervento (n=27), caratterizzato da un’aggiunta consistente di fibre e prebiotici alla dieta, e in quello controllo (n=16), sottoposto invece a normale alimentazione.
Entrambi i regimi alimentari presentavano lo stesso apporto calorico e tutti i pazienti sono stati trattati con acarbosio per favorire l’assimilazione delle fibre. Sono stati perciò analizzati i livelli di emoglobina glicata in quanto specchio dell’andamento di quelli del glucosio nel breve termine, l’espressione dell’attività metabolica e l’eventuale implicazione del microbioma intestinale. I dati sono stati raccolti all’inizio dello studio, al 28° giorno e al termine dello studio, il giorno 84.
Emoglobina glicata ridotta con dieta ricca di fibre alimentari
I livelli di emoglobina glicata sono risultati maggiormente ridotti nel gruppo con supplemento di fibre, soprattutto dal giorno 28 in poi. Com’era ragionevole supporre, sempre nello stesso gruppo, anche la percentuale di pazienti con un adeguato controllo glicemico a digiuno è risultata più alta rispetto ai controlli, 89% vs 50%, nonostante questa differenza si sia appianata al termine dello studio.
Andamento analogo è stato osservato anche per il glucosio post-prandiale. Per quanto riguarda invece il peso e il profilo lipidico, parametri dell’attività metabolica, il gruppo in trattamento ha mostrato i dati migliori.
Complessivamente dunque, il supplemento di fibre alimentari, meglio se diversificato, si è dimostrato sufficiente nell’indurre rilevanti benefici clinici nei pazienti diabetici.
Anche il gruppo di controllo trattato solo con acarbosio ha riportato buoni risultati, seppur in misura minore.
Il ruolo del microbiota intestinale
Per determinare con certezza il nesso tra batteri intestinali e miglioramento del controllo glicemico in seguito a fibre, è stato effettuato il trapianto di microbiota pre e post intervento in modelli murini germ-free, ovvero privi di una loro componente batterica.
I topi che hanno ricevuto il microbiota del post intervento sia dal gruppo di controllo sia, e in particolar modo, da quello con l’aggiunta di fibre, hanno dimostrato parametri di salute metabolica preferibili rispetto a quelli trapiantati con microbiota prelevato all’inizio dello studio.
Minori livelli di glucosio sia a digiuno sia post-prandiale sono stati inoltre registrati nei modelli con microbioma post-intervento proveniente dal gruppo con fibre.
Il trasferimento degli effetti ha quindi permesso di assicurare come il microbioma, modulato dall’apporto di fibre o da una loro maggiore facilità di metabolizzazione grazie all’acarbosio, sia in grado di contribuire positivamente nel bilanciamento della glicemia in pazienti diabetici.
Si è poi voluto approfondire come un aumento di carboidrati complessi riesca a produrre cambiamenti nella struttura della nostra componente batterica attraverso analisi genetiche.
Tutti i soggetti hanno mostrato dal giorno 0 al 28 una generale riduzione in termini di ricchezza genetica (numero di geni identificati per campione) la quale tuttavia è risultata maggiore nel gruppo con fibre rispetto ai controlli dal 28° giorno in poi.
La differenza genetica registrata si è notevolmente incrementata al termine dello studio probabilmente sostenuta dagli effetti di modulazione a carico del microbioma. I cambiamenti di composizione batterica infatti sono stati associati a miglioramenti dei parametri clinici.
Particolarmente importanti nel metabolismo dei carboidrati complessi sono una classe di enzimi detti CAZy. Mentre quelli legati alla degradazione dell’inulina sono risultati aumentati, quelli dedicati alla mucina e pectina sono diminuiti in entrambi i gruppi.
Da ultimo, solo nel gruppo con fibre si è mostrato un arricchimento dei geni codificanti per coesina e docherina, parti del complesso enzimatico per la degradazione della parete cellulare delle piante. L’incremento di ricchezza genetica non è perciò risultato globale ma specifico per alcune classi.
Acidi grassi a catena corta (SCFA)
Vista l’importanza degli SCFA, i ricercatori hanno quindi puntato l’attenzione sui loro geni di sintesi considerando come la concentrazione dei metaboliti fecali vada di pari passo con l’espressione genetica intestinale.
Analizzando perciò i campioni ottenuti, l’acido acetico ha riportato livelli simili in entrambi i gruppi mentre l’acido butirrico ha mostrato un incremento solo nel gruppo con supplemento di fibre.
Sia acetato che butirrato hanno dimostrato di migliorare l’omeostasi glicemica in quest’ultimo gruppo di pazienti promuovendo la produzione di GLP-1 (glucagon-like peptide-1) e PYY (peptide YY).
Complessivamente inoltre, i livelli di pH sono risultati ridotti al giorno 28 rispetto alla baseline per poi mantenersi stabili attorno al 6,36. Cambi del pH sono infatti importanti segnali di un aumento di produzione di SCFA e di un’acidificazione del lume intestinale.
L’alto apporto di fibre ha dimostrato dunque di agire a livello di microbiota instinale supportando la funzione degli acidi grassi a catena corta nel regolare i livelli di insulina e comportando cambiamenti anche nell’espressione in particolare di 15 specie batteriche.
Parallelamente all’aumento di specie produttrici di SCFA si è inoltre osservato un decremento di quelle associate alla sintesi di metaboliti dannosi quali indoli e idrogeno sulfuri.
Complessivamente si può dunque affermare come patologie croniche, tra le quali il diabete di tipo 2, potrebbero essere la conseguenza, abbinando altri fattori predisponenti, della perdita di componenti fisiologiche protettive quali i batteri produttori di SCFA dati i loro molteplici benefici.
Ristabilendo l’attività di quest’ultimi e seguendo un’alimentazione che favorisca un buon apporto di carboidrati complessi, sarebbe dunque possibile alleviare la sintomatologia di questa patologia.
Un’alimentazione personalizzata ad alto contenuto di fibre si presenta dunque come una valida proposta terapeutica per il diabete di tipo 2 e altre malattie legate a disbiosi.