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Diabete, ulteriori conferme sul ruolo del microbiota intestinale

Mediante l'indagine statistica, uno studio conferma il coinvolgimento del microbioma intestinale nel rischio di sviluppare diabete di tipo 2.
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Diabete, ulteriori conferme sul ruolo del microbiota intestinale

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Stato dell'arte
Sempre più studi confermano il ruolo del microbioma intestinale in patologie immunitarie e/o metaboliche promuovendolo come possibile target terapeutico. Distinguere i cambiamenti batterici causa di malattia da quelli che ne conseguono e quelli significativi da quelli circostanziali è quindi fondamentale.
Cosa aggiunge questa ricerca
Lo studio applica analisi di randomizzazione mendeliana bidimensionale ai dati genetici e di microbioma intestinale di un elevato numero di soggetti (coorte di studio LL-DEEP e coorte indipendente UK Biobank) combinandoli con 17 tratti metabolici e antropometrici per valutare il rapporto tra microbioma e insorgenza di diabete di tipo 2.
Conclusioni
I dati confermano che il microbioma intestinale è una delle cause di alterazione dei tratti metabolici tipici del diabete, suggerendo inoltre un più ampio uso del metodo statistico qui applicato.

In questo articolo

Considerando come, oltre alla genetica, anche il microbioma intestinale si stia dimostrando sempre più coinvolto nella nostra salute, capire se è corretto considerare le sue alterazioni come una situazione predisponente oppure una conseguenza dello sviluppo di una certa patologia è la chiave per intervenire al meglio. Importante è inoltre distinguere l’incidenza di fattori confondenti esterni da quelli pleiotropici, ossia tratti influenzati da geni in apparenza biologicamente “distanti” da quel fenotipo.

Elevate concentrazioni di propionato prodotto da determinati batteri commensali intestinali, a loro volta influenzati dalla genetica dell’individuo, suggeriscono ad esempio un aumento del rischio di diabete di tipo 2, trovando quindi un posto tra le sue cause.

Di contro, l’incremento di produzione di butirrato, altro acido grasso a catena corta (SCFAs), ha dimostrato un’associazione con una migliore risposta insulinica.

Ad averlo dimostrato sono Serena Sanna e colleghi dell’University Medical Center Groninger in Olanda attraverso un metodo di analisi statistica innovativo e riproducibile basato sulla randomizzazione mendeliana bidimensionale (MR). Lo studio, pubblicato su Nature Genetics, offre una panoramica dettagliata su una modalità di indagine predittiva di patologia combinando dati genetici dell’ospite (n=952 dalla coorte di studio LL-DEEP; n=500.000 dalla coorte indipendente UK Biobank) e dei relativi microbiomi intestinali con 17 tratti antropometrici (BMI, percentuale di grasso corporeo e viscerale ecc.) e metabolici (glicemia). Data la complessità, nonché l’elevato livello tecnico dello studio, di seguito sono riportati solo i passaggi e i risultati principali.

Una volta assemblato il campione di dati da analizzare, i ricercatori si sono focalizzati su 245 caratteristiche del microbioma (2 riguardanti i livelli fecali di SFCAs, 57 taxa unici, 186 vie metaboliche) che abbiano riscontrato nella coorte LL-DEEP almeno un’associazione con i tratti antropometrici e metabolici selezionati. Per ognuna di queste caratteristiche si è poi ricercato il predittore genico integrando le informazioni con il database GWAS e riscontrandolo nel 13% dei casi.

Tra i dati più interessanti troviamo la dimostrazione dell’effettiva influenza di PWY-5022, la via di degradazione batterio-mediata del 4-amminobutanoato (GABA), sull’attività di secrezione insulinica, in particolare il rapporto AUC insulina/AUC glucosio. Tale associazione ha trovato conferma in più test di MR, mentre non sembra esserci nessun effetto pleitropico in gioco. Nemmeno l’analisi di MR inversa ha dato risultati significativi suggerendo come, in questo caso, sia la componente batterica a influenzare i livelli di insulina e non viceversa.

Dalla degradazione del GABA derivano, tra gli altri prodotti, anche i SCFAs. L’attenzione si è quindi spostata su di essi, in particolare propionato e butirrato, in quanto potenziali mediatori di risposta insulinica. I risultati ottenuti hanno indicato che:

  • Eubacterium rectale e Roseburia intestinalis hanno presentato l’associazione più forte con l’espressione della via metabolica PWY-5022
  • l’attività di PWY-5022 e i tratti antropometrici-metabolici hanno mostrato scarsa correlazione con i livelli fecali di butirrato
  • i livelli fecali di butirrato sono quindi poco rappresentativi della sua produzione e assorbimento, suggerendo un ruolo dei batteri producenti più nella regolazione insulinica che nei meccanismi di mantenimento del metabolismo glucidico a digiuno
  • di contro, la concentrazione di propionato fecale in risposta a variazioni genetiche ha presentato, nel complesso, correlazione con l’indice di massa corporea (BMI) e, ancora più forte, con il rischio di diabete di tipo 2 sia nella coorte LL-DEEP sia in quella UK. Nessun effetto pleiotropico sembra essere coinvolto.

Per concludere, visti i risultati ottenuti, l’approccio di indagine statistica messo a punto ha presentato un buon livello di affidabilità e riproducibilità, tanto da essere suggerito dagli stessi autori come strumento utile nei prossimi studi di associazione batterica.

Silvia Radrezza
Laureata in Farmacia presso l’Univ. degli Studi di Ferrara, consegue un Master di 1° livello in Ricerca Clinica all’ Univ. degli Studi di Milano. Borsista all’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS dal 2017 al 2018, è ora post-doc presso Max Planck Institute of Molecular Cell Biology and Genetics a Dresda (Germania).

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