Tra tutti i microrganismi che compongono il nostro microbioma, i batteriofagi sono probabilmente la categoria meno studiata, nonostante la loro abbondanza e la capacità di influenzare l’intero ambiente intestinale.
A un’elevata specificità d’azione sembrerebbero infatti in grado di abbinare una modulazione a più ampio raggio, coinvolgendo anche altre specie batteriche e alterando perciò la composizione e il profilo metabolico globale del microbioma.
È quanto risulta dallo studio coordinato da Bryan B. Hsu, della Harvard Medical School, pubblicato su Cell Host & Microbe.
I batteriofagi o fagi sono virus che infettano cellule procariotiche batteriche e che risiedono abitualmente nel nostro intestino e che sono in grado, in certe situazioni, di propagarsi e attaccare i batteri in maniera solitamente specifica. Mentre il loro ruolo in determinate patologie come infiammazione cronica o malnutrizione è relativamente noto, il loro preciso impatto sulla componente batterica rimane poco chiaro. Tracciare la relazione causa-effetto in questo contesto è, infatti, complesso a causa soprattutto dei molti fattori confondenti. Per ovviare a questo problema, i ricercatori americani hanno perciò messo a punto un modello di topi gnotobiotici inoculati con specie caratterizzanti il microbioma intestinale umano, ossia Firmicutes (Clostridium sporogenes, Enterococcus faecalis), Bacteroidetes (Bacteroides fragilis, Bacteroides ovatus, Bacteroides vulgatus, Parabacteroides distasonis), Proteobacteria (Klebsiella oxytoca, Proteus mirabilis, Escherichia coli Nissle1917) e Verrucomicrobia (Akkermansia muciniphila). Per quattro di queste (E. coli, C. sporogenes, B. fragilis ed E. faecalis) sono stati poi somministrati i relativi fagi (T4, F1, B40-8 e VD13 rispettivamente) a 16 e 30 giorni e monitorati i cambiamenti, specifici e non, a livello batterico, tramite la raccolta seriale di campioni fecali.
Equilibrio mantenuto
Una volta verificata la specificità d’azione dei fagi somministrati, è stato valutato il loro comportamento in un contesto più ampio, ma allo stesso tempo definito, di microbioma e si è dimostrato che:
- sia i fagi sia i relativi target batterici persistono nell’intestino per tutta la durata dello studio (40 giorni);
- in termini di suscettibilità, E. faecalis, isolato prima e subito dopo la somministrazione del relativo fago (VD13), per esempio, ha mantenuto la risposta completa. Un aumento di resistenza è stato, tuttavia, osservato a 2 e 10 giorni con, rispettivamente, il 28% e 68% delle colonie non responsive.
Inoltre, la somministrazione dei fagi, a 16 giorni soprattutto, ha comportato non solo il decremento di espressione dei target batterici, ma anche alterazioni quantitative dell’intero microbioma interessando sia le specie più abbondanti (A. muciniphila e B. fragilis) che quelle meno rappresentate (B. vulgatus, P. mirabilis e P. distasonis) con, inoltre, l’arricchimento di quelle resistenti. Alla diminuzione di C. sporogenes ed E. coli si accompagna, infatti, un rapido e notevole aumento di B. vulgatus, P. mirabilis e A. muciniphila, più graduale invece di P. distasonis e B. ovatus
La presenza del fago non ha tuttavia comportato la completa eliminazione del target, mantenendo la conta batterica totale complessivamente invariata suggerendo quindi una buona stabilità dell’ecosistema locale.
Effetti fuori target dei fagi
L’attenzione dei ricercatori si è, quindi, focalizzata sugli effetti “fuori target” dei fagi, comparando la colonizzazione di modelli con e senza, a turno, una delle specie batteriche bersaglio:
- ogni coorte ha mostrato differenze compositive marcate ma, nel complesso, una densità batterica media similare;
- ogni specie omessa ha influenzato diversamente il microbioma circostante con una conseguente modulazione fenotipica. La somministrazione di T4 anti- E. coli, per esempio, ha comportato una riduzione significativa di B. fragilis e un aumento di B. vulgatus rilevando una connessione tra le tre specie. Meno impattante invece la somministrazione di fagi anti-B. fragilis ed E. faecalis con l’alterazione meno marcata di A. muciniphila, B. ovatus, B. vulgatus, P. distasonis, e P. mirabilis, normalmente repressi dal primo e incrementati dal secondo;
- probabilmente a causa delle interazioni batteriche, gli effetti indotti dai fagi hanno dimostrato una certa dinamica temporale. P. distasonis, per esempio, a differenza di altre specie ha registrato un ritardo nella crescita di circa 3 giorni.
Da ultimo, è stato valutato l’impatto dei fagi sul metaboloma intestinale, registrando alcune alterazioni significative, soprattutto a seguito della prima somministrazione (giorno 16). Il primo set di fagi ha, infatti, comportato cambiamenti notevoli nel 17% dei metaboliti esaminati (carboidrati, lipidi ecc.), mentre il secondo set solo nello 0.7% dei casi. Tra questi, i neurotrasmettitori di provenienza batterica quali triptamina (R. gnavus e C. sporogenes) e tiramina (E. faecalis, e gli amminoacidi come serina e treonina o sali biliari primari, hanno dimostrata particolare suscettibilità.
Riassumendo, possiamo dunque affermare che i fagi:
- coesistono con i rispettivi target batterici;
- inducono effetti a cascata che coinvolgono tutto il microbioma, non solo le specie bersaglio;
- influenzano il metaboloma del microbioma.
L’ampia varietà di effetti fago-correlati suggerisce quindi la possibilità, a seguito di ulteriori studi, di modularne l’espressione con approcci e finalità terapeutiche mirate.