Una dieta psicobiotica, ossia ricca di prebiotici e cibi fermentati, assieme alla composizione batterica intestinale, sembrerebbe avere un impatto positivo sulla salute mentale riducendo la percezione dello stress.
La possibilità di manipolare il microbiota per intervenire positivamente sulla comunicazione intestino-cervello richiede tuttavia studi più approfonditi. I meccanismi che stanno alla base di questa relazione rimangono infatti poco chiari.
È quanto conclude lo studio di Kirsten Berding e colleghi dell’APC Microbiome Ireland (Cork, Irlanda), di recente pubblicato su Molecular Psychiatry.
L’asse intestino-microbiota-cervello
Dopo che la ricerca scientifica ha appurato l’esistenza di un coinvolgimento del microbiota intestinale nei processi cognitivi e sulla salute mentale, la sfida di poter manipolare la popolazione batterica per un miglioramento delle funzioni cerebrali sta diventando sempre più centrale sia nel mondo della ricerca sia in quello della pratica clinica.
Da qui la definizione di psicobiotici per indicare probiotici o prebiotici attivi a livello psichico.
Sappiamo, grazie a centinaia di studi pubblicati, che la dieta è il principale driver per la modulazione, nel bene e nel male, del microbiota intestinale. Tuttavia, se esistono in letteratura tanti studi di relazione causa-effetto condotti su modelli animali, sono ancora pochi quelli realizzati sull’uomo.
Volendo quindi approfondire questo aspetto sull’uomo, i ricercatori hanno coinvolto 45 adulti sani assegnandoli al gruppo con dieta psicobiotica (n=24) o controlli (n=21) per 4 settimane. Tra gli alimenti psicobiotici troviamo cereali grezzi, alimenti fermentati (kefir, yogurt, kombucha ecc.) frutta, verdura e legumi mentre è stata scoraggiata l’assunzione di cibi e bevande poco sani, raffinati e zuccherati.
Lo studio dell’APC Microbiome Ireland di Cork
Oltre a un diario sulle abitudini alimentari e un questionario sulle percezioni della salute mentale sono stati collezionati campioni fecali, di urine ed ematici per investigare il profilo batterico, infiammatorio e metabolico. Ecco quanto emerso.
Dopo aver assicurato l’aderenza al piano alimentare assegnato, sono stati confrontati i livelli di stress percepito, la salute generale, la composizione e funzionalità batterica e le caratteristiche metaboliche sistemiche dimostrando come:
- il gruppo con psicobiotici ha registrato una diminuzione nella percezione dello stress del 32%
- l’efficacia della dieta nella percezione dello stress ha mostrato correlazione positiva con l’aderenza al piano alimentare
- nessun cambiamento significativo in termini di salute generale nonostante il gruppo in dieta abbia mostrato un miglioramento della consistenza fecale
- né l’alfa né la beta diversità hanno registrato un significativo cambiamento tra i due gruppi
- alterazioni invece a livello di specie con un incremento di Blautia wexlerae e decremento di Blautia obeum, Coprococcus comes, Dorea longicatena, Eubacterium rectale, Gemmiger formicilis e Bifidobacterium longum nel gruppo in dieta rispetto a prima dell’intervento
- incremento nella degradazione di xylosio e treonina nel gruppo in dieta
- correlazione positiva è stata registrata tra la volatilità del microbiota (cambiamenti nella diversità microbica prima e dopo la dieta) e lo stress percepito nel gruppo in dieta, non nella controparte
- la volatilità del microbiota non è tuttavia risultata correlata alla dieta suggerendo come l’introduzione di psicobiotici non vada ad alterare la stabilità batterica
- si è registrata una variazione significativa di 40 metaboliti lipidici nel gruppo in dieta, non osservata nei controlli
- dei 50 metaboliti identificati nei campioni di urine, 13 hanno mostrato un’alterazione nel gruppo in dieta. Tra questi, acido chinolinico. L-triptofano, L-fenilalanina hanno, ad esempio, mostrato un decremento contrapposto a un aumento di fenilpropionilglicina
- 34 i metaboliti identificati a livello plasmatico. Di questi, l’acido 5-idrossindolo-3-acetico e la 3-idrossichirunenina hanno mostrato un’alterazione significativa
Conclusioni
Per concludere quindi, un intervento con psicobiotici, anche se nel breve termine, sembrerebbe migliorare la percezione dello stress nella popolazione sana accompagnata da un’alterazione in specifici metaboliti batterici.
Importante tuttavia, come sottolineano gli autori, prendere questi risultati con le dovute cautele considerando il limitato numero di soggetti coinvolti, la mancanza di meccanismi di relazione e l’inclusione di solo un numero limitato di approcci alimentari.