Una terapia antibiotica, anche di breve durata, influisce inevitabilmente sulla componente batterica intestinale. Ma quali sono gli effetti a medio e lungo termine?
Dallo studio coordinato da Albert Palleja dell’Università di Copenhagen, e pubblicato di recente su Nature Microbiology, emerge come il nostro microbiota intestinale sia resiliente e quindi in grado di ritornare a condizioni pressoché fisiologiche in circa un mese e mezzo. Tale capacità è da correlare alla presenza di particolari geni di resistenza antibiotica, specifici di ogni batterio e che nel complesso vanno a formare il cosiddetto “resistoma”.
Nonostante la resistenza antibiotica e la conseguente inefficacia terapeutica siano fra le principali problematiche di salute pubblica, gli studi che indagano gli effetti di un particolare intervento sul resistoma individuale sono limitati.
Antibiotici per 4 giorni e microbiota intestinale
Per approfondire le conoscenze sul comportamento del microbiota batterico fisiologico in risposta a un breve trattamento antibiotico combinato, i ricercatori hanno analizzato i campioni fecali di 12 volontari sani dopo averli trattati per 4 giorni con meropenem, gentamicina e vancomicina. Di seguito i risultati ottenuti dal materiale collezionato rispettivamente al baseline (D0), al termine del trattamento antibiotico (D4), all’ottavo (D8), 42° (D42) e 180° giorno (D180).
La composizione complessiva del microbiota intestinale ha mostrato di ritornare alle condizioni fisiologiche di partenza dopo l’esposizione antibiotica. Nel dettaglio:
- al termine del trattamento (D4) la ricchezza e la diversità espressa dall’indice di Shannon hanno mostrato una marcata riduzione rispetto al baseline nonostante non sia stata raggiunta in alcun caso la completa eradicazione batterica
- all’ottavo giorno la ricchezza batterica ha presentato ancora bassi valori, mentre è aumentata la diversità, suggerendo così un iniziale processo di ricolonizzazione
- l’alpha diversity è ritornata ai valori iniziali in sei mesi
- nonostante sia la ricchezza sia la Shannon diversity abbiano mostrato un leggero ripristino nei sei mesi, i valori si sono mantenuti notevolmente inferiori al baseline per la ricchezza e pressoché stabili in termini di diversità
- i campioni in D4 e D8 mostrano un’elevata differenza di composizione batterica rispetto al baseline, situazione parzialmente ridotta in D42 e D180
- al quarantaduesimo giorno il microbiota sembrerebbe raggiungere una composizione stabile.
I ceppi batterici maggiormente coinvolti
Dopo aver riscontrato cambiamenti più o meno transitori nel microbiota, i ricercatori hanno individuato nello specifico i batteri coinvolti:
- in D8 l’abbondanza relativa di 50 specie batteriche ha mostrato un’alterazione significativa. Tra le specie arricchite troviamo E. coli, Veillonella spp., Klesiella spp., E. faecalis e F. nucleatum, tra le meno espresse invece F. prausnitzii, R. haminis, A. hadrus, Coprococcus spp. ed Eubacterium spp.
- nei campioni collezionati in D42 non sono più stati riscontrati Klesiella spp., E. faecalis, Megasphera micronuciformis e F. nucleatum, sono rimasti presenti ma con livelli simili al baseline E. coli e Veillonella spp., mentre Clostridium spp. ha registrato un notevole aumento
- membri del genere Bifidobacterium, batteri produttori di butirrato come C. eutactus ed E. ventriosum o di metano come M. smithii presenti in D0 non sono stati riscontrati negli altri campioni collezionati in seguito.
Il ruolo del resistoma
Si è passato poi ad analizzare nel dettaglio il resistoma e ciò che ne consegue, ipotizzando come le differenti resistenze agli antibiotici siano da correlare alla capacità di ricolonizzazione dopo la terapia.
Nel complesso, l’abbondanza dei geni di resistenza antibiotica non ha però presentato un andamento temporale delineato tale da spiegare le differenze tra specie.
Tra i risultati emersi troviamo che:
- i geni di resistenza ai beta-lattamici e amminoglicosidi non hanno mostrato alterazioni di abbondanza significative al baseline
- geni anti-glicopeptidi sono risultati notevolmente ridotti in D4, per poi mantenersi stabili fino al termine dello studio.
Possedere determinati geni di resistenza potrebbe invece condizionare le possibilità di sopravvivere al trattamento e la capacità di ri-colonizzare? Sembrerebbe di sì; eccone qualche esempio:
- geni di resistenza ai beta-lattamici garantiscono una sopravvivenza a 8 giorni, quelli per glicopeptidi e anche a 42
- la colonizzazione fino a 180 giorni è favorita da geni di resistenza agli amminoglicosidi e glicopeptidi; fino al D42 dagli anti-beta lattamici, mentre i geni anti-MEP permettono la crescita soprattutto dal 42° al 180° giorno.
Da ultimo, si è verificato se ci fossero particolari funzioni metaboliche incrementate in seguito al trattamento antibiotico.
Considerando il database KEGG si è scoperto che:
- l’abbondanza relativa di 192 moduli KEGG e di 64 pathways è significativamente cambiata in D8 rispetto al baseline, alterazioni ridotte progressivamente durante lo studio
- alcuni fattori di virulenza hanno dimostrato maggiore espressione in D8 sebbene anche in questo caso si siano ridotti già in D42.
Conclusioni
In conclusione, dunque, il microbiota intestinale di adulti sani è resiliente a un trattamento antibiotico di breve durata ritornando alla composizione iniziale in tempi piuttosto brevi soprattutto grazie alla presenza di alcuni geni di resistenza.
Ulteriori studi sono tuttavia necessari al fine di verificare se la capacità di recupero qui dimostrata è mantenuta anche in soggetti più giovani o anziani.