È di questi giorni la notizia che la Francia si unisce al crescente numero di Paesi che si allontanano dall’interpretazione restrittiva della Commissione europea. La Direzione Generale per la Politica della Concorrenza, i Consumatori e il Controllo delle Frodi (DGCCRF) ha infatti annunciato alle organizzazioni francesi che l’uso del termine “probiotico” può essere consentito sull’etichetta degli integratori alimentari che soddisfano determinate condizioni, così come la relativa indicazione sulla salute “contribuisce all’equilibrio della flora intestinale”.
In Europa il termine “probiotico” è accettato in alcuni Paesi membri, ma non in altri. E, in base al principio del “mutuo riconoscimento”, il prodotto legalmente prodotto in un Paese che consente l’uso del termine “probiotico” è in libera circolazione nell’Unione Europea.
La Commissione Europea riconosce esclusivamente il termine probiotico come “indicazione sulla salute”, che può essere utilizzato solo se accompagnato da un effetto specifico sulla salute.
Manca pertanto un quadro normativo Europeo che consenta di identificare i microrganismi probiotici e le condizioni d’uso negli alimenti e negli integratori. L’Italia è all’avanguardia rispetto agli altri Paesi europei: dal 2005 l’uso del termine “probiotico” è regolato da Linee Guida nazionali, aggiornate nel 2018, che stabiliscono chiare indicazioni per l’uso negli alimenti e negli integratori alimentari di microrganismi probiotici tradizionalmente utilizzati per l’equilibrio della flora batterica intestinale.
Ne parliamo con Rosanna Pecere, Executive Director – dell’associazione europea dei probiotici, IPA Europe.
Quali sono le informazioni al momento disponibili sull’uso del termine “probiotico” in Francia?
Sulla base delle informazioni finora disponibili, anche in Francia, come in Italia, il termine “probiotico” potrà essere utilizzato se sono soddisfatte specifiche condizioni. È un approccio valido perché fornisce al consumatore una garanzia di qualità, sicurezza ed efficacia degli alimenti e degli integratori alimentari probiotici. Inoltre, un’indicazione che faccia riferimento a un effetto dei probiotici sull’equilibrio della flora intestinale sarà consentita sull’etichetta di un integratore alimentare o nella comunicazione commerciale. In pratica, ciò equivale alla dicitura italiana “favorisce/ contribuisce”, che corrisponde alla dicitura francese “contribue à l’équilibre de la flore intestinal”. L’indicazione in etichetta può essere flessibile – si può anche usare “participation” o “maintien”.
In quale contesto è maturata la decisione francese?
La mancanza di un quadro normativo armonizzato e l’assenza di chiarezza sulla definizione degli alimenti probiotici a livello europeo ha portato i singoli Stati membri ad adottare norme nazionali e pratiche commerciali per consentire l’uso del termine ‘probiotico’ in etichetta. L’Italia e la Repubblica Ceca hanno già implementato linee guida nazionali con specifiche condizioni d’uso per alimenti e integratori alimentari. La Spagna ha ufficialmente autorizzato l’uso del termine “probiotico” sulle etichette di alimenti e integratori alimentari da novembre 2020. Dal maggio 2021 anche la Danimarca consente di indicare “probiotico” sugli integratori alimentari, in attesa che la CE chiarisca il suo punto di vista, e i Paesi Bassi hanno incluso i probiotici in una versione aggiornata del “Nutrition and Health Claims Handbook”. Tra gli altri Paesi che autorizzano l’uso del termine figurano Bulgaria, Malta e Polonia.
Stando a quanto sappiamo al momento, quali sarebbero in Francia le condizioni d’uso previste e l’indicazione in etichetta?
In Francia si prevede l’impiego del termine in quanto identificativo della categoria dei microrganismi probiotici. Analogamente a quanto già indicato nelle linee guida italiane, gli integratori alimentari in Francia potranno utilizzare un’indicazione in etichetta che si riferisce all’equilibrio della flora intestinale, a condizione che contengano una quantità minima di cellule vive al giorno (che in Francia sarebbe tra 107 e 109), che siano “ben caratterizzati” per garantire la sicurezza del microrganismo usato (con l’identificazione della specie e del ceppo) e che questi non siano portatori di antibiotico-resistenza. Per essere considerati idonei, i ceppi probiotici devono avere una storia di consumo sicuro, per evitare di rientrare nel regolamento dell’Unione Europea sui nuovi alimenti (UE) 2015/2283. La formulazione dell’indicazione associata al termine può essere flessibile, ad esempio con termini equivalenti a “contribuisce”, come “partecipa” all’equilibrio o “mantiene” una “normale costituzione della flora intestinale”.
Cosa vi aspettate, come IPA Europe, nel prossimo futuro?
Oggi tutti i prodotti “probiotici”, provenienti da Paesi europei e da Paesi extra-UE attraverso le vendite via Internet, sono in libera circolazione nel mercato unico europeo. L’assenza di criteri e condizioni d’uso per definire la categoria dei probiotici nell’Unione Europea crea una grave confusione per il consumatore e incertezza per l’industria.. L’associazione probiotica IPA Europe da anni sostiene la necessità di un riconoscimento dei probiotici, come categoria, negli alimenti e negli integratori alimentari, con criteri definiti. Le linee guida italiane, e ora quelle francesi, rappresentano certamente un esempio di “benchmarking” per l’Unione Europea, per garantire che i consumatori europei ricevano informazioni sufficientemente veritiere, chiare e comparabili.
Qual è la situazione europea per l’impiego di indicazioni sugli alimenti in base al Regolamento (CE) 1924/2006?
Attualmente nell’UE esiste un’unica indicazione sulla salute autorizzata per i microrganismi probiotici vivi “i fermenti lattici vivi dello yogurt migliorano la digestione del lattosio”. Finora, i ceppi probiotici specifici in quanto tali non hanno ricevuto un parere positivo dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e non possono vantare specifici benefici per la salute (che sono elencati nelle richieste presentate all’EFSA). Tuttavia, esistono evidenze scientifiche a supporto degli effetti dei microrganismi probiotici, e in altre regioni del mondo le autorità pubbliche considerano i probiotici come una categoria di ingredienti “ad hoc”, ne riconoscono la specificità e regolano l’uso del termine sulle etichette e nella comunicazione ai consumatori.