Il mondo dei probiotici si trova oggi a un punto di svolta, sospeso tra l’esigenza di rigore scientifico e la spinta di un mercato globale in continua espansione. Lo si è visto chiaramente a Origgio, in provincia di Varese, dove Opella ha organizzato il primo Global Probiotic Summit, un appuntamento che ha voluto intrecciare ricerca, innovazione e visione industriale in un unico scenario.
Nella “fabbrica” di Enterogermina
Non è un caso che il summit sia stato ospitato proprio nello stabilimento di Origgio, cuore produttivo di Enterogermina e centro nevralgico della rete globale di Opella. Questo sito, attivo dal 1972 e oggi specializzato nella produzione di probiotici e formulazioni liquide, rappresenta un esempio concreto di come ricerca scientifica e capacità industriale possano procedere insieme.
Negli ultimi anni, grazie a investimenti importanti e al sostegno del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, Origgio si è trasformato in un hub di innovazione, dove nuovi ceppi probiotici vengono studiati, formulati e portati al mercato internazionale.
Il summit ha riunito esperti internazionali di microbiologia, professionisti della salute e rappresentanti del settore, con l’obiettivo di definire i criteri che rendono un probiotico davvero efficace e sicuro. Perché, al di là delle etichette commerciali, ciò che fa la differenza è la qualità: la capacità dei microrganismi di sopravvivere al transito gastrointestinale, di moltiplicarsi nell’intestino e di esercitare effetti misurabili sul sistema immunitario e sull’equilibrio del microbiota.
Come ha sottolineato la professoressa Emilia Ghelardi dell’Università di Pisa, non tutti i ceppi sono uguali e solo microrganismi vivi, ben caratterizzati e correttamente formulati possono garantire risultati costanti.
Servono evidenze solide
Dal punto di vista scientifico, il messaggio che emerge è chiaro: servono evidenze solide, studi clinici rigorosi e comunicazione trasparente, perché i professionisti possano orientare i pazienti e i consumatori in modo consapevole. Ma accanto a questa prospettiva, l’evento ha messo in luce anche la dimensione business.
Il mercato dei probiotici cresce a ritmi sostenuti e la competizione è sempre più serrata, con prodotti che differiscono per ceppi, formulazioni e indicazioni. In questo contesto, qualità e integrità scientifica non sono solo garanzie di salute, ma diventano anche strumenti strategici per consolidare la fiducia e differenziarsi.
Opella, che a livello globale conta 11.000 collaboratori, 13 siti produttivi e oltre 100 brand riconosciuti, ha scelto di posizionarsi come punto di riferimento in questo scenario, puntando su ricerca e responsabilità. La missione dell’azienda, racchiusa nel claim “Health. In Your Hands”, si riflette sia nella volontà di rendere l’automedicazione semplice e sicura, sia negli impegni di sostenibilità: a Origgio, per esempio, è già stata raggiunta una riduzione del 76% delle emissioni di CO₂ rispetto al 2019 e l’obiettivo è arrivare al 100% di energia rinnovabile entro il 2025.
L’impressione generale è che il Global Probiotic Summit non sia stato soltanto una vetrina, ma un momento di riflessione sul futuro di un settore che intreccia ricerca biotecnologica, industria farmaceutica e mercato consumer. Da un lato c’è la necessità di sviluppare probiotici sempre più mirati e clinicamente rilevanti, dall’altro quella di garantire standard produttivi elevati e pratiche sostenibili. Nel mezzo, il ruolo cruciale dei professionisti della salute, chiamati a interpretare le evidenze scientifiche e a guidare scelte consapevoli.
Se il summit ha segnato un punto d’inizio, il percorso appare tracciato: i probiotici del futuro non saranno soltanto una risposta a bisogni di salute, ma il risultato di un equilibrio complesso tra ricerca, business e responsabilità sociale.