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Trapianto fecale: una “miniera d’oro” che fa gola a molti

Il trapianto fecale è tra i più promettenti filoni di ricerca sul microbioma. Ecco il parere del prof. Antonio Gasbarrini.
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Trapianto fecale: una “miniera d’oro” che fa gola a molti

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Tra i diversi ambiti di ricerca che orbitano intorno al microbioma, quello sul trapianto di feci è certamente uno dei più avanzati e promettenti. Oltre a essere usato efficacemente nel trattamento delle infezioni di Clostridium difficile, iniziano ad affacciarsi altre possibili indicazioni che vanno ben oltre il tratto gastro enterico, dal coadiuvare trattamenti oncologici (farmaci immunoterapici) alla terapia del diabete e dell’obesità.

E come spesso succede, quando una pratica clinica inizia ad avere successo, il mondo farmaceutico comincia a manifestare un certo interesse. E a fare due conti.

A portare la questione sotto i riflettori è stato per primo il quotidiano New York Times, con un articolo firmato da Jacob Andrews uscito alcune settimane fa.

Non a caso, Oltreoceano, alcune aziende stanno accendendo i motori per vedere se sia possibile ricavare utili dal trapianto di microbiota. Il nodo centrale, che al momento vede contrapposti da un lato i clinici e i ricercatori, dall’altro alcune aziende Pharma, è il tema regolatorio. Come dovrebbe essere considerato il trapianto di microbiota fecale dal punto di vista normativo? Alla stessa stregua di un farmaco o piuttosto un trapianto di tessuto o di organo?

Nel 2013, la FDA aveva iniziato a lavorare a una bozza in cui il trapianto di microbiota fecale era classificato come una terapia farmacologica, ma poi il tutto si è arenato nel mare delle polemiche. E al momento nessuno è venuto a capo del problema.

La nebbia regna sovrana, negli Usa, ma anche in Europa. L’attuale assenza di una regolamentazione univoca, sia sul fronte FDA sia da parte di EMA, fa sì che ognuno si comporti come ritiene più opportuno. Nei centri dove viene praticato, in genere, è classificato come un trapianto di tessuto, di organo o una trasfusione di sangue.

Inquadramento normativo del trapianto di microbiota

Farmaco o non farmaco? Qual è la strada più corretta da seguire? La domanda non è banale, visto che da questa definizione dipenderanno aspetti importanti, come per esempio il prezzo e la disponibilità di queste terapie. Gli interessi economici coinvolti, come si può immaginare, sono molti.

Commenta Antonio Gasbarrini, gastroenterologo e direttore del CEMAD, struttura del Policlinico Gemelli di Roma: «Sarebbe assurdo considerarlo un farmaco, per un semplice motivo: il trapianto di microbiota non può essere sempre uguale nel tempo, la massa trasferita cambia in continuazione. L’unica cosa che si può fare, che naturalmente al CEMAD facciamo, è verificare l’assenza di patogeni. Un farmaco, per definizione, deve essere sempre uguale a se stesso. Una massa fecale no. E poi aumenterebbero di certo i costi, creando problemi di non poco conto ai pazienti».

Antonio Gasbarrini, Direttore del CEMAD - Policlinico A. Gemelli, Roma
Antonio Gasbarrini, Direttore CEMAD – Policlinico A. Gemelli

Da un lato, quindi, medici e ricercatori esprimono preoccupazione per la possibilità che questa decisione renda più difficile e costoso l’accesso a questo tipo di terapie, al momento garantito dalla disponibilità del materiale fecale donato a titolo gratuito da persone sane e stoccato in apposite banche di feci, le cosiddette stool bank, per lo più di natura non-profit.

Il timore principale è che le aziende interessate a brevettare nuove modalità di somministrazione del materiale, possano in questo modo assicurarsi il diritto esclusivo di vendere un determinato trattamento basato sul trapianto di microbioma fecale.

Dall’altro lato le aziende stesse e alcuni medici sostengono che soltanto attraverso i complessi e rigorosi iter necessari a far approvare una terapia farmacologica sarà possibile garantire la sicurezza di questi trattamenti. Per questo alcune delle aziende interessate si sono già organizzate per formare associazioni. «Ma la sicurezza del trapianto, che è certo importante, si può garantire anche se non è un farmaco», ricorda Gasbarrini.

Il trapianto fecale in Italia

In Italia, al momento unico paese in tutta Europa, il trapianto di microbiota fecale è considerato una donazione di organo. E questo consente agli ospedali che lo effettuano di non incappare in problemi burocratici. Nel resto d’Europa la situazione è variegata.

Continua il professor Gasbarrini: «Il nostro è l’unico paese europeo in cui il Centro nazionale trapianti e AIFA hanno trovato un accordo e hanno inserito il trapianto di microbiota nel contesto della Legge 181, quindi afferisce al mondo del trapianto di tessuto. In questo momento, non c’è ancora una regolamentazione ufficiale, però il CNT ha stabilito regole precise a cui, i centri ospedalieri che vogliono aprire biobanche, devono attenersi».

C’è infine l’aspetto non secondario della ricerca. «Oggi se un ospedale vuole fare ricerca sul trapianto fecale riesce a farlo a costi contenuti, se diventa un farmaco la cosa si complica». Il rischio è quello di rallentare il processo di conoscenza sulle potenzialità di questa pratica clinica.

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