Come per altri tumori, anche nel caso dell’epatocarcinoma (HCC), la composizione del microbiota intestinale è in grado di influenzare la risposta a farmaci inibitori del checkpoint immunitario migliorando il decorso della terapia. L’ecosistema intestinale ha mostrato grande variabilità in risposta al trattamento.
Lo dimostra il recente studio italiano guidato da Francesca Romana Ponziani della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma pubblicato su Hepatology Communications.
Immunoterapia oncologica e microbiota
Gli inibitori del checkpoint immunitario (ICI), farmaci in grado di stimolare la risposta del sistema immunitario, rappresentano la nuova frontiera terapeutica per vari tipi di tumori, epatocarcinoma incluso.
A influenzarne l’efficacia in caso di tumori solidi ci sono diversi fattori, tra cui il microbiota intestinale. L’infiammazione cronica, d’altra parte, è risultata essere non soltanto un fattore di rischio per il tumore al fegato, ma anche per un microbiota alterato.
Studi che analizzino la relazione tra malattia, microbiota e inibitori del checkpoint immunitario su pazienti con problematiche epatiche gravi quali cirrosi o, per l’appunto, epatocarcinoma, rimangono tuttavia scarsi.
I ricercatori italiani hanno quindi valutato il potenziale ruolo prognostico del microbiota intestinale sull’efficacia di queste terapie in 11 pazienti con cirrosi o HCC oltre che valutare l’impatto generale della terapia (Tremelimumab e/p Durvalumab per circa di 6 mesi) nell’ambiente intestinale.
Di seguito quanto emerso.
I risultati dello studio sull’epatocarcinoma
Sei degli undici pazienti al termine dell’osservazione hanno registrato una risposta positiva alla terapia con un miglioramento della malattia.
Confrontando questo gruppo con i pazienti stabili o peggiorati si è quindi visto come, nei primi:
- I livelli di calprotectina fecale e PD-L1 sierici erano inferiori già al baseline rispetto ai non rispondenti
- Di contro, zonulina-1 e LBP hanno mostrato valori simili
- Akkermansia erano più espressi nel pre-trattamento con, invece, una minore presenza di Staphylococcus, Neisseria ed Enterobacteriaceae
- I livelli di calprotectina hanno mostrato associazione positiva con quelli di zonulina-1 e LBP, negativa con il rapporto Akkermansia/Enterobacteriaceae
- il rapporto Akkermansia/Enterocobacteriaceae ha mostrato un incremento in due pazienti particolarmente rispondenti, un significativo calo invece nei pazienti che hanno dovuto sospendere il trattamento per effetti collaterali troppo pesanti o inefficacia
In generale tuttavia, la composizione del microbiota intestinale ha registrato un’elevata variabilità durante e dopo il trattamento. Nei quattro pazienti seguiti a sei mesi dalla sospensione della terapia infatti:
- nei pazienti con cirrosi, la famiglia Enterobacteriaceae è risultata essere il core batterico nonostante l’elevata variabilità interna
- Enterobacteriaceae segue un pattern simile a Methanobacteriaceae, diverso di Bifidobacteriaceae e Verrucomicrobiaceae nonostante alterazioni in Enterobacteriaceae sono risultate essere da attribuire proprio a Bifidobacteriaceae e Verrucomicrobiaceae
- Bifidobacterium e Akkermansia hanno mostrato un andamento temporale e causale relazionato a Prevotella, Veillonella, Ruminococcus, Roseburia, Lachnospira, Faecalibacterium e Clostridium.
Conclusioni
I pazienti cirrotici o con tumore epatico che rispondono al trattamento con inibitori del checkpoint immunitario sembrano avere una composizione microbica diversa e più favorevole a un’efficacia terapeutica.
Ulteriori conferme con un più ampio numero di soggetti sono tuttavia necessarie al fine di individuare relazioni più precise tra questi fenomeni osservati.