Poiché molti disturbi infettivi, autoimmuni e metabolici sono associati a un microbiota sbilanciato, i ricercatori hanno studiato approcci per manipolare i batteri intestinali nei pazienti.
Un piccolo studio clinico suggerisce che una miscela di oligosaccaridi del latte umano (HMO) e un microbo presente nell’intestino dei lattanti può modulare il microbiota intestinale negli adulti.
I risultati, pubblicati su Cell Host & Microbe, potrebbero quindi aprire la porta a nuovi approcci per contrastare la disbiosi intestinale.
Finora, i ricercatori hanno sviluppato terapie a base di prodotti bioterapeutici vivi, che persistono nell’intestino del ricevente e portano a risultati clinici positivi, come la riduzione al minimo della recidiva dell’infezione da Clostridioides difficile.
Terapie simili sono in fase di studio per il trattamento di un’ampia varietà di malattie. «Sebbene alcune delle terapie testate abbiano avuto successo clinicamente, i risultati sono stati poco precisi e riproducibili», afferma il ricercatore dello studio Gregory McKenzie di Prolacta Bioscience a Duarte, in California.
Oligosaccaridi del latte materno
Precedenti studi hanno dimostrato che il latte materno umano contiene alte concentrazioni di circa 200 zuccheri diversi chiamati oligosaccaridi del latte umano (HMO).
Questi zuccheri non vengono metabolizzati come fonte di energia dai neonati, ma promuovono la crescita nell’intestino di batteri benefici, incluso Bifidobacterium longum subspecies infantis (B. infantis).
I livelli di questo microbo, che si nutre degli HMO nel latte materno umano, diminuiscono con lo svezzamento.
Gregory McKenzie e il suo team hanno precedentemente dimostrato che una miscela di HMO e B. infantis porta alla persistenza, o “attecchimento”, di questo batterio nell’intestino di adulti sani.
Per dare seguito a questi risultati, i ricercatori hanno studiato un prodotto bioterapeutico vivo a base di HMO e B. infantis in un piccolo studio clinico.
Migliora la colonizzazione intestinale
I ricercatori hanno reclutato 56 adulti sani: di questi, 19 hanno completato un ciclo di antibiotici di cinque giorni senza altri interventi, 17 hanno ricevuto lo stesso ciclo di antibiotici insieme a B. infantis per 14 giorni e 17 hanno ricevuto un trattamento antibiotico insieme a B. infantis e HMO per 28 giorni. I ricercatori hanno raccolto campioni di feci e sangue a intervalli prestabiliti per 35 giorni.
I soggetti che hanno ricevuto sia B. infantis sia HMO hanno mostrato un maggiore attecchimento (colonizzazione intestinale) di B. infantis nel loro intestino rispetto ai controlli. Non sono stati segnalati eventi avversi gravi.
In seguito alla colonizzazione di B. infantis nell’intestino, sono cambiati anche i livelli di altri batteri intestinali che non fanno affidamento sugli HMO per produrre energia. Ad esempio, sono aumentati i livelli dei batteri Veillonella, che si nutrono di molecole prodotte da B. infantis e che producono acidi grassi a catena corta e altri metaboliti benefici per la salute umana.
L’attecchimento di B. infantis ha comportato anche un aumento dei livelli di metaboliti indicativi di cambiamenti nel metabolismo microbico, tra cui molecole associate a processi biologici come il metabolismo dei carboidrati e la sintesi dei lipidi.
Effetto a catena: aumenta anche Veilonella
Negli esperimenti condotti su batteri cresciuti in vitro, la presenza di B. infantis ha aumentato la produzione da parte di Veillonella dell’acido grasso a catena corta propionato, che è stato associato a benefici per la salute.
Tuttavia, i ricercatori non hanno osservato cambiamenti significativi nei livelli di propionato nelle feci e nel sangue dei partecipanti che avevano ricevuto sia B. infantis che HMO.
«Questi dati suggeriscono che i livelli di propionato probabilmente sono aumentati, almeno temporaneamente, solo a livello intestinale nei soggetti che hanno ricevuto B. infantis», affermano gli autori.
In futuro, il team prevede di condurre una sperimentazione per valutare il prodotto bioterapeutico vivo a base di HMO e B. infantis nei pazienti affetti da tumori del sangue sottoposti a trapianto di cellule staminali, un trattamento che spesso provoca alterazioni del microbiota intestinale, aumentando la suscettibilità dei pazienti a infezioni opportunistiche.