«Solo in Dostoevskij esistono personaggi del tutto negativi» affermava la professoressa Girelli nel film Mignon è partita, di qualche anno fa. Come a dire: nella vita reale non esiste il bianco e il nero, soltanto colori sfumati. Vale per gli umani, e vale anche per i batteri.
Per chiunque non abbia dimestichezza con l’universo microbico – e con il microbiota in particolare – il termine “patobionte” può suonare piuttosto sinistro.
Identificando i microrganismi in grado di colonizzare l’ospite senza produrre effetti dannosi, ma in determinate condizioni capaci di tramutarsi in patogeni, la definizione evoca infatti una sorta di fuoco amico che porta innocui batteri commensali a trasformarsi in pericolose minacce interne che alimentano l’infiammazione e la rendono cronica, con tutto ciò che questo comporta a livello intestinale e, potenzialmente, anche per altri organi e apparati.
Problema ulteriore, alcuni patobionti sono particolarmente resistenti agli antibiotici, rendendo problematico un trattamento efficace. Un esempio eloquente di questi batteri dalla personalità multipla è rappresentato dall’Enteorcoccus faecalis, un classico commensale. Di solito è innocuo, ma in presenza di disbiosi può proliferare e diventare un pericolo. In ogni caso, indipendentemente dal microbiota, è un tipo temibile soprattutto per i pazienti più fragili e defedati.
Da simbionte a patobionte, da dr Jekyll a mr Hyde: soffre per caso di doppia personalità?
«Vedo che partiamo con domande taglienti e dirette. Benissimo. Non vorrei scomodare desuete teorie lombrosiane, ma la mia non è una natura criminale e non mi ritengo un delinquente innato: nell’ambito del microbiota, infatti, la mia azione diventa patogena a causa di particolari situazioni ambientali che favoriscono la mia proliferazione e mi fanno prendere il sopravvento su altri ceppi batterici dominanti. In pratica, è l’influenza dell’ambiente a rendermi pericoloso e il fattore scatenante è proprio la perdita dell’equilibrio fisiologico del microbiota (1). A questo punto – adottando un comportamento che accomuna tutti i patobionti – sono in grado di indurre una risposta mediata dai linfociti T non fisiologica: in pratica prima traggo in inganno il sistema immunitario e poi attivo l’infiammazione, rendendola cronica (2). È così che riesco ad aprire la strada ad alcune malattie croniche intestinali oppure, se già presenti, ad aggravarne il decorso.
In letteratura scientifica lei è “schedato” come un commensale innocuo, ma che in certe situazioni può scatenare l’inferno. Quindi mi sta dicendo che è tutta colpa delle cattive compagnie?
«In effetti sì, lo devo confessare, in certe circostanze divento un agente infettivo piuttosto pericoloso e – come gli altri enterococchi e in particolare l’E. faecium – sono direttamente responsabile di endocarditi sub-acute, meningiti, sepsi, batteriemie e infezioni delle vie urinarie. Questo accade di solito in ambito ospedaliero, dove secondo alcuni me la prendo soprattutto con i pazienti più fragili – in particolare gli immunocompromessi e gli anziani – utilizzando i cateteri vescicali o intravascolari come via di accesso per alimentare tipiche infezioni nosocomiali. Non sarà bello da ammettere, ma di fronte ai più deboli finisco insomma per comportarmi come il peggiore dei patogeni opportunisti.
Diciamo la verità: agire in incognito per lei non è una novità, visto che un tempo era noto con un altro nome…
«In effetti in passato ero stato schedato, se così possiamo dire, come appartenente al genere degli streptococchi non-emolitici di gruppo D ed ero noto come Streptococcus faecalis. Poi nel 1984 è stato creato un nuovo genere a sé (3), nel quale assieme all’E. faecium rivesto un ruolo preminente, in quella che se proprio vogliamo si può definire la cupola di una cosca malavitosa. A lungo l’ho fatta franca, dato che gli elementi completi per arrivare a un’identificazione certa sono ancora più recenti e sono stati acquisiti soltanto nel 2013, grazie agli approfondimenti che hanno consentito di individuare la sequenza di genoma che reprime la proteina CyIR2.
Leggo dalla sua fedina penale: personalità multiple, falsificazione di identità, agente infettivo che si accanisce sui più deboli… C’è altro?
«Ci sarebbe anche quel piccolo reato di resistenza agli antibiotici, che però va raccontato nel modo giusto. Non come hanno fatto certi giornalisti di cronaca nera… Sarò anche un patogeno opportunista, ma non credo mi si possa ridurre alla stregua di un delinquente occasionale. Al contrario, mi piace essere considerato un tipo organizzato e previdente e capace – come sosterrebbe un profiler del FBI– di pianificare in anticipo le mie azioni. Una prova di questa mia abilità è rappresentata proprio dalla resistenza agli antibiotici: negli anni Ottanta sono stato coinvolto in una serie di infezioni mortali in un centro ospedaliero dell’Università del Wisconsin grazie alla mie capacità di produrre tossine e tollerare i pH acidi. E nella stessa occasione ho mostrato anche di essere resistente a diversi antibiotici e disinfettanti usati negli ospedali e di saper reagire immediatamente all’introduzione di un nuovo antibiotico (4). Di recente è stato poi scoperto che la mia capacità di adattamento all’ambiente ospedaliero è di molto precedente all’era antibiotica e risale addirittura alla metà del XIX secolo (5). Più previdente di così…
Nessun dubbio che sia un tipo tosto, ma anche lei avrà dei punti deboli, qualcosa di cui ha paura…«Ha presente Cattivissimo me? Sono in grado di resistere a valori di pH compresi da 4,5 a 10, posso replicarmi a temperature comprese tra i 10° e i 45°C, riesco a crescere in terreni Agar sangue fino a concentrazioni di NaCl del 6,5% e mi potete cuocere a 60°C per 30 minuti, e continuo a stare benissimo. Non ho molti punti deboli. Certo un antibiotico appropriato mi mette in fuga, ma prima dovete scoprire che sono io tramite l’antibiogramma. Nell’ambito del microbiota, se proprio vogliamo, vengo messo nelle condizioni di non fare danni quando l’ospite adotta una dieta corretta e svolge il giusto esercizio fisico. Se vuole trovarmi un nemico a tutti i costi posso dirle che, in prospettiva, trovo un po’ preoccupanti le spore del probiotico Bacillus subtilis, che sembrano in grado di impedirmi di raggiungere il flusso ematico e di causare infezioni sistemiche (6). Ma per ora si tratta di studi su modelli murini che richiederanno anni prima di arrivare all’uomo. Per il momento, quindi, posso agire relativamente indisturbato».
References
- Repoila F, Le Bohec F, Guérin C, et al. Adaptation of the gut pathobiont Enterococcus faecalis to deoxycholate and taurocholate bile acids. Sci Rep. 2022;12(1):8485. Published 2022 May 19. doi:10.1038/s41598-022-12552-3
- Xu M, Pokrovskii M, Ding Y, et al. c-MAF-dependent regulatory T cells mediate immunological tolerance to a gut pathobiont [published correction appears in Nature. 2019 Feb;566(7744):E7]. Nature. 2018;554(7692):373-377. doi:10.1038/nature25500
- Schleifer KH, Klipper-Balz R. Transfer of Streptococcus faecalis and Streptococcus faecium to the Genus Enterococcus nom. rev. as Enterococcus faecalis comb. nov. and Enterococcus faecium comb. nov. Int J Syst Bacteriol. 1984;34:31. doi.org/10.1099/00207713-34-1-31
- Van Tyne D, Manson AL, Huycke MM, Karanicolas J, Earl AM, Gilmore MS. Impact of antibiotic treatment and host innate immune pressure on enterococcal adaptation in the human bloodstream. Sci Transl Med. 2019;11(487):eaat8418. doi:10.1126/scitranslmed.aat8418
- Pöntinen AK, Top J, Arredondo-Alonso S, et al. Apparent nosocomial adaptation of Enterococcus faecalis predates the modern hospital era. Nat Commun. 2021;12(1):1523. Published 2021 Mar 9. doi:10.1038/s41467-021-21749-5
- Piewngam P, Chiou J, Ling J, et al. Enterococcal bacteremia in mice is prevented by oral administration of probiotic Bacillus spores. Sci Transl Med. 2021;13(621):eabf4692. doi:10.1126/scitranslmed.abf4692