In caso di epatite alcolica la somministrazione di batteriofagi specifici per E. faecalis in grado di produrre l’esotossina citolisina sembrerebbe una valida e innovativa strategia terapeutica e/o preventiva.
Lo dimostra lo studio di Yi Duan e colleghi della University of California (USA), di recente pubblicato su Nature.
Considerando l’elevato tasso di mortalità, il rapido decorso e le limitate opzioni terapeutiche ad oggi disponibili, l’epatite alcolica è considerata la forma più grave di malattia epatica. La trasmissione può avvenire anche attraverso il microbiota fecale, che è in grado, a quanto pare, di influenzarne lo sviluppo. In che modo rimane ancora da chiarire. I ricercatori statunitensi hanno perciò voluto approfondire il ruolo del microbiota e dei relativi metaboliti nell’eziopatologia di questa patologia. Di seguito i risultati principali.
Al fine di verificare l’effettiva associazione tra epatite alcolica con modifiche nella composizione batterica intestinale è stata condotta un’analisi di sequenziamento genico 16S rRNA in pazienti e in controlli sani, dimostrando che:
- soggetti consumatori di alcol e con patologie correlate hanno presentato una composizione del microbiota alterata rispetto ai controlli sani
- in presenza di epatite alcolica Enterococcus spp. ha mostrato un notevole incremento fecale rispetto ai controlli o a soggetti con altri disturbi da alcol (5,59% vs 0,023% e 0,024% rispettivamente)
- circa l’80% dei pazienti con epatite alcolica è risultato positivo per E. faecalis, anch’esso significativamente più espresso in questo sottogruppo (2.700 volte in più rispetto ai controlli).
Precedenti studi hanno dimostrato come E. faecalis sia effettivamente implicato in patologie epatiche mediante la produzione della citolisina codificata dai geni cylLL e cylLs e in grado di indurre la lisi non solo di Gram-positivi, ma anche di cellule eucariotiche.
Analizzando il genoma dei ceppi isolati si è visto però come solo il 30% di quelli provenienti da pazienti con epatite alcolica esprimono i geni per l’esotossina, che non era invece espressa da nessuno di quelli prelevati dai controlli e solo da uno dei ceppi di soggetti con altri tipi di disturbi alcol-correlati. I 93 isolati batterici hanno infatti mostrato un’elevata diversità filogenetica, suggerendo come la produzione di citolisina dipenda da elementi genetici mobili e non costitutivi.
La sua espressione, più che la presenza di E. faecalis in sé, sembrerebbe inoltre implicata nello sviluppo, nonché nella gravità della patologia. Confrontando infatti la sopravvivenza dei soggetti in base alla positività o meno alla citolisina si è visto come l’89% di quelli con epatite alcolica ed E. faecalis producente l’esotossina siano deceduti entro 180 giorni rispetto al 3,8% di quelli negativi per citolisina.
La citolisina contribuisce quindi al danno epatico? Se sì, in che modo? Per scoprirlo modelli murini sono stati colonizzati con E. faecalis in grado (ceppo FA2-2(pAM714) o meno (FA2-2(pAM771) di produrla; i topi sono stati poi indotti al consumo continuato di alcol o soluzione salina come controllo. Dal confronto, il gruppo citolisina-etanolo ha mostrato:
- un danno epatico più pronunciato
- maggiori livelli di alanina aminotransferasi (ALT)
- chiari segni di steatosi
- innalzamento dei parametri infiammatori (citochine, chemochine)
- ridotta sopravvivenza.
Più che la produzione o meno di citolisina, è il consumo di alcol a essere risultato fondamentale per il passaggio di E. faecalis dall’intestino al fegato, comportando una pesante alterazione della barriera intestinale. Non è stato rilevato invece nessun apparente effetto dell’esotossina, né sulla composizione della popolazione batterica intestinale né sulla capacità di assorbimento o metabolica. Di contro, pesanti effetti sono stati registrati sulla salute dell’organo. Modelli murini germ-free sono infatti stati trapiantati con feci derivanti da pazienti positivi o negativi a citolisina: come preventivato, il primo gruppo ha mostrato gravi segni di danno epatico, steatosi, fibrosi e infiammazione.
Al fine di determinare il meccanismo d’azione, i ricercatori hanno isolato gli epatociti da modelli alimentati con alcol o dieta di controllo, per incubarli poi con una o entrambe le subunità bioattive dell’esotossina, con etanolo o con veicolo di controllo. Confrontando i tassi di mortalità cellulare, la citolisina ha mostrato attività citotossica indipendentemente dalla presenza di alcol, probabilmente attraverso la sua capacità di formare pori a livello delle membrane cellulari.
Considerato quindi il ruolo di E. faecalis producente citolisina nello sviluppo di epatite alcolica, la somministrazione di batteriofagi mirati potrebbe rappresentare una potenziale alternativa terapeutica. In modelli gnotobiotici colonizzati con feci di pazienti con epatite alcolica e positivi per citolisina, successivamente trattati con fagi anti-E. faecalis, è stato infatti osservato un miglioramento significativo delle condizioni cliniche, senza alcun cambiamento nella struttura batterica complessiva. La selettività del fago sembrerebbe agire contro i geni per l’esotossina, non del ceppo batterico. Colonizzando i topi con E. faecalis privo di geni per citolisina, il trattamento con il batteriofago non ha infatti comportato alcun beneficio per l’ospite.
I risultati dello studio sembrano quindi suggerire un importante ruolo, anche come biomarcatore, di E. faecalis producente citolisina nello sviluppo e nel decorso di epatite alcolica: inoltre, la somministrazione di batteriofagi specifici potrebbe essere utile per il trattamento di questa patologia o come intervento preventivo. Ulteriori studi e trial clinici sono tuttavia necessari al fine di ottimizzare la terapia e valutarne l’efficacia e sicurezza nell’uomo.