Sono ancora in tanti a fare confusione e usare la dicitura “flora intestinale” al posto di microbiota intestinale. Abbiamo chiesto di fare un po’ di chiarezza a Elisa Borghi, docente al dipartimento di Scienze della salute dell’Università degli studi di Milano e componente del board scientifico di Microbioma.it.
Cosa si intende con flora intestinale e da dove deriva?
Il termine deriva dal fatto che per molto tempo i regni viventi erano divisi in animali e piante, con i batteri annoverati tra quest’ultime. Da qui l’accezione di “flora”. Oggi, con la suddivisione in sei regni, tra cui Bacteria, non ha più senso indicarli come flora intestinale. Il termine, che non è corretto, aveva peraltro un’accezione positiva: includeva soltanto i microrganismi benefici, escludendo i patogeni.
Però in letteratura è tutt’ora usato: nel 2016 sono stati pubblicati oltre 2000 studi con keyword “flora batterica” o “flora intestinale”…
C’è una spinta verso l’utilizzo di microbiota, vocabolo introdotto a metà degli anni ‘90 da Jeffrey Gordon della Washington University che ha coniato il termine riferendosi a tutte le specie microbiche che abitano un determinato ambiente. Gordon, con “microbiota”, ha compreso tutti i microrganismi, anche i patogeni, presenti in un determinato ambiente. Il microbiota include tutto quello che è di origine microbica: eucarioti, funghi, protozoi, virus e batteri. La componente batterica è sicuramente quella più abbondante sia a livello intestinale che in altre nicchie ecologiche. Con microbioma invece si intende l’insieme dei geni codificati dai microrganismi presenti in una comunità.
Se microbiota comprende tutte le specie microbiche, non sarebbe corretto entrare più nello specifico e avere termini diversi a seconda del regno tassonomico?
Ci sono alcuni paper in cui viene studiata la componente fungina indicandola col termine micobiota.
Perché sono prevalenti le ricerche sui batteri rispetto a quelle sul micobiota?
Innanzitutto nel micobiota possono esserci specie transienti, ingerite con la dieta. Quindi stabilire quali sono le specie davvero colonizzanti e non “di passaggio” è difficile. Inoltre, rispetto ai batteri, i funghi sono in numero molto inferiore. Ma questo non significa che abbiano poca importanza.
C’è anche meno consenso a livello metodologico nell’analisi di questi microgranismi, in particolare sulla regione genica da utilizzare per la next generation sequencing, e un limite legato ai database: quello che si sequenzia deve essere confrontato con banche dati di riferimento che, nel caso dei funghi, non sono solide come quelle batteriche.
E per quanto riguarda i virus?
Si parla di viroma. Noi abbiamo virus endogeni, presenti, latenti e/o integrati nel nostro genoma. Nel viroma sono compresi anche i batteriofagi, virus che stanno dentro i nostri batteri e che possono variare molto da individuo a individuo, i quali rappresentano un mondo ancora poco studiato.
Nel nostro microbiota sono presenti archeobatteri?
Si, gli archeobatteri sono presenti, tuttavia hanno una struttura cellulare molto diversa e quindi quando li ricerchiamo c’è bisogno di un focus particolare perché non vengano sottostimati. Sono sicuramente in minor misura, però ce ne sono alcuni che sono riconosciuti per la loro importanza all’interno del microbiota, come il Methanobrevibacter smithii.
Anche i parassiti possono essere annoverati nel microbiota?
Si, ci sono elminti e protozoi, ma anche qui bisogna capire se siano transienti o stabili. E se i funghi stessi sono pochi, i protozoi lo sono ancora meno. C’è una teoria secondo cui l’estremizzazione dell’igiene nella società attuale ha portato alla perdita consistente di microrganismi tra cui i protozoi, che avevano una grande importanza dal punto di vista immunologico e immunostimolante. Però sono ancora pochi gli studi in questo ambito.
Quindi è importante introdurre la parola microbiota al posto di flora intestinale?
Scientificamente è più corretto “microbiota” per i motivi precedentemente esposti. Però, se si prova a dire a un paziente “prendi i probiotici”, questi farà fatica a capire cosa sono. Se invece gli si dice “prendi i fermenti lattici” capirà.
Sarebbe opportuno che i medici iniziassero a introdurre i termini corretti quando parlano con i pazienti. Il problema è convincere i clinici: alcune branche della medicina negli ultimi anni hanno assunto la consapevolezza dell’importanza del microbiota e quindi si sono rivolti a questo mondo in modo aperto. Altre branche sono ancora lontane.