Benché promettente e sicuro, il trapianto di microbiota fecale non sembrerebbe migliorare significativamente i sintomi della sindrome dell’intestino irritabile (IBS). È quanto dimostra lo studio clinico, randomizzato, in cieco e cross-over coordinato da Olga C. Aroniadis del Montefiore Medical Center (USA), recentemente pubblicato su Lancet Gastroenteral and Hepatology.
La sindrome dell’intestino irritabile è un disturbo cronico caratterizzato da dolore addominale e irregolarità intestinale. A seconda del sintomo caratteristico si può inoltre suddividere in IBS-diarroica (IBS-DA), IBS-costipata (IBS-CO) o una forma mista (IBS-M). Nonostante sia una condizione alquanto diffusa e con un alto impatto sulla qualità della vita dei soggetti interessati, ad oggi non esiste alcuna cura e le terapie in uso risultano spesso poco efficaci. Nell’indagare nuove strategie di intervento, visto il ruolo comprovato del microbiota nella loro eziopatologia, il trapianto di microbiota fecale (FMT) sembrerebbe essere una valida opzione. I dati clinici a riguardo sono però scarsi e talvolta contrastanti.
Al fine di approfondire questo aspetto, 48 soggetti con IBS-DA di grado moderato-severo (IBS-Simptom Severity Score, IBS-SSS >175) sono stati suddivisi in due gruppi: il primo (n=25, tre dei quali persi al follow-up) ha ricevuto prima un trapianto di microbiota fecale (25 capsule da 0,38 g al giorno per 3 giorni) e, dopo 12 settimane, lo stesso numero di capsule di placebo; i pazienti del secondo gruppo (n=23) hanno invece ricevuto prima il placebo e, sempre dopo 12 settimane, il trapianto di microbiota fecale.
I ricercatori hanno confrontato la sintomatologia e valutato la risposta clinica (decremento di IBS-SSS di almeno 50 punti), la qualità della vita (QOL), gli stati ansiosi o depressivi, la consistenza fecale, il profilo microbico e gli eventi avversi. La raccolta dei dati è stata effettuata mediante l’analisi dei campioni fecali e opportuni questionari. Di seguito i risultati ottenuti.
All’inizio dello studio, l’IBS-SSS medio si è mostrato pari a:
- 282 nel gruppo sottoposto prima a FMT, 309 in quello che ha ricevuto prima il placebo.
Inoltre, dai dati raccolti è emerso che:
- in seguito all’FMT non si è registrato un significativo miglioramento dei sintomi rispetto al placebo, con valori medi di IBS-SSS rispettivamente di 221 e 236
- risultati simili sono stati ottenuti nei due gruppi anche in termini di risposta clinica, QOL, ansia, depressione o consistenza fecale
- IBS-SSS, QOL e consistenza fecale, seppur in maniera analoga nei due gruppi, hanno presentato un miglioramento rispetto al baseline
- il gruppo che ha ricevuto prima il placebo ha mostrato un miglioramento continuo tra le 12 e le 24 settimane. Situazione di stallo invece per i pazienti trattati prima con FMT
- in generale, il gruppo ricevente prima il placebo ha mostrato un punteggio IBS-SSS minore al termine dello studio
- il profilo del microbiota non ha mostrato differenze significative tra i rispondenti all’FMT e i non rispondenti, anche se a una settimana dal trapianto la comunità batterica è risultata più simile a quella dei donatori e l’abbondanza relativa di Bacteroidetes e Firmicutes maggiore nei rispondenti.
Per quanto riguarda gli eventi avversi:
- sono stati registrati 65 eventi avversi totali durante le 24 settimane di studio, 47 correlati ai trattamenti (23 per FMT, 24 per placebo), 18 non correlati
- tra i più comuni troviamo dolore addominale (10%), nausea (8%) e peggioramento della diarrea (6%)
- l’unico evento avverso grave non è stato correlato ai trattamenti in studio, confermando perciò la sicurezza dell’FMT.
Il trapianto di microbiota fecale non sembrerebbe perciò risolutivo, né in grado di apportare un significativo miglioramento dei sintomi e della qualità di vita dei pazienti con IBS. Tale risultato non deve però scoraggiare né essere considerato conclusivo. Questa, come molte altre sindromi, è caratterizzata infatti da un’elevata eterogeneità che rende difficile uno studio di efficacia terapeutica a così ampio raggio. A tal proposito, commenta Franco Scaldaferri, gastroenterologo del policlinico A. Gemelli di Roma: «Nelle patologie a patogenesi multifattoriale e complessa, la selezione di pazienti e donatori è il vero problema che i medici e ricercatori devono affrontare e considerare nello studio».
Guarda l’intervista a Franco Scaldaferri sul ruolo del microbiota nelle patologie intestinali
E aggiunge: «Sicuramente la non efficacia già prima di completare l’arruolamento nel trial ci fa pensare che l’effetto di una modulazione aspecifica e potente del microbiota, come accade con uso di capsule FMT, non è determinante per il risultato. Restano sul tavolo diverse domande: che succede se il donatore ha un profilo genetico/ambientale/microbiotico e comportamentale non adeguato? E se i riceventi hanno una disbiosi troppo diversa per essere considerati un gruppo omogeneo di pazienti? Questi trial hanno il merito di dimostrare il vero challenge dei prossimi anni, ovvero superare o meglio ottimizzare l’evidence based medicine con la personalized medicine».