Il microbiota intestinale è riconosciuto come un fattore critico nella patogenesi della sindrome dell’intestino irritabile (IBS) ed è noto che i sottoprodotti metabolici dell’ecosistema microbico intestinale, come gli acidi grassi a catena corta (SCFA), influenzino la funzione intestinale e la salute dell’ospite.
Nonostante ciò, il ruolo preciso degli SCFA nell’IBS è ancora argomento di dibattito. Un recente studio italiano, pubblicato sulla rivista Gut Microbes, suggerisce che livelli di SCFA differenti potrebbero rappresentare fenotipi clinici distinti di IBS, con implicazioni nella diagnosi e nel trattamento di questa condizione.
IBS e SCFA: cosa sono i catabotipi
La sindrome dell’intestino irritabile (IBS) è un comune disturbo gastrointestinale, che colpisce fino al 21% della popolazione mondiale. Caratterizzata da dolore addominale ricorrente e alterazioni delle abitudini intestinali, la IBS ha una patofisiologia ancora non del tutto compresa e i trattamenti attualmente disponibili sono efficaci solo per alcuni pazienti.
Le alterazioni del microbiota intestinale e dei suoi prodotti metabolici, come gli acidi grassi a catena corta (SCFA), sembrano giocare un ruolo cruciale nella patogenesi della IBS, ma il modo in cui ciò avviene è ancora oggetto di dibattito.
Recenti ricerche suggeriscono la stratificazione dei pazienti con IBS con alvo non costipato (NC-IBS) in sottogruppi, chiamati “catabotipi,” basati sui livelli fecali di SCFA e caratterizzati da specifiche firme batteriche e profili clinici.
Conoscere e identificare i diversi catabotipi potrebbe aprire la strada a terapie più mirate, per affrontare la grande variabilità delle forme di IBS con alvo non costipato, tra cui compaiono la forma IBS-D, caratterizzato dalla presenza di diarrea, e quella IBS-M, con fenotipo misto.
Risultati dello studio
Gli autori di questo nuovo studio hanno esaminato la struttura della comunità batterica intestinale mediante profilazione genetica dell’rRNA 16S e i livelli di SCFA mediante UPLC-MS/MS in campioni fecali provenienti da controlli sani (HC; n = 100) e pazienti con IBS con alvo non costipato (IBS-D e IBS-M; NC-IBS; n = 240), arruolati in 19 ospedali italiani.
I risultati suggeriscono una differenza significativa tra il microbiota fecale dei pazienti con NC-IBS e quello dei soggetti sani. In particolare, le persone non affette sembrano mostrare una maggiore biodiversità intra-campione.
Sono stati confermati i risultati di studi precedenti, con l’espansione del phylum Actinobacteria, e sono stati osservati l’aumento dei Firmicutes e la diminuzione dei Bacteroidetes nei pazienti NC-IBS, rispetto ai controlli sani, supportando l’ipotesi che questi taxa possano rappresentare firme microbiche nei pazienti con IBS.
Per quanto riguarda i cataboliti, l’analisi dei dati ha rivelato concentrazioni inferiori di butirrato, succinato e valerato nelle feci dei pazienti con NC-IBS, rispetto ai controlli sani. Questi risultati indicano una possibile variabilità nella popolazione di NC-IBS, suggerendo la presenza di sottogruppi con rilevanza clinica variabile in base ai livelli di differenti SCFA.
In particolare, sono stati identificati due gruppi di pazienti con livelli significativamente diversi di SCFA fecali: uno con livelli più alti (catabotipo FC-H) e uno con livelli più bassi (catabotipo FC-L) rispetto ai controlli sani. Il catabotipo FC-H è stato associato a livelli più elevati di dolore addominale e di consistenza delle feci rispetto a FC-L, suggerendo un’associazione tra sintomi della IBS e catabotipi.
Tuttavia, la direzione dell’associazione tra SCFA e sintomi della IBS rimane ambigua, poiché le alterazioni nella motilità intestinale potrebbero influenzare la produzione di SCFA o viceversa.
Conclusioni
In conclusione, questo studio apre nuove prospettive sulla complessa relazione tra il microbiota intestinale e i sintomi intestinali della IBS, sottolineando l’importanza di strategie personalizzate per il trattamento di questa condizione.
Ulteriori ricerche saranno necessarie per sviluppare protocolli analitici standardizzati e stabilire soglie per gli acidi grassi a catena corta, al fine di identificare i differenti sottotipi di pazienti con IBS con alvo non costipato e migliorare, così, le opzioni diagnostiche e terapeutiche.