Secondo un recente studio, pubblicato su Cell Reports, le popolazioni di tutto il mondo sono caratterizzate da microbioti intestinali diversi, che potrebbero spiegare la maggiore o minore suscettibilità alle infezioni intestinali. Studiare le differenze geografiche del microbioma potrebbe essere utile per trarre conclusioni generalizzabili sui microbi intestinali e sulla salute umana.
«A livello mondiale le differenze riscontrate nella composizione del microbiota intestinale sono maggiori di quanto osservato, ad esempio, all’interno della sola popolazione degli Stati Uniti», afferma l’autore senior dello studio Ilana Brito, della Cornell University.
«C’è un grande bisogno di comprendere i ruoli specifici che questi microrganismi svolgono nella salute o nella promozione delle malattie».
Gli studi sul ruolo dei microbi intestinali nei confronti dello stato di salute o come fattori di rischio per l’insorgenza di patologia si sono spesso concentrati su singole popolazioni, in particolare quelle provenienti da regioni come gli Stati Uniti e l’Europa.
Non è quindi ancora chiaro se le differenze nella composizione del microbiota possano portare a differenze nella suscettibilità alle infezioni.
Per questo motivo Ilana Brito e i suoi colleghi hanno deciso di valutare la resistenza a gravi infezioni intestinali nei topi colonizzati dal microbiota di individui provenienti da tre diverse popolazioni.
Resistenza alle infezioni dopo trapianto fecale
In primo luogo, il team di ricercatori statunitensi ha sottoposto diversi topi germ free a un trapianto di feci ottenute da individui provenienti da differenti contesti geografici: Stati Uniti, Guatemala e Fiji.
Due settimane dopo, i ricercatori hanno infettato gli animali con Citrobacter rodentium, un patogeno del topo utilizzato come modello per le infezioni da Escherichia coli nell’uomo.
Dai dati ottenuti è emerso che pattern microbici diversi a livello intestinale influenzano in maniera differente la suscettibilità alle infezioni.
In particolare, i topi con microbiota ricevuto con un trapianto fecale da persone guatemalteche sono risultati i più resistenti all’infezione, seguiti dai roditori con microbiota della popolazione statunitense. I più suscettibili alle infezioni sono risultati i topi colonizzati con batteri intestinali della popolazione delle Fiji.
I ricercatori hanno inoltre scoperto che nei topi sottoposti a trapianto da guatemaltechi, i livelli ematici di specifiche molecole immunitarie che innescano processi infiammatori sono risultati elevati.
Questi topi presentano anche maggiori livelli fecali di altri marcatori di infiammazione rispetto agli altri due gruppi di topi.
«Le risposte immunitarie legate ai diversi microbiomi determinano nei topi una più o meno elevata resistenza alle infezioni», ha commentato Ilana Brito.
La resistenza si può “condividere”
Per valutare se la resistenza all’infezione da C. rodentium potesse essere trasferita attraverso il microbiota intestinale, i ricercatori hanno posizionato nella stessa gabbia alcuni soggetti dei tre gruppi di topi.
Poiché questi animali ingeriscono le feci degli altri animali, il microbiota può essere trasferito da un animale all’altro. Pur con le dovute differenze, questo è quello che succede alla composizione del microbiota di una persona quando per esempio viaggia in paesi con abitudini alimentari e standard igienici diversi.
I risultati ottenuti hanno dimostrato che gli animali con batteri intestinali ricevuti dalla popolazione delle isole Fiji sono diventati più resistenti alle infezioni dopo aver condiviso lo stesso habitat.
«Penso che questo tipo di esperimenti ci abbia mostrato i modi in cui è possibile alterare, in un breve periodo di tempo, un background immunitario che proviene dal microbiota intestinale» spiega la ricercatrice.
Conclusioni
La capacità di “trasferire” la resistenza alle infezioni apre anche la strada all’ipotesi che vede il microbiota intestinale come possibile target per trattamenti preventivi e terapeuticii.
«Per questo motivo – aggiunge la ricercatrice – sarebbe opportuno studiare approfonditamente gli effetti sulla salute dei pattern microbici che troviamo al di fuori della popolazione dei Paesi occidentali. Per migliorare in tutto il mondo la salute delle persone con interventi sul microbioma è infatti necessario avere una visione globale».