I trapianti di fegato possono salvare la vita di pazienti con gravi malattie epatiche; tuttavia, questi interventi sono spesso complicati da alti tassi di infezioni correlate a microbi intestinali.
Di recente, un gruppo di ricercatori ha scoperto che la profilazione dei metaboliti microbici nei campioni di feci può essere uno strumento valido per prevedere la comparsa di infezioni postoperatorie nei pazienti sottoposti a trapianti di fegato.
I risultati, pubblicati su Cell Host & Microbe, suggeriscono quindi che i livelli dei metaboliti microbici possono aiutare a individuare i soggetti a maggior rischio di infezione dopo il trapianto di fegato. I risultati potrebbero anche favorire lo sviluppo di terapie basate sul microbiota.
Trapianto di fegato
Il trapianto di fegato è spesso l’unica opzione terapeutica per alcune malattie del fegato, tra cui la fibrosi epatica e il cancro al fegato, che causano oltre due milioni di decessi ogni anno. Tuttavia, i pazienti sottoposti a trapianto di fegato sono particolarmente suscettibili alle infezioni resistenti ai farmaci.
«La resistenza agli antibiotici sta aumentando ogni anno. Senza antibiotici che funzionano, non è possibile, per esempio, eseguire interventi chirurgici», afferma il principale autore dello studio Christopher Lehmann della University of Chicago Medicine.
Precedenti studi hanno dimostrato che il microbioma umano, in particolare quello intestinale, si è adattato per combattere i batteri resistenti ai farmaci.
Per indagare se il microbiota possa influenzare il rischio di sviluppare un’infezione dopo il trapianto di fegato, Christopher Lehmann e i suoi colleghi hanno analizzato campioni di feci di 107 persone sottoposte a questa procedura chirurgica.
Alterazioni del microbioma
I ricercatori hanno determinato la composizione del microbiota dei partecipanti allo studio e li hanno divisi in tre gruppi in base alla loro diversità microbica.
I soggetti con cirrosi alcolica e malattia epatica allo stadio terminale avevano una diversità microbica inferiore, mentre quelli con cancro al fegato ed epatite C cronica tendevano ad avere una diversità maggiore.
Infine, dai dati ottenuti è emerso che le persone con diversità media o bassa avevano livelli ridotti di batteri benefici e una maggiore abbondanza di specie Enterococcus ed Enterobacterales.
Il team ha anche analizzato i metaboliti microbici presenti nei campioni di feci dei partecipanti: gli acidi grassi a catena corta e gli acidi grassi a catena ramificata, che sono prodotti della fermentazione degli aminoacidi, sono risultati ridotti nei pazienti con diversità microbica bassa e media.
Questi individui avevano anche concentrazioni ridotte di acidi biliari secondari, che derivano dall’azione dei batteri nel colon.
Le vitamine derivate dal microbiota come biotina, niacina e acido folico sono risultate ridotte nei pazienti con bassa diversità: questo risultato probabilmente riflette la perdita di batteri intestinali che producono vitamine del gruppo B.
Rischio di infezione
Successivamente, gli studiosi hanno ricercato eventuali associazioni tra la presenza di specifici metaboliti microbici, la composizione del microbiota e la comparsa di infezioni postoperatorie nei pazienti sottoposti a trapianto di fegato.
Dai dati ottenuti è emerso che livelli ridotti nelle feci di metaboliti come gli acidi grassi a catena corta e gli acidi biliari secondari erano collegati ad alterazioni del microbiota intestinale e a un rischio più elevato di infezioni dopo il trapianto di fegato.
«La misurazione dei livelli di metaboliti fecali ha consentito di identificare i pazienti a rischio di infezioni postoperatorie e di individuare una correlazione tra l’infezione e specifici metaboliti», affermano gli autori.
«La capacità di identificare rapidamente i pazienti con un aumentato rischio di infezione postoperatoria potrebbe facilitare lo sviluppo di strategie che preservino o ricostituiscano le funzioni del microbioma e portino allo sviluppo di approcci che prevengano l’esposizione a patogeni resistenti agli antibiotici».