Fonte: Università di Milano, IRCCS Policlinico San Donato e IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi (Studio originale)
Il mercato dei probiotici, microorganismi di riconosciuta efficacia per la salute dell’organismo e della cosiddetta flora batterica intestinale (o, più correttamente, microbiota) è sempre più ampio e variegato.
Per un medico è sempre più complesso trovare e prescrivere la giusta formula tra le centinaia disponibili in commercio per venire incontro ai bisogni dei pazienti.
Un gruppo di ricercatori italiani dell’Università Statale di Milano, in collaborazione con il Policlinico San Donato e l’Istituto Ortopedico Galeazzi, in un lavoro di revisione scientifica pubblicato sulla rivista Digestive and Liver Disease, ha elaborato un decalogo per guidare i medici nella prescrizione del probiotico più corretto per i loro pazienti.
1) I probiotici devono essere definiti correttamente
La definizione classica per i probiotici è stata elaborata nel 2001 dalla Fao e dall’Oms, e li qualifica come «microorganismi vivi che, quando somministrati in quantità adeguate, recano beneficio al portatore».
Talvolta sono descritti come sostanze “terapeutiche” o “farmacobiotiche”, proprietà più tipiche dei medicinali, ai quali in ogni caso non sono assimilabili soprattutto perché il meccanismo d’azione è diverso.
È importante ricordare che i probiotici agiscono spesso come biomodulatori, senza un impatto diretto e specifico su una patologia.
2) Lisati, spore e batteri non viventi non sono probiotici
Per quanto sia stato rilevato i benefici di alcuni componenti e derivati del ciclo di vita di alcuni batteri, questi ultimi non possono essere considerati probiotici. I batteri non viventi hanno effetti positivi sul sistema immunitario, specialmente contro le allergie, ma ciò dipende direttamente dalle caratteristiche biologiche e fisiche di specifici componenti batterici. I lisati batterici, dal canto loro, sono efficaci solo se somministrati costantemente, mentre le spore possono agire solo se si trovano in un ambiente favorevole alla loro germinazione.
3) Necessario tracciare un identikit del probiotico
Le informazioni contenute nelle etichette dei prodotti disponibili in commercio sono spesso poco accurate. Un’indagine condotta nel 2011 sul mercato italiano dei probiotici ha rilevato che il 42% dei prodotti analizzati non conteneva la quantità dichiarata di almeno un ceppo batterico indicato nell’etichetta; il 17% era privo di microorganismi utili e nell’8% dei casi è stata riscontrata addirittura una contaminazione di batteri patogeni Enterococcus faecium.
Alla luce di questi dati, anche per evitare inutili rischi per la salute dei pazienti, la raccomandazione è di prescrivere solo ceppi batterici sui quali sono state condotte analisi genetiche accurate, al fine di tracciarne la provenienza e il profilo di sicurezza.
4) Distinguere e scegliere correttamente il tipo di preparazione
Fra le centinaia di preparazioni probiotiche disponibili in commercio, si possono distinguere due macro-categorie: quelle monoceppo e quelle multiceppo.
Diversi studi sostengono che la presenza di più ceppi batterici in una preparazione aumenti i benefici per l’organismo. Questa affermazione sottovaluta un aspetto fondamentale: i diversi ceppi batterici, per potenziarsi reciprocamente, devono essere compatibili e lavorare in sinergia fra di loro. Al fine di evitare problematiche, quindi, è fondamentale prescrivere soltanto mix di efficacia comprovata.
5) Il problema dell’antibiotico-resistenza
La resistenza agli antibiotici può essere un aspetto positivo per alcune preparazioni probiotiche, rendendone possibile l’utilizzo anche in concomitanza con la stessa terapia antibiotica.
Tuttavia è necessario prestare attenzione ad alcune componenti genetiche che possono trasferire questa proprietà anche agli agenti patogeni, andando così a esacerbare un problema sempre più pressante per la salute pubblica.
6) Ceppi batterici resistenti all’ambiente gastrointestinale
Affinché possano esercitare la loro funzione di biomodulatori, i ceppi batterici selezionati devono essere in grado di resistere all’ambiente spesso ostile del tratto gastrointestinale.
Non tutti i batteri possono infatti sopravvivere al passaggio nello stomaco (per via del basso pH) o nel duodeno (a causa della secrezione di sali biliari). Solo i ceppi più resistenti dovrebbero essere presi in considerazione per il consumo umano.
7) I batteri devono essere in grado di colonizzare l’intestino
Non sempre un ceppo batterico che mostra efficacia in vitro è capace di stabilire una colonia fiorente nell’intestino umano. Per essere considerato affidabile, il prodotto prescritto deve essere in grado di aumentare il livello intestinale dei microrganismi somministrati, in modo che i batteri probiotici possano aderire correttamente alla mucosa intestinale, colonizzandola per riprodursi efficacemente. Inoltre solo somministrando quest’ultimi in adeguate quantità è possibile ottenere un effetto benefico costante e duraturo.
8) L’interazione con il microbiota intestinale
Gli studi riguardanti l’impatto sul microbiota intestinale sono scarsi e spesso contradditori sia negli esiti, sia sotto l’aspetto più strettamente tecnico.
Nell’ottica del medico è tuttavia lecito prediligere la prescrizione di prodotti che abbiano una marcata attività intestinale.
9) Prescrivere solo prodotti con un alto profilo di sicurezza
I potenziali agenti patogeni sono spesso esclusi con facilità attraverso test in vitro. Questo modello può però ingannare, a causa dei protocolli di sicurezza che possono falsare i risultati.
Per questa ragione, è spesso più utile ricorrere ai modelli in vivo, nei quali è possibile osservare l’interazione diretta del ceppo batterico con l’organismo ospite.
Da non sottovalutare sono inoltre le condizioni sanitarie del paziente: soggetti compromessi dal punto di vista fisico o immunitario sono da considerare più a rischio anche per la somministrazione di probiotici generalmente considerati sicuri.
10) Ricorrere solo a microrganismi di dimostrata efficacia clinica
Nel valutare la prescrizione di un probiotico non basta prendere in considerazione le loro caratteristiche intrinseche, ma anche il loro ruolo nel contrastare specifiche patologie.
Numerosi studi riconoscono l’efficacia di questi prodotti per malattie come diabete mellito, dermatite atopica, colite ulcerosa, malattia di Crohn. È fondamentale, in questo senso, prediligere e prescrivere solo probiotici dall’efficacia clinica documentata.
Il commento del Prof. Lorenzo Drago, coordinatore della ricerca: