Il trasferimento delle feci da un individuo sano all’intestino di un malato si è dimostrato efficace nel trattamento di infezioni ricorrenti con batteri nocivi, ma la procedura non è diffusa nella pratica clinica a causa di alcune lacune nella conoscenza.
Di recente, un gruppo di ricercatori ha scoperto che maggiori sono i livelli di colonizzazione da parte dei microbi intestinali trapiantati, maggiori sono le possibilità di successo della terapia.
I risultati, pubblicati su Nature Medicine, potrebbero aiutare a ottimizzare i protocolli per i trapianti fecali e a identificare i donatori più adatti.
Presente e futuro del trapianto fecale
Il trapianto di microbiota fecale, o FMT, può essere effettuato con diverse modalità, per esempio durante una colonscopia o con la somministrazione per via orale di capsule.
Attualmente è considerato un approccio terapeutico promettente contro le malattie associate al microbiota come la sindrome dell’intestino irritabile.
Tuttavia, non è ancora chiaro quale sia la capacità di colonizzazione dei microrganismi trapiantati nell’intestino del ricevente.
Per rispondere a questa domanda, un team di ricercatori guidato da Gianluca Ianiro, del policlinico Gemelli di Roma, e da Nicola Segata dell’Università di Trento ha analizzato 1.371 campioni di microbiota intestinale da donatori e riceventi.
Questi ultimi erano affetti da diverse malattie, tra cui infezioni da C. difficile, melanoma, sindrome dell’intestino irritabile e diarrea indotta da chemioterapia.
Engraftment, la colonizzazione intestinale
Mediante una tecnica di sequenziamento del genoma i ricercatori hanno identificato i diversi ceppi batterici presenti nel microbiota dei partecipanti allo studio, il che ha permesso loro di capire se un particolare ceppo è stato trasmesso dal donatore al ricevente.
I ricercatori hanno scoperto che i destinatari con livelli più elevati di colonizzazione dei microrganismi trapiantati avevano maggiori probabilità di ottenere buoni risultati clinici. L’engraftment è risultato maggiore nelle persone con malattie infettive rispetto a quelle con malattie croniche, che hanno uno squilibrio del microbiota più grave rispetto ai primi.
Inoltre, i destinatari sottoposti a una terapia antibiotica prima del trapianto hanno avuto livelli di attecchimento più elevati, come anche i pazienti che hanno ricevuto il trapianto attraverso diverse modalità (per esempio capsule e colonscopia).
È stato infine osservato che la colonizzazione di alcune specie microbiche, come Proteobacteria e Actinobacteria, è risultato maggiore rispetto ad altre specie, tra cui Firmicutes.
Conclusioni
Dal momento che la tecnica di sequenziamento utilizzata dai ricercatori consente di conoscere la composizione del microbiota dei donatori, sarà possibile individuare quelli più adatti a seconda delle caratteristiche del ricevente o della finalità del trattamento.
Per esempio, sarà utile identificare i donatori in grado di aumentare la diversità microbica nei soggetti riceventi.
Inoltre, dal momento che diversi studi hanno già dimostrato che i microbi intestinali possono influenzare la risposta di un paziente all’immunoterapia contro specifici tipi di cancro, i ricercatori hanno intenzione di condurre una sperimentazione clinica per valutare se il trapianto fecale può aiutare ad aumentare l’efficacia dell’immunoterapia nei pazienti con carcinoma renale avanzato.