Interessanti risultati sull’efficacia dell’FMT nell’IBS e sugli effetti della dieta e dei farmaci sulla composizione e funzionalità del microbiota intestinale sono stati presentati all’incontro di UEG 2019, che si è appena concluso. Grande interesse è stato dimostrato per le implicazioni cliniche di questa ricerca.
Il trapianto di microbiota fecale è efficace nell’IBS, ma avere un “super-donatore” è essenziale
I risultati di un ampio studio randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, hanno confermato che il trapianto di microbiota fecale (FMT) utilizzando un singolo “super-donatore” è un trattamento efficace e ben tollerato per la sindrome dell’intestino irritabile (IBS), che produce alti tassi di risposta clinica e marcati miglioramenti dei sintomi.
Lo studio, che ha coinvolto una vasta coorte di pazienti con vari sottotipi di IBS, ha utilizzato diverse metodologie innovative e ha evidenziato l’importanza della selezione dei donatori per ottimizzare l’efficacia dell’FMT come trattamento per l’IBS.
Parlando alla UEG Week di Barcellona 2019, il coordinatore della ricerca, Magdy El-Salhy dell’Ospedale universitario Haukeland di Bergen, in Norvegia, ha spiegato: «Si ritiene che la disbiosi intestinale svolga un ruolo importante nella fisiopatologia dell’IBS. Tuttavia, studi precedenti, che hanno studiato l’FMT in questa condizione, hanno prodotto risultati contrastanti. Abbiamo deciso di ottimizzare le possibilità di successo del trattamento selezionando un singolo donatore ben definito che soddisfacesse le linee guida europee per i donatori di FMT e che avesse un profilo microbico fecale favorevole».
Il “super-donatore” era un maschio caucasico atletico di 36 anni, sano, non fumatore, con un BMI normale, che si allenava cinque volte alla settimana. Era nato tramite parto vaginale e allattato al seno; non stava assumendo con regolarità alcun farmaco, aveva ricevuto solo tre cicli di antibiotici durante la sua vita e faceva uso regolarmente di integratori alimentari ricchi di proteine, vitamine, fibre e minerali.
Lo studio randomizzato ha incluso 164 soggetti con IBS e sintomi di IBS da moderati a gravi (sistema di punteggio di gravità della sindrome dell’intestino irritabile [IBS-SSS] ≥175) che hanno ricevuto un autotrapianto di microbiota (gruppo placebo) o un preparato fecale da donatore di 30 g (gruppo FMT 30 g) o 60 g (gruppo FMT 60 g). Diversamente dagli studi precedenti, il materiale del trapianto era stato congelato (-80° C/-112° F) ed era stato somministrato dopo lo scongelamento nel duodeno prossimale tramite gastroscopio, ovviando alla necessità di preparazione intestinale prima del trapianto e rendendo più facile il suo utilizzo in pratica clinica. L’endpoint primario di efficacia dello studio era la percentuale di pazienti che hanno raggiunto una riduzione ≥50 punti di IBS-SSS 3 mesi dopo l’FMT (risposta al trattamento).
Secondo El-Salhy, è stata osservata una risposta all’FMT nel 23,6% degli individui che hanno ricevuto placebo e rispettivamente nel 76,9% e nell’89,1% dei gruppi FMT 30 g e FMT 60 g. Il miglioramento clinicamente significativo dei sintomi [una riduzione ≥175 punti dell’IBS-SSS] si è verificato rispettivamente nel 5,5%, 35,2% e 47,3% degli individui nei gruppi di trattamento con placebo, FMT 30 g e FMT 60 g. Significativi miglioramenti della fatigue (Fatigue Assessment Scale) e della qualità della vita (IBS-Quality of Life instrument) sono stati osservati anche nei gruppi di trattamento FMT rispetto al gruppo placebo. Un’analisi dei profili batterici fecali ha mostrato cambiamenti nell’abbondanza di diversi ceppi nei due gruppi FMT, ma non nel gruppo di controllo (placebo).
«In circa il 20% dei pazienti si sono verificati dopo l’FMT eventi avversi, ovvero sintomi gastrointestinali lievi e autolimitanti come dolore addominale, diarrea o costipazione», ha affermato El-Salhy. «Questi si sono verificati in modo intermittente nei primi 2 giorni successivi all’FMT».
Questo studio conferma che l’FMT è un trattamento efficace per l’IBS, ma sottolinea l’importanza di utilizzare un super-donatore.
Alimenti di origine vegetale e dieta mediterranea sono associati all’aumento della produzione di SCFA
Un secondo studio presentato alla UEG Week 2019 ha dimostrato che specifici alimenti potrebbero fornire protezione all’intestino, aiutando i batteri con proprietà antinfiammatorie a proliferare.
I ricercatori del Medical Center dell’Università di Groningen, nei Paesi Bassi, hanno scoperto che legumi, pane, pesce, noci e vino sono associati ad alti livelli di batteri intestinali che favoriscono la biosintesi di nutrienti essenziali e la produzione di acidi grassi a catena corta (SCFA), la principale fonte di energia per le cellule che rivestono il colon. I risultati supportano quindi l’idea che la dieta potrebbe essere una strategia di gestione efficace per le malattie intestinali, attraverso la modulazione dei batteri intestinali.
Gli esperti hanno osservato quattro gruppi: la popolazione generale e pazienti con malattia di Crohn, colite ulcerosa e sindrome dell’intestino irritabile (IBS). I ricercatori hanno analizzato un campione di feci fornito da ciascun partecipante per ricostruire il microbiota dell’ospite e lo hanno confrontato con i risultati di un sondaggio sulla frequenza di assunzione di specifici cibi. I ricercatori hanno così identificato 61 alimenti associati a popolazioni microbiche e 49 correlazioni tra modelli alimentari e gruppi microbici.
In conclusione, gli esperti hanno scoperto che:
- i regimi alimentari ricchi di pane, legumi, pesce e noci sono stati associati a una diminuzione dei batteri aerobici potenzialmente dannosi. Un maggiore consumo di questi alimenti è risultato associato anche a livelli più bassi nelle feci di marcatori infiammatori noti per aumentare in caso di infiammazione intestinale
- un maggiore apporto di carne, cibo spazzatura o zucchero raffinato è stato associato a una diminuzione delle funzioni batteriche benefiche e a un aumento dei marker infiammatori
- vino rosso, legumi, verdura, frutta, cereali, pesce e noci sono risultati associati a una maggiore abbondanza di batteri con funzioni antinfiammatorie
- alimenti di origine vegetale sono risultati associati ad alti livelli di produzione batterica di SCFA, la principale fonte di energia per le cellule che rivestono il colon
- le proteine vegetali aiutano la biosintesi di vitamine e aminoacidi, nonché la scomposizione degli alcoli di zucchero e l’escrezione di ammonio
- le proteine di origine animale e di origine vegetale hanno mostrato associazioni opposte con il microbiota intestinale.
Metà di tutti i farmaci comunemente usati colpisce profondamente il microbiota intestinale
Un terzo studio presentato alla UEG Week 2019 ha rilevato che 18 categorie di farmaci di uso comune influenzano ampiamente la struttura tassonomica e il potenziale metabolico del microbiota intestinale. Sono state inoltre individuate otto diverse categorie di farmaci in grado di aumentare i meccanismi di resistenza antimicrobica nei partecipanti allo studio.
I ricercatori del University Medical Center Groningen e del Maastricht University Medical Center hanno esaminato 41 categorie di farmaci comunemente usati e valutato 1.883 campioni fecali da una coorte formata da pazienti con IBD e pazienti con IBS mescolati con controlli sani. I ricercatori hanno confrontato i profili delle funzioni tassonomiche e metaboliche degli individui che assumevano o meno farmaci, osservando l’effetto dell’uso di singoli medicinali o della loro combinazione. I cambiamenti osservati potrebbero aumentare il rischio di infezioni intestinali, obesità e altre gravi condizioni e disturbi legati al microbiota intestinale.
Il microbiota intestinale è la popolazione di microbi che vive nell’intestino. Contiene decine di trilioni di microrganismi, tra cui almeno 1.000 diverse specie di batteri noti. La popolazione di microbiota intestinale umana è influenzata da diversi fattori, tra cui i farmaci. Il microbioma ha ricevuto una crescente attenzione negli ultimi 15 anni con numerosi studi che hanno riportato cambiamenti nel microbiota intestinale in caso non solo di obesità, diabete e malattie del fegato, ma anche cancro e malattie neurodegenerative.
Le categorie di farmaci con il maggiore impatto sul microbiota sono:
- inibitori della pompa protonica (PPI), usati per trattare la dispepsia, che colpisce tra l’11% e il 24% della popolazione europea. I PPI sono anche usati per trattare l’ulcera peptica, l’eradicazione da H. pylori, il reflusso gastrointestinale e l’esofago di Barrett
- metformina, usata come trattamento per il diabete di tipo 2, che colpisce il 10% degli adulti europei
- antibiotici, usati per trattare le infezioni batteriche e assunti ogni anno dal 34% della popolazione europea
- lassativi, usati per trattare e prevenire la costipazione, che colpisce il 17% degli adulti europei.
Il microbiota intestinale degli individui che assumono PPI ha mostrato un aumento dell’abbondanza di batteri del tratto gastrointestinale superiore e una maggiore produzione di acidi grassi, mentre chi assume metformina presenta livelli più elevati di un batterio potenzialmente dannoso, Escherichia coli (E. coli).
I ricercatori hanno anche scoperto che altre sette categorie di farmaci sono associate a cambiamenti significativi nel microbiota intestinale. L’uso di alcuni antidepressivi (chiamati SSRI) da parte di pazienti con IBS è risultato correlato all’abbondanza della specie batterica potenzialmente dannosa Eubacterium ramulus. L’uso di steroidi per via orale è stato invece associato ad alti livelli di batteri metanogeni associati all’obesità e a un aumento del BMI.
Il coordinatore della ricerca Arnau Vich Vila ha dichiarato: «Sappiamo già che l’efficienza e la tossicità di alcuni farmaci sono influenzate dalla composizione batterica del tratto gastrointestinale e che il microbiota intestinale è correlato a molteplici condizioni di salute; pertanto, è fondamentale capire quali sono le conseguenze dell’uso di farmaci sul microbiota intestinale. Il nostro lavoro sottolinea l’importanza di considerare il ruolo del microbiota intestinale nello sviluppo di terapie e consente di formulare nuove ipotesi per spiegare alcuni effetti collaterali associati all’uso di farmaci».
Traduzione dall’inglese a cura della redazione